Il bravo Andrea Falaschi ci ha ormai abituato ad una grande attenzione alla componente estetica, grafica e scenografica in tutti i progetti a cui ha collaborato (in primis i suoi Deathless Legacy) e quindi non stupisce ritrovare la stessa cura e competenza anche in questo nuovo progetto in cui si propone, oltre che come batterista, anche come tastierista/compositore e cantante. Completa il duo il chitarrista e bassista Daniele Ciranna dei Motus Tenebrae.

Prendendo a prestito il nome dalla presunta setta degli antinomisti cainiti, i due allestiscono la storiella di questo prete ortodosso che, diventato vampiro senza volerlo, affronta l’eternità in un continuo tormento tra residuale fede in dio e sete di sangue. Ora, in un universo alternativo parallelo in cui non esistono Batushka, Powerwolf o Ghost, forse potremmo pure provare una certa curiosità nei confronti di questa proposta, anche se quello del vampirismo è un tubetto di dentifricio talmente spremuto che si fa davvero fatica a cavarne qualcosa di interessante oltre alle solite considerazioni e implicazioni (tormento eterno, morte, sangue, dannazione, desiderio di una fine…). E devo dire che i ragazzi non è che si sforzino poi tanto a cercare di inserire uno spunto originale, accontentandosi di confermare tutti gli standard più gettonati.

Se è vero che il concept del disco potrebbe essere un buon canovaccio per una serie tv, lo è anche il sospetto che la componente visuale sia preponderante rispetto a quella strettamente musicale. A volte, sentendo il disco, ho avuto proprio la sensazione che lo scrivere canzoni fosse solo uno scomodo pretesto per poi potersi vestire da prete vampiro e girare un bel video in cui spararsi le pose facendo gli occhi pazzi e muovendo le mani da prestigiatore. Purtroppo ho fatto la maggior parte degli ascolti di “Revenant” prima di guardarmi le versioni video che, va riconosciuto, rendono la fruizione molto più gradevole e coinvolgente, trovando in qualche modo conferma alla mia supposizione.

Faccio mea culpa per non aver ancora parlato di musica, provando a descrivere lo stile compositivo dei Cainites che, rimanendo all’interno del filone del death gotico, melodico e moderno, prediligono strutture articolate ma piuttosto semplici, lineari e user friendly, alla ricerca di un ritornello minimale e melodico sulla scia di Paradise Lost o Samael che però, quasi sempre, si rivela l’elemento più debole o insapore del brano, capace persino (quando viene utilizzata la voce pulita) di far traballare la credibilità dell’intero progetto per via di una performance al di sotto delle aspettative. Se il growl narrativo e teatrale, quasi parlato o sussurrato, pur nella sua  mancanza di impatto rientra negli standard di genere suonando alla fine dignitoso e credibile, i cantati melodici (quelli in cui per lo più il prete vampiro prega e chiede perdono e/o morte a dio) sono davvero deboli, con una voce che riesce ad essere fragile senza diventare intima e coinvolgente. Certo, anche Nick Holmes era parecchio stonato, ma aveva un suo perché…

Mi rendo conto di essere stato abbastanza duro finora nei confronti della band e non vorrei che le mie parole mettessero in ombra l’innegabile capacità, la competenza e il grande lavoro che stanno dietro ad un prodotto del genere, che ha comunque legittime ambizioni di visibilità anche internazionale. Il disco è tecnicamente ben fatto e, sotto molti aspetti, estremamente curato. Solo mi dà la sensazione di trasmettere poco vero sentimento, in tanta messinscena: ok il trucco, i costumi, il concept, ma poi? C’è l’idea per la ricetta, ci sono gli ingredienti, ma poi non si sbattono le uova. Capisco che si tratti di preti vampiro dannati, ma a me sembra un disco senz’anima.

Come dicevo, “Darkness Awaits” rende meglio in video, e posta in apertura del disco è un ottimo sunto di ciò che ci aspetterà nei successivi quaranta minuti: un alternarsi di martellante Metal moderno guidato da riff efficaci ma effimeri, aperture rarefatte con voce pulita, quel vociare growlato enfatico che alla lunga perde incisività e una generica atmosfera, oscura ma pulita.

Prima di rivolgersi al Principale, i preti vampiro invocano la Madrediddio, “Teotokos”, ma pare che neppure l’ambito menarca della vergine possa saziare la sete di sangue dei nostri vogliosi prelati. Il pezzo picchia duro e insiste più sul versante metallico che su quello atmosferico, evocandomi nei suoi momenti migliori una sorta di Bal Sagoth spogliati delle tastiere.

Vampire God” è l’altro singolo, dotato di un bel riffone catchy e di un ritornello particolarmente insipido, ripetuto prima in growl e poi con voce pulita.

God’s Wrath” ha un’infilata di riff capaci di suonare familiari, che è un modo carino per dire “già sentiti”, che probabilmente, associati al ritornello che non ci racconta nulla di nuovo, in una stagnazione narrativa evidente, ha contribuito potentemente a quella sensazione di scarsa ispirazione a cui accennavo qualche riga fa. Un brano che ha tutto il classico sapore del filler.

Sempre assestata su andamenti molto sostenuti e alternanze cadenzate, “We Lost Our Sanctity” può però vantare quello che forse è il ritornello migliore (insieme a “Darkness Awaits”), confermando in ogni suo frangente l’omogeneità stilistica del disco.

La capacità di sparare riff di Daniele è davvero notevole, anche se, dopo averci affascinato con la loro attraente frastagliata geometria, si sciolgono come cristalli di neve poco dopo l’ascolto. lasciando solo l’impressione di un generico biancore. “Forgieve Our Sins” è una bella nevicata passeggera. Dal brano “Cainites” mi aspettavo una sorta di manifesto musicale, ma l’unico elemento di spicco è la parte in cui viene recitata la famosa scena dal libro della Genesi in cui Yahweh cazzia Caino, marchiandolo in qualche modo. Come questo si colleghi alla sete di sangue non mi è chiaro, ma la raffica di doppia cassa si porta via i dubbi, lasciando poi il passo ad un moscio coretto  di “ooooh”.

Bellissima l’introduzione di “Embrace”, che mi ha ricordato le arcigne chitarre armonizzate dei mitici Trouble! Il brano evolve tra un gran bel riffing massiccio e un arpeggino con voce da maniaco telefonico, prima di sfociare in un ritornello di una sciatteria melodica tale da far cadere le braccia, in cui si stenta a riconoscere la stessa figura che nell’intro aveva funzionato così bene.

Forsaken” ha un che di standard che mi ha ricordato gli Arch Enemy, per un songwriting professionale ma poco incisivo: mentre lo ascolti fai su e giù con la testa, poi, finito il pezzo, non ti ricordi un cazzo.

Il cantato pulito si avventura fuori dai confini dei ritornelli e si fa strofa in “Redemption”, purtroppo con gli stessi prevedibili risultati. Il disco si chiude senza quel picco emotivo che ci saremmo aspettato: ci meritiamo giusto un altro assaggino di chitarre dei Trouble prima della nenia lamentosa finale in cui il prete vampiro invoca (con tutti noi) la morte liberatrice.

Se fossi un produttore Netflix, con buona probabilità, confermerei la seconda stagione, ma nel prossimo disco mi aspetto molto, molto di più.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Darkness Awaits
  2. Theotokos
  3. Vampire God
  4. God’s Wrath
  5. We Lost Our Sanctity
  6. Forgive Our Sins
  7. Cainites
  8. Embrace
  9. Forsaken
  10. Redemption
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Scarlet Records
  • Genere: Melodic Gothic Death Metal

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