Dando per scontata la presenza di band e la loro capacità di incarnare ed esprimere l’essenza di un movimento artistico, una scena underground vive e si consolida intorno ad una manciata di elementi: i locali disposti ad ospitare proposte originali, etichette pronte a promuoverne la diffusione e un giornalismo musicale che si occupi del fenomeno. Sicuramente il sodalizio tra la Masked Dead records, che mira ad un roster di particolare eccellenza ed originalità, e la fanzine Sulphur incarna una leva importante nel predisporre ad una “rinascita” del black metal inteso come “genere di confine” e di sperimentazione. È sotto le ali di questi due attori emergenti che la musica dei Boleskine House fa il proprio debutto con “Miserabilist Blues”, EP consistente di quattro tracce per oltre 40 minuti di durata. Il duo milanese, Raven Borsi che si occupa delle vocals e dei testi e Nicolò Misrachi che si occupa di tutti gli strumenti, propone un post black metal, fortemente intessuto di dark wave e suggestioni doom, e improntato ad un approccio shoegaze, nel senso di fortemente introspettivo. Il tributo allo shoegaze è palesemente dichiarato con “When You Sleep”, cover dei My Bloody Valentine posta in chiusura a porre il sigillo sul mood di riferimento e al contempo cristallizzando l’approccio al songwriting dei Boleskine House. La struttura di “When You Sleep” , a partire dal riff d’apertura dell’originale di cui si mettono in risalto in questa versione il basso pulsante e le chitarre “liquide”, spostando i riferimenti verso un gusto maggiormente dark wave, viene infatti sottoposta ad un processo di decostruzione che apre il campo a contaminazioni stilistiche afferenti al black metal: il “tema originale” viene esposto nell’arco di sei battute, la prima affidata al basso e alla batteria, nella seconda fa il suo ingresso l’arpeggio in clean liquido, nella terza e nella quarta battuta, al netto della differente produzione, campeggia la versione “originale” che nelle successive due battute vede la ritmica ingrossarsi sulla doppia cassa e sui tom. Il che va a ricordare in qualche modo l’utilizzo di ritmiche “tribali” proprie della dark wave, ma qui decisamente “imbastardite” da una doppia cassa più spiccatamente metal. A questo punto, sfruttando una battuta di marcato rallentamento, il tema si sfilaccia, l’arpeggio pulito e la ritmica di chitarra cominciano a giocare in contrappunto (con ingresso della ritmica in levare). Questo andamento “divergente” è il pretesto per l’introduzione di una sezione in blast beat che approda ad un arpeggio pulito che ha il sapore di certo Satriani degli anni 90. Un feedback della chitarra ci introduce in una magniloquente sezione dalle armonie celestiali e un andamento doom affidato alla batteria e al growl profondo e distante. Il tema principale dei My Bloody Valentine viene trasfigurato da un arrangiamento in twin guitars divergenti nella metrica e nell’andamento armonico mentre la batteria, svincolandosi dal tono doomy, si prodiga in una serie di rullate in bilico tra atmosfere floydiane e fraseggi progressive se non addirittura jazzy. La ripresa del riff originale, con un cantato affidato ad un growl arioso e sognante, è la premessa ad un’ulteriore lavori di rilettura e sviluppo del tema melodico, affidato ad un riffing in tremolo picking e ritmiche spezzate in cui black metal e thrash metal trovano un singolare ed efficace equilibrio. Una manciata di battute su questa direttrice, un nuovo stop atmosferico commentato da voce pulita e si riprende fino alla conclusione con il riff originale, lavorato in doppia cassa e growl a definire un’atmosfera al contempo luminosa ed oscura. Il trattamento di una cover dice molto sull’approccio compositivo di una formazione, e quanto fatto su “When You Sleep” inquadra un approccio di decostruzione dei temi portanti, a livello armonico e metrico, che viene ampiamente confermato nelle composizioni originali.

L’ampio respiro della scrittura consente ai Boleskine House di sviluppare i propri temi con cura delle sfumature e dei dettagli, seguendo un flusso di continuo riarrangiamento stilistico, metrico e ritmico senza mai perdere uno spiccato senso per la melodia e le stratificazioni armoniche. Anche nei frangenti più marcatamente black metal, come nell’opener “Black House Painters” dove intessono un riff circolare, dal vago sentore di Cradle Of Filth, su tappeto di doppia cassa e accellerazioni in blast beat, le trame intessute dalla chitarra in tremolo picking mantengono un senso di grandeur e ariosità. Di sospensione sognante. Sensazione che esplode in maggior misura nelle sezioni “doom” che pure rifuggono ogni senso di oscurità e oppressione o malignità che generalmente si associano a questa definizione. La struttura delle composizioni riflette e incarna l’artwork della copertina che ritrae una parete su ci campeggia il ritratto di una giovane donna “angelicata” che stringe a sé un quadretto dalla cornice rossa. Tutto intorno al ritratto ci sono piccoli quadri dalla cornice rossa che ospitano elementi simbolici e di introspezione psicologica e spirituale. A chiudere questa composizione pittorica che rappresenta una sorta di “altare del sé”, troviamo un gruppo di candele spente. Come fosse un memoriale abbandonato dell’anima.
Questo senso di unità e di frammentazione è perfettamente espresso dalla musica dei Boleskine House che dispiegano, attraverso gli arrangiamenti dei temi, le diverse componenti di un’emozione o, forse, di un’anima. In “Black House Painters” la costruzione di questo flusso emotivo è ben esemplificata dalla costruzione simmetrica del brano, aperto e chiuso dal medesimo arpeggio che, ci appare come un ricordo che si va colorando e gonfiando di dettagli ed emozioni, si dispiega e di ispessisce e poi torna a diventare un’ombra effimera.
L’impronta fortemente artistica, sentimentale, filosofica in un certo senso, di questo lavoro è del resto esposta con chiarezza nel manifesto di intenti riportato nel press-kit:
Boleskine House è un luogo dove chiunque può trovare rifugio dalla rovina della propria vita; un luogo immateriale ove crogiolarsi nelle proprie fantasie nostalgiche prima che svaniscano senza lasciare traccia. Una dimora che inevitabilmente cambia a seconda delle esperienze personali di chi ascolta.
In “Need” torna più forte l’impronta shoegaze, per via del riffing principale, e si confermano le sezioni doom e i preziosi arpeggi in clean, e il continuo gioco di compressioni e rarefazioni.
“A place To Mourn Forever” predilige trame più gotiche e doomeggianti, trasfigurando un senso di pomposa epicità black attraverso la decostruzione delle chitarre che seguono percorsi divergenti ed articolati supportati eccellentemente dalla sezione ritmica che assume connotati al limite del technical death metal nel supportare l’anima progressive dei Boleskine House che emerge e si impone attraverso trame che riescono ad evocare Emperor da una parte e Ulcerate dall’altra, mantenendo un mood epicamente gotico. Continuo a sentire progressioni armoniche degne della fusion di Satriani nonostante l’incipit del brano sia il più compiutamente metal per poi subire una serie di decostruzioni in cui arpeggi in clean e contributi solisti sono l’innesco per fluide trasfigurazioni stilistiche di un tema armonico che non riesce a trovare pace. Sotto certi aspetti mi hanno ricordato le composizioni dei Moonsorrow (finlandesi) ma qui c’è una ricchezza di cambio di registro e di riferimenti che dà un senso di vertigine fino alla pacificante conclusione affidata ad un pianoforte che sembra distillare finalmente l’emozione che ha condotto a questo travagliato, quanto entusiasmante, viaggio sonoro.
Un esordio quello dei Boleskine House che, pur assumendo coordinate stilistiche quali il black metal o il doom gotico, riesce a trascenderle completamente mutando la direzione della propria ricerca. In questo senso il lotto di canzoni proposto è da intendersi come “diario” di questa ricerca sonora il cui punto di arrivo, e mi auguro di partenza per il futuro, risiede in “A Place To Mourn Forever”.
Black metal o gothic doom, trasfigurati dall’esperienza shoegaze, qui mi sembrano seguire quel percorso evolutivo che ha portato il punk, attraverso la dark wave, a raggiungere la ricerca sonora di progetti quali i Dead Can Dance da un lato e Einstuerzende Nuebauten dall’altro.

 

Samaang Ruinees

 

Tracklist:

  1. Black House Painters
  2. Need
  3. A Place To Mourn Forever
  4. When You Sleep (My Bloody Valentine cover)
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Masked Dead records
  • Genere: Post Black Metal

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Autore

  • classe 1970, dopo aver fatto studi musicali classici scopro a 15 anni il metal. a 17 anni il mio primo progetto (incubo - thrashgrind), poi evolutosi in thrash tecnico con gli insania (1989-1997) e infine in death-thrash con insania.11 (2008-attivo). prediligo negli ascolti death e black ma ho avuto trascorsi felici con la dark wave e l'industrial. appassionato di film e narrativa horror, ho all'attivo un romanzo pubblicato e la partecipazione con dei racconti ad un paio di antologie.

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