I Mr. Bison sono un gruppo toscano operativo da quindici anni, ben inserito nei circuiti live dell’heavy psych prog anche internazionali e con ben sei album pubblicati! Dato che io non li avevo mai sentiti nominare, prima di recensire il loro ultimo “Echoes From The Universe” mi sono andato a guardare un po’ di video di loro esibizioni dal vivo, sia come trio, sia nella nuova versione allargata grazie ad un quarto talentuoso giovincello che si occupa di chitarre, synth e, se non ho capito male, persino della produzione e registrazione del disco. In questo primo assaggio ho trovato una band a proprio agio sul palco, credibile, con un batterista esuberante, una voce un po’ debole e un’originalità piuttosto ordinaria.

Durante i primi ascolti dell’album vero e proprio ho scoperto invece un gruppo per certi versi più interessante e convincente, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo della voce (perennemente armonizzata e occasionalmente interprete di performance notevoli), ma anche abbastanza in linea con quella sensazione di omogeneità sonora, di una certa ristrettezza all’interno di ben delimitati recinti stilistici. Certo, parliamo di steccati e recinzioni che delimitano ranch molto, molto grandi e fertili, ma con dentro poi sempre le stesse mucche.

Il disco suona piacevole, caldo, organico, vivo: respira come se fosse in buona parte catturato in presa diretta, ma ha anche tutta la ricercatezza di un lungo lavoro di stratificazione in studio. Detto questo, non nascondo che sentendo per intero l’album le prime volte, la sensazione era quella di poter sovrapporre a tutti i pezzi lo stesso bordone di fondo, tanto coerente risultava l’amalgama sonoro di queste chitarre grondanti effetti di modulazione e delay, tutto avvolto nella stessa nube armonica, senza grossi sbalzi, dove dilatazioni e addensamenti, accelerazioni e rarefazioni si succedono in maniera molto graduale, senza traumi che disturbino il nostro sonnecchiare. Mi fa pensare ad un tipo di musica “da accompagnamento” o da sottofondo più che qualcosa a cui dedicare il cento per cento della nostra attenzione esclusiva.

Poi ho provato a soffermarmi sulle singole composizioni, ascoltandole ripetutamente, anche in cuffia. Ho rilevato tante nuove qualità, una certa innegabile raffinatezza e attenzione ai dettagli, un’identità più specifica e definita. Eppure è strano: questo ricamo dalla trama elaborata, dal disegno elegante e complesso, finemente lavorato, appena ci allontaniamo di mezzo metro, appare come una texture omogenea, come un mosaico di cui non riusciamo più a distinguere le singole tessere e che leggiamo come un unico “fondo oro”.

La stessa atmosfera psichedelica e sognante caratterizza questi quaranta minuti di musica. Già, ma cosa significano questi termini, così spesso utilizzati nelle recensioni? Beh, in questo caso secondo me si riferiscono a ripetizioni cicliche di cluster, note lunghe, percorsi ellittici in cui ci si muove molto per rimanere fermi (che sarà anche filosoficamente interessante, ma da ascoltatori ci sentiamo terribilmente a rischio noia), percorsi melodici che non vanno da nessuna parte o si dissolvono andando in tutte le direzioni, con la musica che a volte sembra andare avanti per inerzia, senza nessuno che la stia gestendo. Sono queste onnipresenti chitarrine liquide e interstiziali, che come stucco gelatinoso colmano tutti buchi, riempiono le fessure e livellano tutto, spalmando la marmellata musicale su un pane forse troppo soffice.

Si sente che i Mr. Bison hanno ascoltato i Motorpsycho e forse pure i semisconosciuti Little Giant Drug, e difficilmente le atmosfere che costruiscono, per quanto piacevoli, suggestive e raffinate, risultano originali o nuove.

Come dicevo, guardato al microscopio, il disco propone episodi non privi di carattere, come la concisa “Collision” coi suoi fraseggi dalla metrica dispari, il lento crescendo dell’appassionata “Dead In The Eye” (con la voce che ruggisce), le campane che caratterizzano la spaziale “The Promise”, conferendole un che di epico, o la solare (giuro che l’ho pensato prima di leggere il titolo!) “Staring At The Sun” col suo adorabile gusto vintage morbidamente malinconico.

Sono convinto che, avendo la voglia di abbandonarsi all’analisi approfondita delle canzoni, se ne potrebbero evidenziare tanti altri pregi; il problema è che questo impulso stenta ad innescarsi spontaneamente, nonostante l’indubbia qualità dei musicisti coinvolti.

Il disco è come un marshmallow monocromatico: ovunque lo si assaggi ha lo stesso sapore, soffice, spugnoso e dolciastro; continuiamo a masticare anche se sappiamo che non ci apporterà grossi benefici nutrizionali e, quando ne saremo stomacati, ci fermeremo, in cerca di qualcos’altro da azzannare.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. The Child Of The Night Sky
  2. Collision
  3. Dead In The Eye
  4. Fragments
  5. The Promise
  6. The Veil
  7. Staring At The Sun
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Heavy Psych Sounds Records
  • Genere: Heavy Psych Progressive Rock

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