Non so se sia un’abitudine salutare, ma mi capita spesso di leggere le note di accompagnamento ai dischi prima di ascoltarne la musica. Questo inevitabilmente genera aspettative, pregiudizi, congetture, che andranno poi a pesare più o meno consapevolmente su quello che andrò a sentire. Giusto? Sbagliato? Non saprei. Eppure quando compriamo i dischi (perché li compriamo ancora, vero?) non facciamo forse un attento esame di tutte le informazioni che possiamo assorbire dalla copertina? Titoli, stile grafico, annotazioni tecniche, foto… In tempi precedenti l’uso diffuso degli smartphone era fondamentale costruirsi dei pre-giudizi, per cercare di evitare dischi deludenti.

Il biglietto da visita dei Kaivs è molto diretto ed esplicito e per dieci pagine ci assicura che il loro Death Metal è profondamente ispirato ai capiscuola della scena svedese dei primi anni novanta (i nomi li sapete già), ma che oltre ad essere portavoce di un glorioso passato, sono pronti a (ehm…) conquistare il mondo, da veri pionieri dell’oscurità. E qui il mio lavoro potrebbe concludersi, sciorinando qualche luogo comune old school che confermi la narrativa proposta.

Ma farei un torto alla band e anche alla “verità storica”, dato che quello che potrete sentire nel primo album dei quattro romani presenta (per fortuna!) molti elementi di discontinuità rispetto alle matrici originali proposte.

Tre degli otto brani che compongono “After The Flesh” erano già stati pubblicati sotto forma di EP nel 2023, rendendone eventualmente giustificabile l’acquisto solo in virtù della copertina ad opera dello scafato Juanjo Castellano, che firma anche quella del disco, in pieno “stile Dan Seagrave”.

La leggenda vuole che al Sunlight Studio, Tomas Skogsberg non avesse spazio per i fusti di una batteria acustica, ripiegando su una elettronica per plasmare quello che, contro ogni previsione, sarebbe diventato uno standard musicale di grande successo, assieme ai MetalZone sparati a manetta dentro piccoli combo. Fedeli a questa tradizione, i Kaivs scelgono per la propria batteria dei suoni campionati veramente vintage e molesti, che assieme al pastone delle chitarre a grattugia e ad un basso sorprendentemente udibile e massiccio formano un bolo musicale scuro, denso e appiccicoso, perfettamente in linea con l’atmosfera apocalittica che intendevano dipingere.

Se è vero che il riferimento stilistico è quello dei capostipiti (ci tengono ad includere Nihilist e Carnage, oltre ai più usuali Entombed e Dismember) va detto anche che è solo una piccola parte di quella complessità musicale che viene riutilizzata dai nostri. Ad esempio mancano gli assoli, le trillate più veloci e complesse, l’estremismo vocale e in generale quel surplus di energia post adolescenziale che grondava dai solchi di quei vecchi vinili. I Kaivs prediligono invece un approccio caotico sì, ma più ponderato, con un’attenzione alla pesantezza e alla costruzione di canzoni con un groove, quasi cantabili. Ecco, ad esempio la voce spesso non suona come un vero e proprio growl, ma esplora un registro declamatorio, tra parlato e cantato, che ricorda i tempi pionieristici in cui “il cantato Death Metal” non era uno standard, ma una conquista che ognuno provava a raggiungere per la propria strada. Gustosissimo il suono ciondolante e pachidermico del basso, che oscilla come il pendolo dell’orologio della fine del mondo con cadenze prevedibili ma inesorabili. Un poco confusionarie le chitarre, che raramente emergono con un riff veramente vincente, mentre la batteria predilige un approccio massiccio e cadenzato rispetto alle corse sfrenate e ai blast beat forsennati.

Un elemento fortemente caratteristico della band credo che sia l’utilizzo dei testi, che ricorrono molto spesso a rime e assonanze che vanno collocarsi perfettamente nelle trincee quadrate e regolari scavate dai musicisti, riuscendo così, nei casi più felici, a compattarsi in un groove di grande impatto che rende i brani riconoscibili e coinvolgenti. Una vena di black humor mi sembra attraversare la scrittura dei Kaivs, a partire dal titolo dell’opener “Koshercannibal”, uno schiacciasassi a cui forse manca qualche spunto in più nelle accelerazioni, ma che svolge benissimo il proprio lavoro di polverizzazione. “Beyond The Autopsy” ha un inizio funereo (che verrà ripreso sul finale) e soprattutto una sorta di accattivante ritornello a filastrocca, con riff semplicissimi e trascinanti, un andamento che vi costringerà a fare su e giù con la testa quando li andrete a vedere dal vivo. Si continua nella stessa vena con la iconica “For Satan Your Flesh, For God Your Soul”, che cerca di generare un effetto slogan/inno che possa donare memorabilità alla composizione. Bel rallentamento prima della chiusura, col carro armato che si va ad impantanare in una palude infernale. Straniante il testo quasi situazionista di “Blooduniverse”, forse la canzone più veloce del disco, nonostante l’ormai abituale rallentamento, in cui sentiamo la mancanza di un riff veramente capace di lasciare il segno, oltre ad evocare un’atmosfera.

Ritmo saltellante e quasi ballerino per “Krushing All Altars”, per un girotondo di danza che vorrebbe spazzare via ogni religione.

Divertente la trovata di “Sepulchrist”, con un plot twist alla più famosa storia fantasy di sempre, in cui qualcosina è andato storto durante quei tre giorni nel sepolcro… Musicalmente lenta e ciondolante, riesce a lasciare un segno del proprio passaggio.

Sulla veloce “Blasphemer After The Flesh”, essendo pure una quasi title track, mi aspettavo una zampata in più, ma rimane giusto un compito artigianale ben fatto e nulla più. Chiude il disco “Horrend”, che dava il titolo all’EP, e gioca sull’alternanza di dinamica tra strofe veloci in un cingolato macinare continuo di doppia cassa e un ritornello cadenzato, anche se la carta del rallentamento ad effetto è già stata calata più volte in questa partita.

Il minutaggio contenuto del disco aiuta a farcelo apprezzare, tra un sorriso di nostalgia e un accenno di headbanging, ma per scavarsi un posto nel nostro cuore i Kaivs dovranno inventarsi qualcosina in più.

 

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Koshercannibal
  2. Beyond The Autopsy
  3. For Satan Your Flesh For God Your Soul
  4. Blooduniverses
  5. Krushing All Altars
  6. Sepulchrist
  7. Blasphemer After The Flesh
  8. Horrend 

 

  • Anno: 2024
  • Etichetta: Brutal Records
  • Genere: Stockholm Death Metal

 

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