Sto imparando a non fidarmi più granché della mia memoria, ma credo di ricordare abbastanza bene di aver ascoltato una sera di una dozzina di anni fa un live degli Zu su Radio Tre, mentre in laboratorio ricoprivo di cartapesta un enorme gatto di polistirolo: è stato un accompagnamento piacevole, inusuale e inatteso, più potente ed heavy di quanto solitamente trasmesso da quelle frequenze, ma allo stesso tempo squisitamente in linea con l’atmosfera radical-chic della stazione. 

Forse quel contenitore dell’Avanguardia di Stato era più adatto ad ospitare quei suoni di quanto non lo siano le pagine di questa webzine Metal, ma sono certo che le vostre orecchie attente sapranno cogliere il retrogusto metallico di alcuni passaggi, a suggerire ascolti adolescenzial/giovanili affini ai nostri gusti.

Ma questo ormai celebre trio, formato da basso, batteria e sax, mosse i primi passi in tempi ancor più remoti, come questo demo del 1996 perduto e ritrovato (e ripubblicato in LP e in digitale) testimonia egregiamente. Quando ancora le mille collaborazioni con i più gettonati nomi della stramberia musicale internazionale, i quindici album e le centinaia di concerti internazionali erano solo un sogno, queste cinque tracce c’erano già. Così come già presenti erano buona parte degli elementi sonori che caratterizzano tuttora il gruppo, ovvero quel susseguirsi di spezzoni, fraseggi, schegge e  frammenti tenuti insiemi da un’esecuzione live d’insieme che sottolinea la preparazione tecnica e soprattutto l’affiatamento dei tre musicisti. Il tutto senza apparente capo né coda, in un alternarsi di melodie sghembe appena accennate, dissonanze, cluster ripetuti, variazioni, interruzioni e tutto quello che oramai è divenuto repertorio tipico della musica strumentale “sperimentale”. Avete presente quelle composizioni che si prova a riempire di significato appoggiandoci sopra un titolo evocativo? Ecco, il rischio è un po’ questo.

 Ma anche se, sentita adesso, questa registrazione sembra quasi un ingenuo reperto archeologico di una civiltà primitiva che suscita in noi, boriosi scavatori del futuro, tenerezza e condiscendenza, non dobbiamo dimenticare che, quasi trent’anni fa, questa roba era davvero qualcosa di nuovo, vivo e palpitante. Una curiosità, certo, uno di quei nomi che sfoggiavi come una rarità, esempio di eclettismo nella propria collezione di dischi, da mettere su per guardare che faccia avrebbero fatto gli amici.

In tutta sincerità, per quanto curato e ricco di passaggi di indubbia raffinatezza e ardita geometria, questo disco è davvero molto distante da una fruibilità piacevole e godereccia, e rischia di restare chiuso sul proprio ombelicale onanismo esibizionista. Capisco che parlare di suoni acidi, spigolosi e “sgradevoli” possa sembrare fuori luogo, soprattutto per ascoltatori abituati all’Heavy Metal, ma la sensazione che maggiormente mi trasmette questa musica è un disagio inquieto e per certi versi fastidioso. Deve essere quel maledetto sax…

Un’altra netta sensazione che ho provato è l’idea che, pur dubitando di riascoltare intenzionalmente queste tracce in futuro, varrebbe davvero la pena di andare a vedere il trio dal vivo in tutta la sua esplosiva potenza, dato che è palese quanto sia quella la loro dimensione espressiva ideale.

Marcello M

 

Tracklist:

Side A

  1. Villa Belmonte
  2. Cane Maggiore
  3. Shin Jin Rui

Side B

  1. El Nino
  2. Film Nero
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Subsound Records
  • Genere: avant-garde, jazzcore

Links:

Sito Ufficiale

Facebook 

Bandcamp 

Instagram 

Youtube 

Spotify

Autore