Le radici del progetto Ego Divided affondano fino a quasi vent’anni fa, quando i chitarristi Massimo Masi e Alberto Zimone sembravano interessati al buon vecchio Death Metal. I sette pezzi che arrivano a noi oggi conservano solo sporadiche tracce degli intenti originari, presentandoci un suono piuttosto variegato, che include una buona dose di Thrash, qualche tecnicismo da Death melodico e una voce che spazia dal growl all’hardcore, senza disdegnare il cantato pulito. Ecco, la varietà c’è, questo è innegabile, ma raramente riesce a coagularsi in momenti musicali veramente originali od efficaci, destando curiosità effimere, attivate da inattesi cambi di atmosfera o registro e subito sopite nella normalità o, ahimè, nella deludente performance canora. Già, perché se è vero che il cantante Marco Tagliavia si sforzi di esplorare molti approcci vocali, pare non riuscire ad eccellere (o a volte anche solo convincere del tutto) in nessuno degli stili tentati. Anche la produzione dal sapore amatoriale non aiuta: non solo i suoni campionati di batteria (con la cassa ad un volume assurdo!) rubano tutta la dinamica e l’aggressività alla altrimenti più che buona performance di Elio Lao, ma la voce sbattuta nuda e cruda in primo piano non aiuta a valorizzare gli sforzi del frontman, evidenziandone invece i difetti e le incertezze. Più che nel mezzo growl o nell’ondivago cantato melodico, preferisco Marco nella sua versione più schiettamente aggressiva e declamatoria, ovvero quando risulta un buon cantante Thrash, come nell’efficacissima “Cry Your Name“.
Pur non risultando in riff memorabili, il lavoro delle due chitarre è sempre interessante (anche se a volte l’accordatura non sembra impeccabile), in virtù di una costante interazione complementare, armonizzazione e alternanza, a testimoniare l’affiatamento pluridecennale dei due musicisti. A ciò si aggiungono i ricami di Alessio Lopes al basso, che possiamo apprezzare particolarmente nell’intermezzo strumentale della già citata “Cry Your Name“, un brano metallico che ricorda (non solo nella prolissità) i Control Denied.
L’introduzione di “Formula”, con il suo tetro fraseggio su scala minore armonica cantato a voci parallele dalle due chitarre evoca immediatamente antichi ricordi di dischi noti e familiari, regalandoci allo stesso tempo una sensazione di rassicurante conforto ma anche di inesorabile già sentito. Il brano evolve in mitragliate thrash e riff arcigni da repertorio, con una sorta di ritornello gridato, prima di reinventarsi completamente, più spigoloso che mai, in un guazzabuglio di soluzioni oggettivamente variegate, ma in fondo poco incisive, con un’interessante chitarra in wha wha sulla sinistra che si converte in ritmica spezzettata in occasione dell’assolo del compagno, cantati poco entusiasmanti e un finale un po’ buttato via, dopo sette minuti di canzone.
Sembra promettere bene “Infinity”, dalla suggestiva introduzione epicheggiante. Dopo una strofa a cavallo tra il techno thrash e l’hardcore arriviamo a quello che dovrebbe essere il momento melodico/emotivo culminante della composizione, se non fosse per la fragilità di quel “you claim”… Notevole l’uso del cantato gutturale di registro ultra grave, ma le parti melodiche, a mio avviso, richiedono un pochino di consapevolezza in più.
Sulla conclusiva “Worms” abbiamo un altro alternarsi di sezioni cantate in modo convincente e quei traballanti “reeeboooorn” che squalificano un po’ il tutto, all’interno dell’ennesima composizione lunga e ricca di elementi, che stenta a mettere a fuoco un’identità forte e coinvolgente, lasciandoci smarriti nei suoi tortuosi corridoi.
Se questi quaranta minuti sono il meglio di ciò che la band ha partorito in quasi due decadi di esistenza, forse c’è qualcosina da rivedere.
Marcello M
Tracklist:
- Source
- Fearless Reason
- Formula
- Infinity
- Cry Your Name
- Worms
- Anno: 2024
- Etichetta: Autoprodotto
- Genere: Thrash/prog Metal
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