Era l’ormai il lontano 2001 quando i modenesi Laetitia in Holocaust iniziano a muovere i primi passi nel marcilento mondo del Black Metal. La creatura era ancora in fase embrionale, inizialmente un duo di musicisti ai quali negli anni si sono aggiunti pian piano elementi nuovi, portando in dote idee e nuove esplorazioni sonore. Questo lungo viaggio, assolutamente sempre all’insegna del nero più assoluto, li ha portati in questo 2024 a lanciare sul mercato “Fanciulli D’Occidente“, un disco che di convenzionale ha davvero poco o nulla.

Siamo arrivati alla quinta fatica in studio, un lavoro che suona come una pietra tombale, e lo fa partendo da un artwork carico di ansia. Il mood del lavoro è un Avangarde Black Metal senza regole ne linee guida prefissate. Il genere è già di quelli che o piace o lo si odia, ed evito di proposito di andare a cercare grandi nomi da accostare a questo album come fonte di ispirazione. Motivo? Semplicemente perchè sarebbe limitativo nei confronti di questo quintetto tricolore.

Questo lavoro va controcorrente a partire dalla struttira dei brani. Qui lo strumento che fa il bello e il cattivo tempo è il basso. Si muove folle, come un pazzo in preda ad una crisi di acidi, in un tappeto di dissonanze, cambi di tempo assolutamente fuori da ogni logica. Si destreggia tra urla lancinanti e gorgogli infernali. Si dipana tra melodie di campanelle ed atmosfere rarefatte. L’opening act “Celestial and Buried” ci da un esempio abbastanza concreto a cosa ci troveremo innanzi per i prossimi trentotto minuti. Non ci sono trenta secondi uguali agli altri, sembra di essere stati lanciati nel cosmo quando l’universo era un calderone di follia, mentre stelle collidono e atomi si fondono. E quel basso è sempre li, a girare e rimbalzare tra un riff e uno stacco. Sapete quale è la cosa più allucinante della questione? E’ che tutto questa apparente bolla di caos è perfetta così come la si sente. Provando ad isolare gli strumenti uno per uno si resta spiazzati, e ci si chiede come facciano, tutti insieme, a creare qualcosa di così folle ma al contempo bello.

Se non ci si trova annientati dal primo pezzo e si decide di proseguire oltre, si viene accolti dalla furia di “Earth as a Furnace“, che nel suo essere più convenzionale trova sempre nel basso l’elemento disturbante. Questo è decisamente un Black Metal non convenzionale, una ricerca di qualcosa di osceno, inteso nel senso di irriverente, quasi sguaiato. “Murmurs of Faith” è un viaggio psichedelico all’inferno, passando dalla strada più difficile e oscura. Archi a tinte horror, chitarre a perdifiato apertissime, la voce che vomita come riusciva a fare il miglior Attila Csihar dei tempi. La sezione ritmica è allucinata, una sorte di marcia stoppata e ripresa di continuo ma senza uno schema, è la follia a guidare il tutto: la follia di questo basso fretless che, ora scomodo un paragone pesante, forse poteva pensare solo uno come Di Giorgio all’epoca dei Sadus.

Nemmeno il tempo di capire dove diavolo siamo finiti che “Julivs Caesar Germanicvs” ci piglia a lordoni in faccia, con riff di chitarra affilati come lamette, con un drumming al limite dello schizofrenico e, indovinate un po, quel basso che ci fa perfere l’orientamento. Questa canzone strumentale ti annienta, e quando pensi di aver finito lei si interrompe ed arpeggia, rallenta e ti fa respirare di nuovo. Ma è solo una mera illusione. Comunque, questo pezzo strumentale è monumentale. “Devotio” è delirante, non saprei come altri definirla. Ha quell’incipit zoppicante, per via dei tempi volutamente allucinanti, ma al contempo sorprendentemente fluido. Qui c’è di tutto, ci puoi trovare elementi di Post Black Metal, di pura sperimentazione e psichedelia, ovvero tre aspetti che a mio avviso superano anche le barriere del già strano Avantgarde.

A Dancestep of Fate” ci fa riprendere un attimo, ci lascia sistemare il neurone in vista del raptus finale, ovvero “From Plowshares to Swords“. Qui i riff continuano letteralmente a volare, la costruzione più convenzionale e tipicamente di inizio anni novanta ci riporta ai grandi classici del Black Metal mondiale. Forse questo pezzo rappresenta il loro punto più melodico, che sfocia in ritmi a tratti progressive metal, intricati ma stridenti al tempo stesso.

Giunti alla fine di questo viaggio schizoide nei meandri più oscuri della mente umana, che perfino le creature degli inferi rifuggono, si resta fermi a pensare a tutte le tonnellate di riff digeriti in così poco tempo e sapete cosa succede dopo? Che o si pigia subito di nuovo play o lo si accantona. E’ un viaggio folle, senza sosta, dove ad ogni ascolto si scoprono sfumature nuove, luci ed ombre. Bisogna avere la voglia di uscire dalla propri comfort zone, fatta di sonorità anche estreme ma meno in trip. Un disco in questo stile, sicuramente maturato dopo anni di sviluppo sonoro, e incentrato intorno al suo essere assolutamente privo di schemi, richiede un po’ di tempo per essere assimilato. Un album che inzialmente può sembrate ripetutamente e volutamente confusionario ma che, badate bene, non lo è nel modo più assoluto. Questa è semplicemente lucida e schizofrenica follia.

Michele Novarina “Mic DJ”

Tracklist:

  1. Celestial And Buried
  2. Earth As A Furnace
  3. Murmurs Of Faith
  4. Jvlivs Caesar Germanicvs
  5. Devotio
  6. A Dancestep Of Fate
  7. From Plowshares To Swords
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Duskstone
  • Genere: Avantgarde Black Metal

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