Sotto al nome dei Node, che gira dal 1994, si sono avvicendati davvero tanti musicisti, comportando nel corso di sei album e tre EP un’inevitabile disomogeneità stilistica. Ci siamo trovati infatti quasi sempre di fronte ad una nuova band in occasione di ogni nuova uscita discografica e anche per questo settimo “Canto VII” (appunto…) abbiamo un assestamento nella formazione: il veterano Gary D’Eramo passa al basso, Gabriele Ghezzi (già presente sull’EP del 2018) rimane come unico chitarrista e Davide Arri debutta come nuova voce del gruppo.
L’assalto sonoro e la tecnica esecutiva restano una costante anche in questa nuova versione dei Node, che si sforza di essere al passo coi tempi incorporando breakdown, melodie e tante “tastiere” o, per meglio dire, pad, tappeti e ambientazioni sonore.
Dopo il capolavoro “Inferno” (1973) dei Metamorfosi, ho sempre approcciato con sospetto e diffidenza i gruppi che ripiegano su Dante e la Commedia per cercare di puntellare il proprio lavoro e ammantarlo di un’aura culturalmente elevata, come se per osmosi parte di quella grandezza potesse trasferirsi alla propria opera, ma in questo caso ci liberiamo immediatamente dei riferimenti danteschi con l’intro “Pape Satàn”, il cui celebre incipit ci porta poi a scendere nel IV cerchio, dove tirchi e scialacquatori sono condannati a far girare grosse palle di pietra.
Con “Enter The Void” si entra anche nel vivo del disco, con un brano che sintetizza i quaranta minuti successivi: riffing serrato, tanta varietà, aperture old school, intermezzo “acustico”, solismo spinto, la batteria di Pietro Battanta che tiene tutto insieme e la versatile voce di Arri che alterna rasoiate sottili, acide e taglienti a un growl più profondo e grave, coprendo una ricca gamma di colori. Proprio questa ricchezza, questa abbondanza di stimoli, rischia però di arrivare alle nostre orecchie affamate senza essere stata prima plasmata, filtrata e predigerita, come ogni brava mamma uccello farebbe, così ci troviamo a dover gestire un calcestruzzo eterogeneo all’interno del quale facciamo fatica ad individuare dei sassolini più interessanti di altri, travolti dal flusso della betoniera. Ad esempio, io questo “Canto VII” l’avrò sentito almeno una dozzina di volte, eppure non mi ricordo nemmeno una canzone! Certo, sarò pure un ascoltatore ignorante, distratto e superficiale, ma sembra proprio che l’intenzione dei quattro lombardi non sia esattamente quella di farci cantare dei ritornelli, bensì investirci di tutte le proprie frustrazioni, rabbie e malinconie, come una zia logorroica. Una zia dall’eloquio piuttosto forbito e dalle argomentazioni musicali interessanti, è vero, ma pur sempre difficile da mandare giù.
Le otto canzoni scritte per l’album non sono certo prive di spunti interessanti, ad esempio ricordo con piacere il bellissimo assolo di “Life On Display”, il chitarrismo frenetico di “Resign Yourself” che sfocia in un ricchissimo riffone stoner groove, il bell’andamento con ritmo seghettato di “The Cage” e una gran quantità di piccole gemme che, nel momento in cui le sentiamo, ci fanno dire “Figo!”, ma che poi si rivelano poco incisive nel lungo periodo.
Si sente che questo è il disco di una band che lavora, che si impegna e butta dentro di tutto, ma a mio avviso il risultato finale non riesce a rispecchiare tanto sforzo, a condensarlo in composizioni-proiettile.
Anche liricamente ci troviamo intrappolati nei soliti ambiti del rapporto con la tecnologia e la società senza che emergano spunti interessanti, o anche solo un punto di vista un pochino originale.
Anche per me è difficile esprimere cosa non funzioni in un disco così ben suonato, ben prodotto e, per certi versi, ricercato: l’unica cosa che posso dire è che dubito tornerò a riascoltarlo, lasciandolo sparire trascinato via dall’incessante flusso di nuove uscite.
Comunque vi consiglio di dare un’occhiata almeno al video di “The Sacred Theather of Nothingness”, sobrio ed essenziale, perché probabilmente su di voi qualcuno dei tanti elementi di pregio dei Node potrà attecchire maggiormente rispetto a quanto non abbia fatto con me.
I Node hanno poi la non del tutto felice idea di aggiungere al disco una versione di “Territory” dei Sepultura abbastanza fedele (giusto più grave), tutto sommato ben fatta ma, inevitabilmente, inferiore all’originale. E il fatto che, nonostante ciò, sia il brano che spicca di più all’interno del disco, qualche domanda me la fa venire…
Marcello M
Tracklist:
- Pape Sátan
- Enter the Void
- The Sacred Theather of Nothingness
- The Wolves of Yalta
- IGod
- Life on Display
- Resign Yourself
- The Cage
- Moan of Pleasure
- Territory (Sepultura cover)
- Anno: 2024
- Etichetta: Nadir Music
- Genere: Modern Thrash Death Metal
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