Leggendo la dicitura “hard blues band” temevo che mi sarei trovato tra le orecchie un polpettone impastato di pentatoniche e tempi cadenzati, quindi è stata una graditissima sorpresa farsi travolgere dall’apertura di “At The End”, così impregnata di Free e Grand Funk da sembrare un album d’altri tempi, se non fosse per la batteria di Marco Piran che, giustamente, non si fa scrupolo di inquinare l’approccio revivalistico dei suoi due compagni con robusti passaggi dal sound più aggressivo e “moderno”. Il brano ha un riff ultra derivativo, ma una melodia immediatamente accattivante e un bel tiro, tutto enfatizzato da una produzione deliziosamente nuda e cruda, dove possiamo sentire gli strumenti vibrare e respirare come se fossimo in sala prove con loro, con una sensazione di prossimità e presenza veramente coinvolgenti. Per questo brano hanno anche realizzato un videoclip amatoriale piuttosto tristo che vi sconsiglio di vedere, per non rovinare la buona impressione che la band dà di sé su disco (in ogni caso, lo trovate qui, ma io vi avevo avvertiti).

La performance dei tre musicisti è tecnicamente molto convincente, l’esecuzione è serrata e coesa e, soprattutto ad alti volumi, potrete godervi l’ottima resa di questa registrazione e in particolare l’eccellente lavoro al basso di Francesco Caldarola, preciso, pulsante e ancor più notevole se si pensa che lo stesso Francesco si occupa anche della voce solista! E parliamo di una voce acuta, spesso armonizzata, non particolarmente “rock”, che evita eccessi espressivi o dinamici, lasciandoci l’impressione di aver svolto un buon lavoro, ma senza riuscire a strisciarci sotto la pelle. Discorso analogo per le eleganti chitarre hard blues di Marco Marini, perfettamente coerenti coi dettami stilistici di riferimento, ma prive di un qualsiasi guizzo di originalità.

Nonostante io adori i power trio e vorrei sempre parlarne solo positivamente, mi trovo costretto a notare come, passato l’effetto sorpresa dei primi tre/quattro brani (con la vivace “Hater” e ”Find Your Place/Know Your Place” coi suoi richiami ai primissimi Rush) ci si trovi di fronte al classico caso di one trick pony, con la band che reitera la propria versione rimasticata di brani che appartengono ad altri musicisti, altre epoche e altri luoghi. E sì, anche i fill di batteria dopati di doppio pedale, superato lo stupore del primo “wow”, perdono il loro mordente man mano che si ripetono.

Anche la pronuncia un pochino scolastica ci fa percepire uno scollamento tra quello che i Blues Joke sono e quello che, probabilmente, vorrebbero essere.

Intendiamoci, non c’è nulla di sbagliato o scorretto in questo disco, che vede tre musicisti davvero abili confezionare il proprio mix di hard rock contaminato dal blues e caratterizzato da una spinta quasi “prog” verso strutture musicali più movimentate e interessanti che non passa inosservata.

E così i Blues Joke provano prendere più vario il proprio suono con l’utilizzo della chitarra slide in “Social Bugs” o provando a puntare tutto sull’impatto, come nella non riuscitissima “Let’s Rock You All”, che risulta poco credibile nell’intento di muovere qualche culo. Già, perché nonostante le tante innegabili qualità, sembra mancare un qualcosina, un certo fuoco, un elemento di spontaneità e urgenza che potrebbe rendere incendiario (e sensato) questo materiale.

E invece ci troviamo una sorta di Led Zeppelin di quarta mano in “Damned” e guardiamo con preoccupazione il fondo del boccale sulla stanca “In The Bad Times”. In compenso la conclusiva “Wasting Time” ha tutta la dignità di una vera canzone, equilibrata tra nostalgia ed energia, e ci lascia un buon ricordo di questo non più giovanissimo trio veronese.

Il gruppo c’è. Adesso ci vorrebbe qualche idea.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. At The End 
  2. Hater
  3. Find Your Place
  4. Know Your Place 
  5. Free Nine
  6. Social Bugs
  7. Let’s Rock You All
  8. Under This Cold Sky
  9. Damned
  10. In The Bad Times
  11. Wasting Time 
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Andromeda Relix
  • Genere: Hard Blues Rock

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