È davvero un’impresa tentare di descrivere il suono dei pugliesi Moonoises, che debuttano con questo dischetto oscuro e notturno, ma ricco di sfumature che suggeriscono un’eclettica tavolozza di ispirazioni e riferimenti. Per quanto l’intero “She – The Void” (credo il titolo sia un velato riferimento alla Signora con la falce) suoni piuttosto omogeneo e privo di particolari picchi o sobbalzi, è possibile gustare una varietà di sapori che, per quanto esplicitamente derivativi, conferiscono al quartetto un’identità ed un’originalità che ho sinceramente apprezzato, al di là del mio gusto personale.

Se ascoltando queste nove tracce percepirete sentori di Christian Death, residui post rock e post punk, qualche spolverata di muffe doom, divagazioni shoegaze, un dark gothic epurato della componente tossica e un certo apparentemente inspiegabile retrogusto black Metal vorrà dire che abbiamo avuto le stesse sensazioni.

La musica dei Moonoises è scura, ma non minacciosa, è più urbana che forestale e, pur suggerendo una genetica Metal non si esprime mai in forme particolarmente intense e tanto meno violente: la batteria di Fabio De Iaco (ora sostituito da Ivan Giannaccari) non si avvicina mai a beat estremi, neppure quando le progressioni armoniche hanno un esplicita ascendenza black Metal (come nel brano di apertura “Black Beyond”) così come la voce di Tony Gianfreda non arriva mai a sporcarsi, rimanendo sempre nell’ambito melodico, tra il lamentoso e l’intenso, toccando sì un’ampia gamma di dinamiche e di espressività, ma senza raggiungere praticamente mai picchi di memorabilità in termini di coinvolgimento emotivo o di scrittura melodica. Insomma, non vi ritroverete a canticchiare ritornelli, dato che le melodie vi si scioglieranno tra le dita senza lasciare tracce indelebili. Ma, come ho già scritto, questi ragazzi sono capaci di stupire e spiazzare, inserendo elementi stilistici inattesi, eppure perfettamente calzanti: ecco così una sorprendentemente frizzante e malinconicamente melodica “Cold Grey”, che riecheggia i Voivod di “Angel Rat” e la new wave (qualsiasi cosa significhi). Degno di nota anche il ritornello di “Rope”, che arriva a contraddire quanto ho detto finora a riprova della molteplicità di sfaccettature e sfumature che, pur rimanendo nelle gamme dei grigi, i Moonoises sanno esprimere.

Le chitarre di James Lamarina non sembrano suonare veri e propri riff, ma costruiscono strati di nebbie e delay, architetture verticali da piovosa periferia industriale e suggestive atmosfere di comoda inquietudine e disturbante conforto.

Protagonista il basso di Marco Lorotondo, che oltre ad occuparsi dell’aspetto estetico (molto belle le grafiche e i loghi, un pochino meno l’artwork), pilota le proprie linee con la consapevolezza di essere il principale responsabile della componente melodica, dato che la chitarra è impegnata ad affrescare fondali ed allestire scenografie.

Forse è solo un limite dovuto alla mia scarsa dimestichezza coi generi preferiti da questi ragazzi, ma a mio avviso alle canzoni di “She – The Void” manca un po’ di piglio e incisività, quella capacità di imporsi in maniera icastica e assertiva, rischiando che i diversi brani si amalgamino in un unico polpettone.

Credo l’incombenza maggiore spetti alla voce, che al netto delle buone capacità, ha ampi margini di miglioramento in termini di carisma e capacità comunicativa.

Ci tengo a sottolineare che ho apprezzato particolarmente la conclusiva “Mirror” e le sue autentiche atmosfere doom, lontane dagli stilemi omologanti e genuinamente retrò.

Un gruppo a mio avviso ancora acerbo, ma molto promettente e sicuramente più interessante di tanti colleghi con le copertine simili.

 

Marcello M

 

  • Anno: 2024
  • Etichetta: These Hands Melt
  • Genere: Dark post rock

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