Cosa c’è di più disarmante della verità? E cosa c’è di più inesorabile delle prime impressioni? Avete presente quando, nel giro di una frazione di secondo, il nostro cervello rettile attribuisce automaticamente a qualsiasi cosa entri nel nostro raggio di percezione una qualifica? Un meccanismo istintivo, irrefrenabile, dei cui esiti poi ci potremmo pure pentire, vergognare, ricredere, ma restano comunque il nostro punto di partenza nell’indagine della realtà. Ciò accade con i luoghi, le persone, le cose e, naturalmente, anche per la musica. Quando ricevo la cartella con i file del gruppo da recensire, senza che io ne abbia il pieno controllo, il primo elemento che percepisco inizia a costruire il mosaico di impressioni necessario a scrivere queste righe: può essere una foto della band, la copertina, il testo di presentazione, quello di un brano oppure una traccia audio.

Nel caso dei torinesi “Isometry”, al debutto con questo “Break The Loop”, apro il file “Copia di IMG_1955.HEIC”, mi appare una foto di gruppo e, prima ancora di rendermene conto, li ho battezzati: “Il Palestrato”, “Il Terrone Strafottente”, “Il Pelato” e “Il Fuori Tempo Massimo”. Aggiungete il nome della band, che mi è parso abbastanza generico, una copertina da videogioco pseudofuturibile di terza fascia, una biografia amatoriale e un assaggio dei primi secondi di una intro “orchestrale” e potete immaginare con quale zavorra di pregiudizi il prog Metal dei nostri ha iniziato la sua faticosa strada in salita verso le mie orecchie.

Quando ho poi avuto modo di ascoltare il disco per davvero, la forza di questi quattro musicisti, ascolto dopo ascolto, ha avuto la meglio, conquistandosi sul campo, una traccia alla volta, il mio sincero apprezzamento!

Partiamo ad esempio da quella famigerata intro, che si rivela ben più interessante, strutturata e consistente di quanto i generici sample orchestral-cinematografici mi avessero fatto credere, dimostrandosi un brano sensato che introduce con efficacia nelle atmosfere distopiche di questo concept che, da quanto ho capito, riprende il classico tema della ricerca interiore e dell’autodeterminazione, in un futuro fatto di omologazione tecnologica e altre brutte storie.

Quasi tutti i brani sono collegati, scivolando uno dentro l’altro in maniera piuttosto naturale, così “I” cede il posto a “Shards Of Mind”, una mazzuolata in stile Symphony X impressionante per impatto e ricchezza, e dotata perfino di un ritornello trascinante alla Ricky Martin talmente efficace che vi troverete a canticchiarlo fin da subito! Una apertura col botto, in cui iniziamo a conoscere il brizzolato cantante Andrea Perdichizzi grazie ad un timbro magari non originalissimo, ma potente e assertivo, fortissimo nei frangenti più intensi (pur senza mai sbavare in sporcature growl); e un assolo matto da parte di un chitarrista evidentemente molto dotato e capace di divertirsi: Lorenzo Carrano. 

Ma il musicista che mi ha colpito di più è il batterista Alberto Ferreri, dallo stile muscolare ed atletico che collocherei tra Mike Terrana e Bobby Jarzombek, erculeo e possente ma anche dotato di un’intelligenza musicale ed una sensibilità che difficilmente avrei associato alla sua fisicità. I suoni della sua batteria saranno pure campionati, ma lo strumento è pestato con una tale frenetica foga da rimanere percepibile: come se picchiando forte i tamburi potesse spremerne fuori le note per ribadire e integrare i riff, in una smania di partecipare e contribuire al risultato sonoro che mi ha veramente colpito!

La lunga title track si apre con un arpeggio di tastiera che fa da supporto alla versione soft e intimista della voce di Andrea, che preferiamo di gran lunga in versione hard. La canzone evolve spigolosa e multiforme, senza dimenticare di incorporare melodie di facile presa (quella del bridge mi ha ricordato “Lasciati Toccare” degli 883…), uno spiegone robotico parlato/recitato e un ritornello finale che vale i quasi otto minuti del pezzo.

Non ho informazioni in merito a chi si è occupato di comporre e suonare le abbondantissime tastiere e orchestrazioni che costituiscono una percentuale molto importante della resa finale della musica degli Isometry, ma il lavoro è davvero notevole, sia come mole, sia come qualità.

Il radocrinito Luca Capurso, (che un tempo aveva i capelli lunghi e a cui va tutta la mia solidarietà umana) si rende protagonista di “Mesmerized” portando in primo piano il suo basso intervallando accompagnamento di supporto a incursioni leggermente più invasive, dimostrando grande senso di equilibrio. Ma è nella ostica strumentale “Outcast” che possiamo goderci al meglio le velleità virtuosistiche degli strumenti a corda, in un tumultuoso avvicendarsi di sezioni non sempre digeribilissime che man mano si alleggeriscono sciogliendosi nell’introduzione pianistica della power ballad “One Entity”, che anche se sembra un po’ una riscrittura moderna di “Wild World” di Cat Stevens, mostra una bella gestione delle dinamiche, col drumming iperproteico di Alberto che sostiene la gagliarda voce di Andrea mentre si spinge ad altezze ragguardevoli in un saliscendi di intensità che si ripropone anche nella successiva “Choice Is Yours”, brano chiave del concept (presumo). Bella la melodia vocale iniziale che evoca i Fates Warning anni novanta in salsa italica, belle cariche le parti più sostenute, tra l’epico e il radiofonico il ritornello, un altro bell’assolo per Lorenzo e un inatteso tema finale di flauto, suonato dal talentoso Luca.

Concede meno all’ascoltatore “Final Reconnection”, che alterna momenti di densità molto differente in cui l’esercizio di stile ha la meglio rispetto al coinvolgimento. Ci si avvicina alla fine con “Beyond This World“, altra composizione strumentale, ad alto minutaggio ed elevato tasso di progghitudine, in cui torniamo ad ascoltare il flauto, i riff spigolosi, le fughe di basso, i sintetizzatori che conducono le danze e le consuete mazzate di batteria. La conclusiva “X”, che affida la chiusura del concept ad un abusato ma sempre efficace pippone parlato/recitato, è un brano che è riuscito davvero a sorprendermi e divertirmi con la sua capacità di transitare con estrema naturalezza dal prog Metal alla musica elettronica da dancefloor, reinventandosi man mano fino a divenire un motivetto che le mie compagne di classe di metà anni novanta avrebbero ballato senza problemi in tutte le disco di provincia e che anch’io (ma non ditelo a nessuno) mi sono ritrovato a sgambettare… Spiazzante ma organico. Bello!

Ciò che mi ha colpito di “Break The Loop”, che recensiamo a quasi un anno dalla pubblicazione, è la capacità dei singoli musicisti di fare emergere la propria personalità individuale senza sabotare la compattezza dell’insieme, proprio come nei gruppi veri di una volta.

Sapete la verità? A me, contro ogni aspettativa, questo disco è proprio piaciuto!

 

Marcello M

 

Tracklist:

  1. I
  2. Shards of Mind
  3. Break the Loop
  4. Mesmerized
  5. Outcast
  6. One Entity
  7. Choice Is Yours
  8. Final Reconnection
  9. Beyond This World
  10. X
  • Anno: 2023
  • Etichetta: The Triad Rec
  • Genere: Progressive metal

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