Sarà perché vengono da Imola, che sta a soli 60 chilometri da me, o forse perché sono più o meno miei coetanei, ma a me i Vicolo Inferno hanno ispirato subito una certa simpatia: attivi da più di vent’anni, pubblicano ora il terzo album, dimostrandosi una band che fa dischi quando ne ha la necessità espressiva e non per fare mucchio. Ciò appare evidente dalla tipologia di songwriting, che si esprime in brani sensati, scritti, provati insieme in saletta, collaudati dal vivo e sempre guidati da un testo che si sforza di esprimere un punto di vista originale, interessante, pensato.

Un gruppo vero che fa canzoni per davvero.

E adesso che gli ho imburrato la saponetta, passo a dire anche che, nonostante gli ammirevoli sforzi, il cantante e autore Igor Piattesi non è che sia proprio Pascoli e, a giudicare dalla sintassi inglese non sempre fluida o solidale nel rapporto metriche/sillabe e dall’articolazione a volte un po’ macchinosa, neppure Shakespeare, ma le idee ci sono. E nonostante abbia apprezzato la sua voce allenata, capace di passare da tonalità morbide a una sgranatura molto rock, non incontra il mio gusto la sua scelta di appoggiarsi fin troppo spesso a modelli melodici, compositivi ed espressivi tipici di quello stile U.S.A., quel fraseggiare melodie apparentemente articolate ma sempre giocate all’interno delle stesse, collaudatissime progressioni, che ascoltiamo nei ritornelli di tutti i gruppi o cantanti americani, dal metalcore al pop, il tutto spesso impastato in armonie ridondanti e generiche. Sarà un mio limite, ma trovo questo approccio alla musica poco interessante.

Più interessante è il dilemma che ci pongono quando ci si trova a tentare una definizione del loro stile: tra richiami espliciti all’heavy grunge degli Alice In Chains, accenni di metal tradizionale e american rock radio, la parolina che più spesso mi veniva in mente era “pop”. Non che manchino elementi oscuri o heavy, ma la sensazione è spesso quella di avere per le mani un prodotto user friendly, pronto per una eventuale diffusione di massa, senza che nessuno si spaventi.

Circle” si apre con ”Hidden”, con un riff grasso ed insinuante che si contorce fino a all’apertura di un ritornello innocuo, che avremo sentito cento volte.

Picchia più forte “Suspended” che sembra fondere vari aspetti dell’heavy statunitense, dai Vicious Rumors (!) al groove al melodic pop rock finto heavy. C’è pure un assolo molto vintage, che ho apprezzato per la sua innocente reazionarietà.

Mi è piaciuta molto l’insofferente “Sneez In A Mob”, incalzante e tesa, come una versione più pop degli ultimi Armored Saint, con bridge epico e il ritornello melodico che stempera un po’ di Fates Warning nel bibitone gusto cola. Altro delizioso assolino d’altri tempi (gruppo delle superiori?).

Bella l’idea dietro a “10.000 Pieces”, dall’andamento Black Stone Cherry, ritornello ampio, a note lunghe, cantato dal fratellino minore (e più tranquillo) di John Bush. A due terzi del pezzo parte un bel riffone, non adeguatamente valorizzato dalle parti vocali.

Curiosa la scelta del singolo “Cold Surface”, considerando che il ritornello dalla melodia neutra è la parte meno interessante di un brano che ha la sua forza nella semplicità coinvolgente delle strofe, con il bel basso croccante di Wallace in evidenza, e nelle atmosfere stranianti dei bridge. Bello il finalino.

Il tentativo di brano sentimentale si impantana nel polpettone “Wine Drops”, dalle melodie stanche e pesanti e dagli arrangiamenti ancor più frusti. Molto più interessante ”The Gift”, che sposta completamente l’atmosfera: dal sesso in auto ad un ipotetico osservatorio lunare da cui viene osservata da sempre la vita sul pianeta Terra. Un brano che dimostra la versatilità della band grazie ad atmosfere non prive di una certa epicità e intensità e che spicca tra i migliori del disco.

Sono rimasto deluso da “Gummy Bears”, per via dell’argomento simpatico delle caramelle di gelatina imbevute di vodka (a quanto pare sempre presenti nei camerini dei Vicolo Inferno), che mi faceva sperare in una canzone divertente, un minimo coinvolgente… non questa sbobba yankee.

Secondo me i ragazzi migliorano quando tornano a cercare ispirazione più vicino a casa, come in “Handle With S(Care)”, che racconta di un ciarlatano locale che tiene il diavolo in un barattolo (anzi, tre) in una composizione succosa, dotata di un incedere deciso e di un ritornello dalle sfumature inedite.

Il brano conclusivo è una bella riflessione sull’invecchiamento, il cerchio della vita, la presa di consapevolezza e il bisogno di condivisione. Un’atmosfera seria, matura, credibile nonostante qualche forzatura. Piacevolmente articolata e cangiante musicalmente, riesce a integrare nella ballad iniziale elementi pesanti e maggiormente complessi che mantengono viva l’attenzione.

Se per voi il cantato “all’americana” non è un problema, questo disco potrebbe proprio piacervi

Ultimo appunto: per essere un gruppo che ha sempre prestato attenzione all’estetica, presentando grafiche pulite e moderne ed un logo accattivante, colpisce il drastico cambio di registro (a pari qualità) adottato per questa pubblicazione, che li spinge verso un underground che non appartiene loro.

Marcello M

Tracklist:​

  1. Hidden
  2. Suspended
  3. Sneez In A Mob
  4. Pieces
  5. Wine Drops
  6. Cold Surface
  7. The Gift
  8. Gummy Bears
  9. Handle With S(Care)
  10. The Circle
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Rockshots Records
  • Genere: Heavy Groove Pop Metal

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