E voi lo sapevate che i Twenty Four Hours da Fano sono un gruppo attivo da quarant’anni nella scena progressive psichedelica sperimentale italiana? Io lo ho scoperto in occasione di questo loro ultimo “Rubbish”, uscito in vinile grazie ad  un’iniziativa di crowdfunding.

È vero, il loro suono non c’entra granché con la musica che di solito trattiamo su queste pagine, ma il loro disco mi ha tenuto compagnia per tutta una mattinata di lavoro, quindi scrivo volentieri qualche impressione, nonostante non sia certo un esperto di art rock…

Ciò che più mi ha affascinato di questo progetto è il fatto che abbiano registrato praticamente tutto dal vivo in presa diretta, quindi quella che potrete sentire in questi quaranta minuti è una vera band che suona insieme, che sembrerà una banalità, ma se ci pensate bene è qualcosa di davvero raro al giorno d’oggi.

Il suono dilatato e morbido dei Twenty Four Hours ha il sapore di lunghe improvvisazioni e, nonostante l’iniziale “Harold & Maps” sembri proprio un esercizio di stile a partire da un paio di accordi, si rivela invece dotata di una gradevole melodia vocale sia per le strofe che per i ritornelli, che rendono più digeribili i lunghi assoli di chitarra, tastiere e sassofono che si accavallano e danno il cambio con scioltezza, in un’atmosfera jazz rock che mi ha ricordato i Colosseum con una venatura lounge.

La lunga title track è il solo brano in cui la band si è concessa qualche sovraincisione e un po’ di mixing creativo per allargare ulteriormente con effetti e rumori uno spettro sonoro proggheggiante e pinkfloydiano. Si sente che questa è gente abituata a suonare insieme! Nel caos controllato di questa composizione dalle forme irregolari sentiamo frammenti ammassati in una sorta di discarica musicale, riuscendo però infine persino a trovare un senso al tutto grazie alle parti cantate.

La facciata A è chiusa da una canzone dal caustico testo in italiano “I Creatori del Danno”, interpretata con un cantato recitato enfatico e grottesco a sottolineare gli stridori evocati dalle parole. Un bell’assolo gilmouriano accompagna il brano verso la conclusione.

La seconda facciata mi è sembrata un po’ meno interessante, anche per via della scelta di includere ben due lunghe cover infarcite di improvvisazione psichedelica. Dirò un’eresia, ma a me ”Careful With That Axe Eugene” è sempre sembrato solo un bel titolo sprecato per un pezzo tutto sommato abbastanza inutile anche nella versione originale dei Pink Floyd. A contrastare il mio scetticismo ci pensa però il formidabile batterista Marco Lippe, che si rende protagonista anche di una incursione di doppio pedale!

Io i Tuxedomoon li ho sempre solo sentiti nominare, ma a quanto pare invece questi signori li conoscono piuttosto bene, avendo collaborato in più occasioni con la band californiana. Qui ci propongono una versione della loro “59 to 1” che, esaurita la parte testuale e vocale, sembra solo un pretesto per scorrazzare col sax sopra ad un basso saltellante per alcuni minuti.

La chiusura è affidata nuovamente ad un brano autografo: “Sand Veil Groove” è condotta da synth minacciosi e vocalizzi a cavallo tra l’orientaleggiante e la stitichezza e si trascina in un repertorio di piccoli suoni strambi, rumorini, esplosioni di batteria, sassofoni vaganti a cui sembra abbiano pestato la coda e si ha la sensazione generale che si stiano divertendo solo loro (e neppure granché).

Magari non vi interesserà e lo butterete via, ma vi assicuro che questo “Rubbish” è tutt’altro che spazzatura.

 

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Harold & Maps
  2. Rubbish
  3. I Creatori Del Danno
  4. Careful With That Axe Eugene 
  5. 59 to 1
  6. Sand Veil Groove
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Autoprodotto
  • Genere: rock psichedelico progressivo

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