Hai fame.
Devi tirare alla cena e un classico panino è quello che ti occorre.
Oggi li fanno pure gourmet, belli, invitanti.
E tu lo vuoi così, gourmet appunto, per nutrire anche la vista e perché i francesismi in alcuni casi migliorano le cose, le sgrossano del superfluo e donano loro eleganza.
Poi fai il primo morso e tuo malgrado realizzi alcune cose:
1. Il companatico scarseggia e le fette di pane che lo racchiudono sono troppo generose;
2. non sempre ciò che sembra bello è anche buono;
3. ti è rimasta ancora fame ma scopri che la cena è saltata e ti aspetta ancora un altro panino.
Questo in sintesi è “The Ninth Ark (Twice Upon a Time Ep.1)” degli Opera Rock, Ep che si presenta bene, realizzato con grande cura e tecnica a profusione, ma tra una intro e un outro di generosa durata vi sono soltanto due brani che non fanno gridare al miracolo.
Saranno da apripista al prossimo full length? Macché! Da come ho intuito il prossimo lavoro sarà un nuovo Ep.
Il progetto pare minato già nelle intenzioni manifeste nel nome stesso della band: ibridare il metal con il rock, genere calderone per cui non nutro una grande stima se non per alcune sue declinazioni.
Mi viene in mente quel modo di dire che oggi va molto nel mainstream: questo è rock, quello non è rock…
Scusate, io il rock non lo sopporto, ma prima che musicalmente concettualmente, per quella zavorra ideologica che si porta addosso (ma questo è un mio problema).
E questo tentativo è evidente in tutto l’Ep, sia nella prima traccia effettiva, ovvero l’omonima “The Ninth Ark“, sia (e soprattutto) nella seconda, “Riot of Stars“, dall’incedere Aor – radiofonico.
Stupisce la preparazione dei musicisti, professionisti con invidiabili doti tecniche capeggiati dal bassista Marco “Faz “ Fazzini, fondatore della band e ideatore delle storie raccontate nei testi che in questo progetto rivestono grande importanza: come avvenuto con l’album “Starborn” del 2013 ci troviamo di fronte ad un concept che verrà sviluppato in più capitoli di cui l’Ep oggetto di questa recensione è il primo.
Alla chitarra abbiamo Stefano “Leo” Dall’Osto, anche lui elemento fondatore e abile strumentista, mentre gli altri ruoli vengono coperti da diversi ospiti: alle voci abbiamo Mike Livas (Bloodorn, Silent Winter, Maidenance), Mattias Osbäck (Transatlantic Radio), e Beatrice Bini (Chocobo Band, Constraint), e a dare supporto a Stefano ci sono i chitarristi Marco Longhi, Francesco Panico e Andrea Boscarino.
Il team comprende anche coristi e narratori, per una formazione opulenta e forse pretenziosa ma in linea con gli intenti musicali.
Curiosa la scelta del batterista che conferma ulteriormente lo spessore dei musicisti coinvolti: il compito è difatti affidato a Pietro Battanta dei “Node”, seminale realtà italiana che, come sappiamo, ben poco ha a che fare con le sonorità qui proposte.
L’album si apre con “Welcome The Impossible” che si rivela una lunga intro in cui voci narranti fanno da prologo alla storia per lasciare poi spazio ad un crescendo di cori che creano un climax a supporto del primo vero brano: “The Ninth Ark”.
Colpisce nel segno l’incipit in stile “Sonata Artica” con superugola annessa che impressiona per la disinvoltura nel saltare ottave con scioltezza.
Power metal sinfonico ben suonato e tirato con stacco di basso da infarto e mid tempo pre-bridge che conferisce un tocco marziale seguito da un bridge che crea quel rush a supporto del refrain.
Il punto debole (è quasi concettualmente un ossimoro) è proprio il refrain che stacca in modo brusco e senza un senso di continuità. Non aiutano gli accordi in maggiore e quel senso di euforia che rinnega tutta l’epicità in cui si era immersi un attimo prima.
Musicalmente il brano è comunque impressionante anche per la varietà strutturale: abbiamo una parte cantata/narrata, digressioni soliste notevoli e la presenza di spunti interessanti.
Segue “Riot Of Stars” in cui il rock a cui accennavo diventa invadente, troppo.
Mi ricorda a tratti qualcosa dei “Toto” ma in una versione stucchevole con un duetto tra voce maschile e femminile scontato e un po’ pacchiano. Il refrain fa molto musical anni 80 ma è privo di mordente anche se non risulta fuori luogo.
Questi due brani, che poi possiamo definire i due veri brani dell’ep, non sono coerenti tra loro in quanto propongono due generi completamente diversi; non si tratta di una digressione isolata all’interno di un album: qui il lavoro è scisso in due generi musicali differenti senza soluzione di continuità.
Chiude “Never-Ending Journey”, un outro che inizia con un pianoforte così melodico da rischio diabete che riprende il refrain del brano “The Ninth Ark”, in questa sede cantato con un botta e risposta tra voce maschile e femminile.
L’enfasi del cantato maschile è quasi caricaturale, scelta stilistica opinabile visto che enfatizza quel senso di “costruito” che aleggia un po’ su tutto il lavoro.
Per me un passo falso ma visto il tripudio di capacità tecniche in gioco mi aspetto che al prossimo giro tirino fuori la Ferrari dal box.
Meghistos
Tracklist:
- Welcome the Impossible
- The Ninth Ark (feat. Mike Livas, Mattias Osbäck & Beatrice Bini)
- Riot of Stars (feat. Mattias Osbäck & Beatrice Bini)
- Never-Ending Journey (feat. Mike Livas, Mattias Osbäck & Beatrice Bini)
- Anno: 2024
- Etichetta: Autoprodotto
- Genere: Power metal sinfonico/Aor
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