I romagnoli Ottone Pesante sono una di quelle poche realtà che sono riuscite ad imporsi all’attenzione di tutti grazie ad un approccio veramente originale alla musica estrema: per chi non li conoscesse, parliamo di un trio formato da batteria, trombone e tromba, dediti alla scrittura di composizioni che possiamo far rientrare nel concetto di “Metal”, reinventandone l’architettura, rimodellando il suono su quei curiosi strumenti lucidi e privi di corde che siamo così poco avvezzi a vedere su un palco Heavy.

Quella che otto anni fa poteva sembrare un’effimera curiosità, buona giusto per condividere un post con gli amici, si è rivelata avere radici musicali e concettuali ben più profonde e salde. Non mi riferisco solo alla preparazione dei musicisti coinvolti (vi basti sapere che pubblicano pure i libri con gli spartiti dei propri brani!), ma alla loro capacità di dare senso e profondità ad un progetto che rischiava veramente di essere relegato ad un ruolo macchiettistico di bizzarra rarità un po’ fine a sé stessa.

Lo dimostrano ad esempio con questo nuovo “Scrolls Of War”, che si propone come primo capitolo di una trilogia sulla storia della musica degli ottoni, spesso associati fin dall’antichità alle pratiche della guerra, sia come metodo per impartire comandi e segnali, sia come vera e propria arma. 

Sarebbe fin troppo banale e riduttivo citare le trombette dei Nile e le loro fantasiose ricostruzioni musicali antiche per tentare di darvi un’idea del suono minaccioso ed evocativo che i tre ragazzi riescono ad esprimere: qui siamo di fronte ad una narrazione molto meno didascalica e più concettuale, evocativa.

Credo che l’essere una formazione così esigua aiuti molto l’emergere delle singole personalità e costringa a scelte di arrangiamento molto ben ponderate.

È incredibile il timbro del trombone distorto di Francesco Bucci, vera spina dorsale delle composizioni, che si esprime spesso in cluster ripetuti che fanno da impalcatura su cui si stagliano le trombe di Paolo Raineri, con note lunghe come ululati di sirena, mentre il batterista Beppe Mondini gioca un campionato a sé bilanciando aggressività ed eleganza.

L’iniziale “Late Bronze Age Collapse” è un perfetto esempio di tutto ciò, con un riff di trombone che vi si inchioderà al cervello nonostante il tempo composto ed un’atmosfera apocalittica in cui però è tutto sotto controllo, anche il sintetizzatore dell’ospite Shane Embury.

Ingredienti analoghi ma più regolari su “Sons Of Darkness Against Sons Of Shit”, col fraseggio spigoloso di tromba ed un andamento cadenzato e pulsante che cresce verso un epico finale ascendente in blast beat arricchito dalla presenza di voci narrative/declamatorie sullo sfondo.

Atmosfere più rarefatte ma sempre cupe per la sempre attuale marcia funebre “Men Kill Children Die” che si snoda lenta, lanciate e inesorabile per quasi dieci minuti. 

Al grido di “Teruwah” si riaprono le ostilità, riprendendo ritmi veloci e scattanti e la consueta formula con le trombe eteree ed effettatissime che aleggiano in aria mentre il trombone traccia solchi sul terreno trainato dallo scoppiettante motore cingolato della batteria, che si lancia in una sana corsa di doppia cassa. Sempre notevole la capacità narrativa, come fosse una colonna sonora descrittiva.

Episodio centrale del disco è secondo me la collaborazione con l’interessante Lili Refrain, che in “Battle Of Quadesh” interpreta il proprio ruolo di sacerdotessa sciamanica aggiungendo quella dimensione vocale di cui, a lungo andare, sentivamo la mancanza. L’introduzione è spiazzante, sembra dirigersi esoticamente verso il Sudamerica, ma si intorbidisce presto di venature inquietanti in un intenso crescendo che, pur rimanendo melodicamente molto prevedibile e poco interessante, costruisce un’atmosfera affascinante, stratificata e coinvolgente.

Slaughter Of The Slains” è un altro pezzo dilatato e rarefatto, questa volta veramente vicino a certi Nile cinematografici, prima di aprire le porte della seconda metà della composizione, una cavalcata che conferma quanto abbiamo già sentito, senza aggiungere granché di nuovo o memorabile, rimanendo sempre nello stesso ambito tonale o per lo meno nello stesso mood fatto di frasi melodiche brevi e astratte, in cui si rifugge una scelta più accattivante o “pop”.

Seven” è la settima e ultima traccia, che sviluppa un solo tema di trombone, con le trombe un po’ distaccate, distratte nell’alto dei cieli di una certa vaghezza, mentre il batterista ne approfitta per allenarsi per i fatti suoi su un repertorio di ritmi a diversa intensità, per una composizione abbastanza trascurabile.

Una bella conferma per un gruppo di musicisti veri, alla ricerca di qualcosa da dire e di un modo originale per farlo. Bravi!

 

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Late Bronze Age Collapse 
  2. Sons Of Darkness Against Sons Of Shit 
  3. Men Kill, Children Die 
  4. Teruwah 
  5. Battle Of Qadesh 
  6. Slaughter Of The Slains 
  7. Seven 

 

  • Anno: 2024
  • Etichetta: Aural Music
  • Genere: Brass Metal

 

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