Gli Avtotheism sono il progetto di un trio di musicisti bresciani attivi da quasi una decina di anni e questo “Reflections Of Execrable Stillness” è il loro secondo album completo. Privi di un vero batterista umano, i tre si affidano a strumenti virtuali per costruire il paesaggio sonoro che caratterizza il loro Death Metal dall’approccio moderno, nervoso e angoloso, punteggiato anche da numerosi episodi atmosferici che contribuiscono a tratteggiare uno scenario oscuro e sospeso sui misteri che legano l’uomo, la natura e la divinità.
Per questioni di gusto personale resto abbastanza scettico di fronte a questo tipo di impostazione della band, che rimane un progetto di studio un pochino macchinoso e con quel vago sentore da “disco realizzato in cameretta”, ma immagino ciò sia dovuto anche ad un mio limite generazionale, al mio associare la musica (e il Metal in particolare) ad una dimensione molto fisica e frutto della diretta interazione tra persone.
Sono però stato subito incuriosito dalla struttura dell’album, che prevede i primi tre pezzi risalenti al 2022, collegati tramite una trascurabile traccia ambient “Upon Wrecks Of Desolation” ad una composizione di qualche anno più antica: i diciassette minuti di “Dogma Sculptured In Flesh”. Se non è proprio un elemento di unicità, per lo meno siamo su un sentiero poco battuto, che ci dimostra il desiderio di ricerca ed esplorazione del trio. Ho quindi deciso di affrontare questo disco, dopo un primo ascolto integrale, a partire proprio dalla lunga composizione finale, che ci colpisce subito con un muro di aggressione ad alta intensità e un intricato riff che include anche i suoni acuti ottenuti suonando le corde nello spazio tra il capotasto e le chiavi, un trucchetto datato ma sempre efficace. la “canzone” è fatta di riff contorti che si avviluppano in loro stessi e note che sembrano andare in direzioni casuali, come fossero gli abitanti di un formicaio appena scoperchiato, ma con una geometria di difficile interpretazione e senza l’istintiva saggezza degli insetti. Colpisce subito una certa piattezza dinamica, dovuta sia all’utilizzo di campioni sia ad una voce forse troppo monocromatica, generando una sensazione di omogeneità apparentemente in contrasto con la ricchezza di elementi messa nel piatto. Questi suoni finti e innaturali inducono una fatica di ascolto che si conferma anche nei momenti atmosferici, che paiono assemblati con librerie di effetti, suoni, campioni, strumenti virtuali, senza la capacità di infondere un po’ di anima e calore al tutto. Ecco, nonostante la band si autodefinisca “sulfurea”, ho notato una certa freddezza, una distanza, un distacco. Armonici che come borchie puntute aumentano la spigolosita dei riff, senza però implementarne la memorabilità: sfido chiunque a ricordare un solo fraseggio! Viene anche il sospetto che interi minuti siano inseriti un po’ pretestuosamente, giusto per allungare il brodo, per non escludere nulla. Al centro di questa monumentale architettura abbiamo un momento rarefatto di timpani, campane e rumori vari, con le chitarre che poi ereditano il pattern tribale delle percussioni, prima di lanciarsi nella sezione più interessante del brano, fatta di passaggi rapidi dal blastbeat alla leggerezza, in cui “effetto contrasto” viene fortemente smorzato dalla strumentazione e dalla registrazione, incapaci di restituire una dinamica capace di tradursi in emozione. Arrangiamenti di batteria interessanti, frammentati, decostruiti. Talmente atipici da giustificare il fatto di essere stati assemblati su una mappatura midi piuttosto che ideati ed eseguiti da un batterista con le bacchette in mano. Chiude una pioggia liberatoria, accompagnata da un arpeggiare malinconico.
Tornando alle prime tre tracce, su “Multitudes Of the Sand I” abbiamo un inizio in graduale crescendo con riff di chitarre pulite scandite dal delay e un grasso basso distorto sotto. Il suono si gonfia di distorsione e avanza cadenzato e massiccio, guidato da un vocione cavernoso e autoritario, del quale smetteremo abbastanza presto di aver paura. Qualche esplosione a frammenti, effetti bass-boom, clangori, strutture astratte, melodie che non vanno da nessuna parte, ma sembrano fatte apposta per disorientarci all’interno di un labirinto, privandoci dei consueti riferimenti.
Personalmente non sono particolarmente affascinato da questo tipo di approccio alla composizione che, in tutta franchezza, mi sembra relativamente “facile” (pur nella sua indubbia complessità!) e furbetto, riuscendo ad imbarbagliare l’ascoltatore meno esigente con una serie di elementi ad effetto e un affastellamento di dati che paiono voler mascherare un vuoto di contenuti.
“Multitudes Of the Sand II” parte con un riff interessante e possiamo percepire uno sforzo autentico nel cercare di erigere una composizione con elementi originali e spiazzanti (riff spezzati, fraseggini acutissimi, passaggi ambient, dissonanze), ma il risultato appare un tantino forzato, innaturale e soprattutto poco coinvolgente, in virtù proprio della sua artificiosità e scarsa “profondità”.
Di “Incarnation Of Hush” ricordo un riff tagliente e stridente con le due chitarre che battagliano all’arma bianca, all’interno della composizione che mi è parsa, nella sua caoticità, più avvincente di tutte. C’è anche spazio per un bell’assolo, spigoloso e drammatico. Bella la parte conclusiva, con un riff stantuffante e pulsante che si staglia su uno scampanellante arpeggio.
Un dischetto che chiede molto all’ascoltatore, rispetto a quanto è in grado di dare.
Personalmente non riesco a provare alcun coinvolgimento emotivo di fronte a questo esercizio di stile, mi manca una componente di umanità, di comunicazione, di autenticità, ma immagino che certe atmosfere possano anche risultare suggestive, intriganti, per lo meno capaci di indurre uno stato di alienazione ipnotica non sgradita.
Se avrete voglia di immergervi nell’universo sonoro degli Avtotheism, il modo migliore per farlo è sicuramente andare sulla loro pagina BandCamp e fare vostro l’elegante digipack o il prestigioso vinile oro, per un’esperienza immersiva e magari più coinvolgente di quanto lo sia stata per me.
Marcello M
Tracklist:
- Multitudes of the Sand I
- Multitudes of the Sand II
- Incarnations of Hush
- Upon Wrecks of Desolation
- Dogma Sculptured in the Flesh
- Anno: 2024
- Etichetta: Unorthodox Emanations / Avantgarde Music
- Genere: Atmospheric Death Metal
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