Fin dai primi approcci con il press kit consegnatomi dalla Redazione, i Northern Lines mi sono sembrati dei ragazzi intelligenti, con delle cose da dire e la capacità di farlo in maniera interessante: innanzitutto la copertina con le rane li pone, ai miei occhi, sotto una luce privilegiata e benevola, ma la buona impressione prosegue con le foto ironiche e consapevolmente disilluse, confermandosi nel tentativo di argomentare il proprio approccio alla musica nelle sintetiche righe di presentazione. Per questo non nascondo quella certa sensazione di delusione che ho provato nello scoprire che i quattro musicisti sono un gruppo strumentale e che tutte quelle belle pensate concettuali elucubrate e proposte per iscritto non avrebbero avuto una incarnazione lirica. Sarà un caso, ma ho notato come questo sia un tratto tipico dei gruppi strumentali, che (forse consapevoli dell’analfabetismo musicale del pubblico?) si sentono in dovere di ammantare di significati extrasonori le proprie composizioni, le quali da sole, ahimè, potrebbero prestarsi a qualsiasi altra interpretazione. Consapevole che questo tipo di fraintendimento sia applicabile anche a buona parte della musica cantata, proseguo dicendovi che i Northern Lines insistono in questa proposta di nicchia da una dozzina di anni e che questo “I Think We’re Fine” è il loro terzo disco (credo). Il titolo immagino faccia riferimento al concetto di “rana bollita” che possiamo trovare raffigurato nella copertina, di non immediata intelligibilità ed efficacia (composizione un po’ dispersiva, colori, ombre e prospettiva discutibili), ma graficamente decisamente pregevole.
Il rock progressivo del quartetto si nutre di tanti stili musicali differenti e gioca bene le proprie carte dosando con sapienza le dinamiche di piano e forte, pieno e vuoto e l’uso della tecnica strumentale, che non viene mai spinta in sfoggi estremi o assoli autocentrati, ma concorre sempre ad un suono di insieme. Sapendo di doversi fare largo in un mondo dominato dalla musica cantata (indipendentemente dal fatto che chi canta lo sappia fare e/o abbia qualcosa da dire), i Northern Lines provano a mantenere sempre un motivo di interesse verso l’ascoltatore, punzecchiandolo continuamente con nuovi ganci e scegliendo un approccio compositivo che ha un che di narrativo, lirico e descrittivo, generoso e capace di farci seguire lo sviluppo di una storia (certo, di nostra invenzione) con grande capacità di suggestione. Sapendo di non poter rompere i coglioni (ve l’avevo detto che erano ragazzi intelligenti, vero?) con delle sbobbe strumentali inutili, ogni nuovo fraseggio, tema o stacco che viene introdotto cerca di portare con sé un significato, un motivo di esistere, dimostrandoci un’attenzione, una cura ed una selezione che in tanta musica cantata ha filtri a maglie assai più larghe. Vi stupirete nel riuscire a riconoscere e distinguere, fin dai primi ascolti, una composizione dall’altra. Che non è così scontato.
In mancanza di riferimenti più pertinenti o specifici, ho sentito tracce di Rush nel brano di apertura “Under A Purple Sky”, dinamicamente attinti in varie modalità all’interno di una composizione sapientemente giocata su intensità variabili e temi efficaci. “Bear It” inizia rievocando il progressive jazzato di una certa scuola inglese anni settanta, fino crescere verso un appassionante canto di chitarra solista di Alberto Lo Bascio che cede il passo, come in un incontro di wrestling dell’Uomo Tigre, al campione successivo, Stefano Silvestri e il suo giro di basso, trampolino per nuovi colpi da parte di Alberto, prima di tornare a chiudere tutti assieme sul tema iniziale.
Descrivere le varie tracce nel dettagli sarebbe vano, data la ricchezza di elementi, a volte portanti, a volte effimeri, che i nostri riescono ad inserire. E così, ad esempio, “Neither The First, Nor The Last” riesce ad essere epica, riflessiva, frizzante e pomposa e “’68” è tanto minacciosa quanto divertente, per non parlare del bellissimo effetto “vinile segnato” che caratterizza la coda pianistica della seconda metà del pezzo, ad opera del prezioso tastierista Leonardo Disco.
Per “That’s My Son” è stato girato anche un video, che potrebbe essere in grado di farvi entrare un po’ di più nel mondo di questi ragazzi, capaci di prendere la musica sul serio e loro stessi con leggerezza.
Alla lunga, questo suonare in maniera anticonvenzionale e bislacca, potrebbe arrivare ad annoiare o a ristagnare in formule canoniche e luoghi comuni del prog, ma l’attenzione è sempre rivolta ad una piacevolezza di ascolto che mi sembra confermare una dialogante attenzione verso l’esterno più che una ombelicale introspezione segaiola.
Emozionante il tema introduttivo della title track e gustosa la sua evoluzione in uno strampalato prog Metal dalle mille facce. Con l’andatura grottesca di una Baba Yaga arriva “Site Of The Ritual” in cui ho trovato un po’ fuori luogo e gratuito (oltre che pericoloso per lo scomodo paragone automatico con “The Great Gig In The Sky”) l’utilizzo di una (peraltro ottima!) voce femminile che si spertica in vocalizzi arditi, che probabilmente trova una giustificazione legata a quell’antica questione riguardante metodi di traino carri alternativi (e più efficaci) rispetto ai buoi.
Su “Consequences Of Bad Behaviour” possiamo sentire il batterista Cristiano Schirò sfogarsi in un’interpretazione più metallica rispetto al resto del disco, oltre a quella che mi è sembrata una quasi citazione di un tema presente sulla suite del primo album dei lombardi Evil Wings.
Il disco si conclude con l’eleganza frammentata di “Wind’s Howling”, che non si fa mancare un volo epico su tappeto magico di doppia cassa e una danza finale salterina, prima di richiudersi con molta grazia.
Non sarà roba per tutti i palati (le rane non piacciono a tutti), ma la musica dei Northern Lines riesce appieno nell’ardua impresa di essere allo stesso tempo di alta qualità e di immediato coinvolgimento, in virtù di una leggerezza che credo sia figlia della consapevolezza.
Marcello M
Tracklist:
- Under A Purple Sky
- Bear It
- Neither The First, Nor The Last
- ’68
- That’s My Son
- Brother Nick
- I Think We’re Fine
- Site Of The Ritual
- Consequences Of Bad Behaviour
- Winds Howling
- Anno: 2024
- Etichetta: Autoprodotto
- Genere: Instrumental Heavy Prog Rock
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