Il Death Grind è sempre stato un genere strano, ma forse più che tutto è sempre “vissuto” in un ambiente stagno, isolato, difficilmente permeabile a contaminazioni. Gli altri molteplici generi che compongono l’universo Metal inteso come contenitore generale sono stati spesso contaminati, si sono mescolati l’uno con l’altro, magari con risultati a volte discutibili. Ma il Death Grind no: lui è sempre rimasto se stesso, coi suoi connotati sonori ben precisi, le sue strutture musicali e ritmiche e con le sue tematiche. Viene da se che senza la presenza di contaminazioni di sorta proventienti da altri generi, questo genere o piace o non piace. Perciò quando ci si accinge a scrivere due righe su un lavoro appartenente a questo genere in primis lo si deve per lo meno apprezzare, pena il rischio di non uscirne vivi e non essere obiettivi nella valutazione.

Questi Brainsore arrivano da Modena, fondati nel 2022 dal batterista Don Gulag e dal chitarrista Holy Father. Il duo reclutò il cantante Horcrux Urethra (ex Jesus Ain’t In Polonia) e iniziò a concentrarsi sulla scrittura di canzoni e sull’attività Live. La proposta del gruppo è principalmente grind, con punte death metal. Un genere senza compromessi, che si spinge su un muro sonoro intenso e caotico. La band italica ha dalla sua anche un songwriting intelligente, con arrangiamenti efficaci e grande perizia tecnica.

E come tipico del genere in questione l’album apre con una badilata sulla nuca, con quella “The Stinking Sinister” dal groove death grind senza compromessi.  C’è un che di Napalm Death nel suono delle chitarre, stoppatissime. La batteria accellera e rallenta, per così dire, in maniera chirurgica. Molto bella la resa vocale, che pur essendo bella secca, non sfocia nel gutturale estremo che pare arrivade da in fondo alle tubature. L’inizio di “Sons Of Seznec” è uno spettacolo, cadenzato come un panzer. Qui la voce è più gutturale ma sempre lucida. Il pezzo si trasforma rapido con blast assassini e controtempi spiazzanti. La sezione rimica grattugia le ossa dell’ascoltatore con un riff portante esagerato. “Harvest Red” apre con un rigurgito, e poi si lancia nel vuoto come un B52 carico di tritolo in caduta libera. La sezione centrale soffocante è l’esplosione allucinante che ne produce la caduta al suolo. Follia, zolfo e oscurità, mentre la voce spazia tra gli stilemi del genere in modo molto ben fatto.

Il blast beat che apre “In Life Is Coils” è una mitragliata negli occhi. La canzone procede in maniera assolutamente assassima, annientando il povero ascoltatore con un riffing di chitarre ipertecnico, il tutto sempre sparato alla velocità della luce. E’ veramente impressionante quanto la band tiri pesante: un sussegguirsi di riff tecnicamente perfetti, anche se non ammorbati da troppa varietà, ma questo è uno dei limiti (o pregi, dipende dai punti di vista) del genere.

The Mangrove Diaries” ci regala una piccola sorpresa, perchè all’incipit tipicamente grind unisce un che di Hardcore nel bridge centrale, grazie sopratutto al cambio repentino di tempo. Poi tutto ritorna a fare estremamente male, anche nella parte finale dove il tempo rallenta di colpo. Forse era solo il preludio a “The Amen Corner“, canzone di una brutalità totale. Un riffing assolutamente putrido, quasi velenoso dall’inizio alla fine, intervallato da une breve apertura verso la fine ad un pallido accenno di melodia. La performance vocale stupisce per potenza e pulizia, che è un bel punto a favore in questo genere.

Un riff distorto quasi scandinavo apre “When Hunger Saves“, canzone che si attesta su lidi decisamente meno tirati. Intelligente come scelta, perchè a questo punto del disco una canzone cadenzata spezza decisamente e riporta in alto l’attenzione dell’ascoltatore. “Mount Ashes” si annunzia con una campana, che ci ricorda che qui si fa Grind, non musica da sala. Ed ecco la velocità tornare a livelli folli, ma mai confusi. Capolavoro lo stacco a metà con una batteria semi tribale che trasuda rabbia da tutte le parti. Questo è un ottimo esempio di come tenere alta l’atmosfera fino a quel solitario “Please” pronunciato a fine canzone

Con “The Harder We Fall” ci si fa davvero male, un turbine di note sparate in faccia con assoluta maleducazione, groove martellanti e vocals arrivanti dritte dalla catacomba. Dulcis in fundo un finale malato, con una nota tenuta e ritmiche che soffocano. Ma non basta mai, questi pazzi scatenati non hanno pietà per nessuno e allora ti arriva alle orecchie “Shrieks From Above“, che parte con un’apertura violenta dove il Grind abbraccia il Death, prima di precipitare in una follia carica di groove.

Altra mitragliata senza senso la troviamo nella seguente “Adult Male“, che apre con un riffone che mi ha portato alla mente Pantera e Down all’ennesima potenza. Il tutto esplode come una bomba atomica con intensità, mentre i riff si susseguono con perfezione quasi chirurgica. Per concludere questa mezz’ora di violenza ecco servita “Beyond Recognition“, che spicca per vocals davvero furiosi, senza dimenticare la solita bordata di riff assasini.

Stop. Tutto finisce come è cominciato, briscamente, senza sfumature, senza mezze misure. Un album che è Grind, perciò sappiamo ha dentro di se i letali ingredienti del genere. E’ figo? Se vi piace il genere si, assolutamente da avere. Se lo masticate ascoltatelo perchè potrebbe decisamente stupirvi. Per tutti gli altri che nel recinto del Grind non ci pascolano, meglio vadano a cercare musica diversa su altri lidi.

 

Michele Novarina “Mic DJ”

Tracklist:

  1. The Stinking Sinister
  2. Sons Of Seznec
  3. Harvest Red
  4. In Life Is Coils
  5. The Mangrove Diaries
  6. The Amen Corner
  7. When Hunger Saves
  8. Mount Ashes
  9. The Harder We Fall
  10. Shrieks From Above
  11. Maschio adulto
  12. Beyond Recognition
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Time To Kill Records
  • Genere: Grind Death

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