Album d’esordio per questi tre ragazzi che arrivano da Milano. Per comprendere discretamente bene le sfumature musicali ed emozionali che trasmette il disco in questione sono necessari più ascolti. Si, perchè se il primo e magari distratto play può darvi un riscontro Hard Rock, un secondo e più attento vi porterà a fare un gran respiro e a fermarvi un attimo. Nelle parole della band, l’album “Si dipana come un viaggio mentale attraverso temi fondamentali (solitudine, disperazione, amore e speranza) dove le immagini marittime servono a narrare le emozioni più semplici e universali in modo mistico ed evocativo“.
Si evince da se che non siamo davanti ad un album easy che parla di perizomi, lap dance e moto parcheggiate fuori sulla sunset. Non è un disco per tutti. Per me questa affermazione suona come un complimento. Si sente davvero quella sensazione di un viaggio dentro l’abisso, la disfatta, e l’incazzatura derivante da questa. Personalmente trovo che il genere a cui più si avvicina questo disco sia il Grunge, perchè dentro ci ho trovato tutte le influenze diverse che ci hanno lasciato le band del genere. C’è la cattiveria disperata degli Alice in Chains, c’è lo stile particolare contaminato da svariate ed eclettiche influenze musicali dei Soundgarden, compresa quel sentore di punk-metal. Ma ci si trova anche a prendere in faccia le atmosfere rarefatte dei primi Pearl Jam, il tutto condito con la lucidità che tutto debba finire, probabilmente male, che trasmettevano i Nirvana dei tempi d’oro.
“The Landing” apre l’album e si viene travolti da un groove di inizio anni novanta, rivisto in chiave nuovo millennio. Sembra che l’epoca Grunge non sia mai finita, a partire dai suoni con quella distorsione zozza e droppata, quel basso che pesta e con la batteria crea quel muro sonoro a sostenere il tutto. La voce è quanto di più espressivo si possa trovare per il genere. In “The Future” il groove va a bussare alla porta di un certo Prog inquinato da accelerazioni Punk che sembra impossibile stiano bene insieme, ma magicamente è tutto perfetto. Basso e voce distorta nel bridge centrale sono il punto di unione con il filo conduttore dell’album. “The Dawn” si affaccia nell’alternative, con un ritornello che lo avessero fatto i Foo Fighters negli ultimi lavori la gente sarebbe sobbalzata dalla sedia, con quella batteria che batte con la cassa in controtempo e quegli accordi apertissimi. “The Companion” è una bomba allucinante, un groove dark blues, un giro di chitarra quasi Southern Rock ma con la pesantezza dello stoner buttato dentro.
“The Dream” è il muro contro il quale ci si stampa nella notte, quel muro dove tutto si ferma. Un greve pianoforte, voci in lontananza, la chitarra che arpeggia sognante. E’ come aprire gli occhi in un abitacolo distrutto dallo schianto. Si sentono le voci in sottofondo, ovattate, lontane. Una Suicide Note in salsa tricolore: sono vivo o morto? “The Siren” è il pezzo giusto al momento giusto. Dopo il muro c’è tristezza, dolore, quel sapore di sangue in bocca. Uno specchio, nel quale ci si specchia ma si vede solo quello che abbiamo dietro le spalle. E mentre stai perdendoti nell’oscurità ecco che “The Heart” arriva come uno spintone, a darti la sveglia, quella carica selvaggia. Sputi, e riparti da zero. Rirmi scanditi, suoni carichi, sporchi ma giusti, come nelle migliori prodizioni di Seattle dei tempi.
Eì il momento della combo finale, che inizia con la lunga “The Boat, Pt1“, con la sua partenza e il suo crescendo, forse è la canzone della consapevolezza, della realizzazione che ci si può rialzare sempre, si deve farlo. Per noi stessi, per non darla vinta a nessuno. Fino alla prossima caduta. “The Boat, Pt.2” è lo sfogo, il pugno contro lo specchio, che sfaccetta la realtà in mille schegge di follia. Cinquantatre secondi, il tempo necessario per asciugarsi il sague dalle mani, girarsi ed andare via.
Nel complesso, l’album di debutto degli SBARCO è un disco che, nel mercato discografico attuale, necessita di più ascolti per essere appreso e apprezzato in toto. È un album bello davvero, tanto ma tanto bello. E’ bello perchè è suonato alla grande e trasmette sempre qualcosa. E’ un album che può solo soffrire del fatto che l’ascoltatore medio, ormai saturato da musica usa e getta e uniformato alla spoty società attuale, non sia più abituato a dover ascoltare qualcosa per davvero. Ma pensateci: questo album forse può essere la chiave per ritrovare l’equilibrio dopo essere stati alla deriva in un mondo di plastica. La chiave per ritrovare la voglia di cercarla la musica, di non fermarsi a quello che la straming society di oggi ci consiglia e propone. La musica non va subita, va abbracciata. E forse è questo che Nebu, Teo e Marco avevano in mente quando hanno sfornato questo disco.
Michele Novarina “Mic DJ”
Tracklist:
- The Landing
- The Future
- The Dawn
- The Companion
- The Dream
- The Siren
- The Heart
- The Boat pt.1
- The Boat pt.2
- Anno: 2024
- Etichetta: Argonauta Records
- Genere: Grunge, Stoner
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