Quando ero un adolescente implume, rabbioso, contro tutto e tutti, con lunghi capelli tendenti al biondo (chi mi conosce sa che è vero!), abitando nella città famosa soprattutto per il mare e per il Re Carnevale, non avevo molte scelte per frequentare locali che trasmettessero sonorità che più si avvicinavano ai miei gusti. A metà anni ottanta imperversavano il Pop – Synth, la post Disco Music derivante da cotanta febbre, e per chi come me, che non era visto tanto di buon occhio dalla maggior parte delle persone, posti dove poter ascoltare della musica decente si potevano contare sulla dita di una mano.
Relativamente vicino a dove abito esisteva un locale letteralmente sotto la strada che rispondeva al nome di “Superficie 213” che, per quell’epoca e soprattutto per la zona, sparava dalle casse dell’impianto tutto quello che proveniva da oltre manica che subodorava di Punk e New Wave, ma anche materiale inedito nostrano come i Gaznevada, i primi Litfiba, i Death In Venice, ma anche un giovanissimo Garbo, o un sottovalutato Faust’O, accanto ai mostri sacri come i Diaframma. Per me che venivo dal Metal, quello delle distorsioni pre Pantera per capirci, era un ambientino ideale per sfogarsi in violentissimi poghi in un’arena ben colorita da skins, punk, darkettoni e qualche metallaro giovane (il sottoscritto), ma che rimandava a delle situazioni da nerd descritte molto bene nel movie canadese “Porky’s“.
Arrivando a parlare dei nostri My Darkest Red, leggo che sono frutto della fusione di due bands, i Poisonheart e Dreamhunter (dai quali provengono Andrea Gusmeri alla chitarra e Andrea Verginella al basso, mentre dai Poisonheart c’è l’inclusione di Fabio Perini alla voce); sui Dreamhunter, attivi per circa cinque anni e con all’attivo due full – length ed un demo, posso dire, mea culpa, assolutamente nulla, i Poisonheart li avevo lasciati alle prese con un roccioso Hard Rock che ho recensito su queste pagine elogiandone la freschezza della proposta.
In questo progetto hanno voluto mischiare le sonorità più metal con quelle propriamente appartenenti alla tradizione Post Punk, New Wave e Dark (il termine Gothic è entrato in uso molti ma molti anni dopo), ma il risultato è una sorta di vorrei ma non posso, o anche esattamente il contrario. Detto all’inizio dei riferimenti che si possono percepire, anche se, è vero, sono udibili tracce degli Him o dei Syster Of Mercy, la voce non riesce a cogliere la profondità esistenziale di quei cantati, si ferma su un monocorde vocalistico che non omaggia la sofferenza artistica per esempio di un Ian Curtis. Interessante rimane la varietà di video presenti nei credits di accompagnamento relativi a diverse tracce presenti sul cd: c’è da curare sicuramente la pronuncia dell’inglese, ma il clip di “The Flame” colpisce per l’accostamento delle immagini con il loop delle chitarre.
Da rivedere il cantato, ma per il resto c’è una buona base nostalgica sulla quale operare.
Leonardo Tomei
Tracklist:
- The House On The Hill
- By The Moonlight
- Tears In The Snow
- Black Lullabies
- Eternity
- The Flame
- The Dirty Way
- Only After Midnight
- From Dusk Till Down
- Merry Go Round
- Dark Night, Fright Night
- Miriam
- Anno: 2024
- Etichetta: Sneakout Records
- Genere: Dark New Wave Metal
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