Cosa fa di un disco un grande disco?

Me lo chiedevo ascoltando questo nuovo lavoro degli Elle Tea intitolato “The Past From Which I Ran” mentre passeggiavo senza meta per le strade di Roma.

Non leggo mai nulla prima di iniziare un nuovo ascolto in modo da non rimanere influenzato da opinioni e etichette musicali, mi limito appunto ad ascoltare e a farmi un’opinione personale.

Solo in seguito, quando la musica ha parlato, concedo che lo facciano anche il web e le info normalmente a corredo dell’album.

Così non sapevo nulla degli Elle Tea, ma la prima immagine vivida che si è con forza imposta è stata quella della copertina del capolavoro a nome Judas Priest di “Sad Wings Of Destiny”: le chitarre sporcate di rabbia ma così lontane dalla saturazione del metal degli 80’, l’eleganza di una ricercata essenzialità, gli strumenti all’unisono ma distinti e quasi nudi, sgravati dal peso dell’effettistica, la voce nitida, presente e colorata giusto da un accenno di reverbero e infine quella primordiale epicità negli intenti!

Questo mi ha ricordato “The Past From Which I Ran”, brano di apertura che dà il titolo all’album.

La partenza ha l’odore del blues e, oserei, pure del rockabilly, braci da cui tanta musica è nata, per poi aprirsi ad un cantato in primo piano, pulito, sorretto da accordi aperti e epici che conducono ad un bridge ritmato in crescendo per arrivare a un refrain di sicuro effetto con un uso eccellente delle armonizzazioni vocali.

Insomma, un gioiellino che risento sempre volentieri.

Quindi quali sono gli ingredienti di un grande disco?

Qui mi sembrava che tutto fosse al suo posto, ma cosa esattamente? Ho provato allora a motivare questa sensazione individuando nel brano tre caratteristiche tutte essenziali che ora citerò per ordine crescente di importanza.

La prima è la capacità tecnica, non in senso assoluto, ma a livello ottimale per esprimere ciò che si desidera.

La seconda è una caratteristica che si può apprendere ma che in parte è innata perché si entra nel territorio del “buon gusto”, ed è la capacità di arrangiare un brano.

La terza, la più importante, è la capacità di comporre.

Ecco, questo brano possiede all’unisono queste qualità, condizione presente a mio avviso solo per il 60% del lavoro, mentre l’altro 40% è deficitario proprio dal punto di vista compositivo.

Il disco infatti è suonato nel suo insieme con perizia, e con altrettanta perizia è arrangiato, soprattutto per quanto riguarda l’attenzione prestata alle armonizzazioni vocali, ma in genere anche le soluzioni strumentali sono di alto livello.

Lo dico con rammarico, perché i primi tre brani li ho sentiti innumerevoli volte sempre con rinnovato trasporto e, per questo motivo, ho ascoltato ostinatamente anche gli altri per trovare una breccia, una chiave che me li potesse fare amare.

Prima di proseguire nella disamina è però necessario introdurre il progetto: si tratta di una one man band creata da Leonardo Trevisan, giovane artista fiorentino che, oltre ai contenuti musicali, si è occupato anche della parte grafica associando una tavola ad ogni canzone in perfetto stile maideniano con ottimi risultati.

Ed è proprio la giovane età che mi sorprende: infatuato di un periodo che anagraficamente non gli appartiene, è riuscito ad appropriarsene, a metabolizzarlo senza averlo vissuto, a riproporlo nello spirito, cosa che va oltre la semplice emulazione dei contenuti musicali.

Il disco oggetto di questa recensione rappresenta il secondo episodio di una futura trilogia iniziata con l’album “Fate Is At My Side” del 2023 e che, come riportato dall’autore, vedrà il suo compimento nel 2025.

Ma riprendiamo da dove avevamo lasciato.

La successiva “No Saviour” ci trasporta un po’ più in là con gli anni e ci fa rivivere la prima ondata della NWOBHM mentre la bella “Deep In Love” mi fa pensare ad un connubio tra i Deep Purple del periodo Mark II e la creatura di Coverdale.

Even If You Go” entra in punta di piedi, un arpeggio iniziale che evolve in un movimento lento, riflessivo, un preludio perfetto al veloce e scarno riff di priestiana memoria che introduce di forza un brano dinamico frenato però da una chiusa melodica e lenta al termine di ogni refrain difficile da digerire: un di più dannoso per l’economia del brano che risulta, al netto, vincente.

La successiva “Runaway Heart” è il primo brano ben suonato, ben arrangiato ma assolutamente privo dell’ingrediente principale: un AOR melodico, molto mainstream e pervaso da un ottimismo che fatico a digerire.

Fortunatamente “Ecstasy And Dreams” con il suo arpeggio evocativo seguito da un incedere ritmato e melodico ci riporta in territori metal e risulta un brano piacevole e ben strutturato.

L’album prosegue con “In Memories I Roam”, un brano cantato in italiano che non ho particolarmente apprezzato, vuoi per un’ostentata propensione alla melodia che me lo rende troppo pop, vuoi per un testo di maniera che a tratti risulta stucchevole.

Chiude il lavoro “Paper Sailed Ship”, una ballad che non mi ha emozionato.

Sinceramente fatico a motivare certe cadute di tono perché come più volte ribadito Leonardo Trevisan non difetta di tecnica e ha certamente dato prova di poter raggiungere alti livelli compositivi.

Per me “The Past From Which I Ran” poteva essere uno splendido EP nonché una prova di consapevolezza dei propri limiti, primo passo per superarli.

 

Meghistos

 

Tracklist:

 

  1. The Past From Which I Ran
  2. No Saviour
  3. Deep In Love
  4. Even If You Go
  5. Runaway Heart
  6. Ecstasy And Dreams
  7. In Memories I Roam
  8. Paper Sailed Ship

 

  • Anno: 2024
  • Etichetta: Autoprodotto
  • Genere: Hard Rock/Heavy Metal

 

Links:

Instagram

Facebook

Bandcamp

Spotify

Youtube


Autore