Mettiamo subito le cose in chiaro: i Ghost On Mars sono un gran gruppo e “Out Of Time And Space” è decisamente un bel disco. Quando la qualità è alta e manifesta, non c’è bisogno di stare a fare tanti giri di parole.

Musicisti sopraffini, non hanno avuto bisogno di fare sfoggio virtuosistico delle proprie abilità per convincermi, dato che sono state la consapevolezza ponderata, la precisione, l’equilibrio e soprattutto l’emotività a colpirmi. Non mi aspettavo di riuscire a trovare in un disco di prog Metal moderno della genuina emozione, ma vi basterà ascoltare il brano di apertura “Beyond The Mist” per ricordarvi che ciò che in origine ci fece innamorare della musica era proprio la sua capacità di farci venire i brividi, evocare immagini, colori, sensazioni, stati d’animo. Merito dell’approccio confidenziale del cantante, certo, ma è tutta la band a fare respirare questo complesso orologio meccanico con arrangiamenti cangianti e coordinati e, quando sentirete partire l’assolo di chitarra, avrete la conferma di quello che sto tentando di argomentare.

Raffinatezza è la parola che mi è venuta in mente più di frequente, alimentata dall’equilibratissimo garbo applicato in sede di mixaggio, al modo di trattare le armonie vocali, gli effetti, i pieni e i vuoti.

Anche se probabilmente il loro suono è più simile a gruppi come i Soen, mi è venuto spontaneo accostarli ai Fates Warning in virtù dell’approccio concettuale e adulto al prog che contraddistingue questi pezzi. Il loro suono è chirurgico ma non freddo o spigoloso. Le atmosfere sono notturne, distopiche, grondanti quella malinconia contemplativa di chi si è arreso a forze più grandi o ai propri stessi sentimenti. Per costruire il proprio immaginario i Ghost On Mars hanno attinto a piene mani alla cultura pop lasciandosi ispirare da libri, fumetti, film e serie tv, da John Carpenter a Stephen King, passando per Dylan Dog e I Robot, riempiendo la loro cameretta virtuale di poster oscuri e affascinanti.

Vorrei tornare a parlare del cantante, che caratterizza così fortemente la band con il proprio modo di cantare attaccato al microfono, alternando bisbigli e sussurri a fraseggi a voce piena, che piena non sembra mai del tutto, come se si trattenesse per non farsi sentire dai vicini o per paura di esplodere. Questo limite di range dinamico autoimposto non è necessariamente un male, dato che contribuisce ad alimentare quel clima intimista e crepuscolare, delicatamente enfatico che rende distinguibile la band. Ci sono anche inserimenti di voce in growl, (che non so se siano opera della stessa persona o meno) di cui potremmo anche fare a meno, ma che aiutano ad aggiungere un poco di varietà.

Già, perché se proprio dovessi trovare un difetto ai fantasmi marziani è forse la ripetitività delle stesse modalità espressive, dello stesso stato d’animo (ma anche delle stesse strutture e di melodie costruite con la stessa logica) che rendono sovrapponibili, almeno cromaticamente, svariati episodi dell’album (A pleasant shade of grey?).

Ho trovato efficacissimo il brano “Quarantine”, con la strofa sincopata, il bridge ascendente entusiasmante, tante trovate ritmiche interessanti ed un testo intelligente. Inquietante e da brividi l’introduzione di “They”, di cui potrete vedere il bel video qui. Coinvolgente il racconto di chi vede la luna per la prima volta dopo una vita passata sottoterra di “That Time I Saw The Moon”, mentre l’altra canzone con la luna nel titolo mette in gioco ingredienti musicali decisamente più ordinari. “Back To Life” mi ha ricordato melodie alla Anathema post Alternative 4, che però interpretate con passione italica perdono un po’ quel fascino maledetto.

Ho notato come temi ricorrenti la mostruosità, la notte e l’emarginazione sociale, declinati in varie modalità. Ricorrente è anche lo stile vocale lamentoso e sofferente che, alla lunga, potrebbe scoraggiare diversi ascoltatori e devo dire che, se non fosse per l’alta qualità degli arrangiamenti, che tengono i brani sempre in tensione e non ci lasciano mai senza qualcosa di gustoso da sgranocchiare, questo materiale sonoro avrebbe rischiato veramente di essere una noia mortale.

Se avrete voglia di immergervi in questa vasca piena di notte liquida e galleggiare per un’oretta in un dolce languore malinconico visualizzando racconti, non dovrete andare su Marte: i Ghost On Mars sono già atterrati.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Beyond The Mist
  2. Quarantine
  3. They
  4. Carbon Skin
  5. Nocturnal
  6. That Time I saw The Moon
  7. Under A Crescent Moon
  8. Back From The Dead
  9. Back To life
  10. Lost Signal
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Willowtip Records
  • Genere: Modern Prog Metal

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