Quando un genere musicale si codifica e sedimenta stilisticamente diventa più difficile pretendere, dai gruppi che hanno deciso di esplorare quelle sonorità, degli spunti particolarmente originali. Diventano quindi imprescindibili il carisma, il tiro e la capacità di scrivere belle canzoni, anche se “di genere”.

Ecco, purtroppo queste sono tutte cose che su “Human Farm”, secondo album degli stoner catanesi Rhino, non ho trovato.

Se la loro presentazione parla di un “megalitico muro di fuzz” e “wattaggi smisurati” (sic) e le cronache ci raccontano di un’attività live di notevole successo, potrete immaginare il mio disappunto nel ritrovarmi tra le orecchie una cinquantina di minuti di musica davvero poco entusiasmante, che solo per rispetto nei confronti dei cinque “Frank” (si chiamano tutti così…), non mi sbilancio a definire una noia mortale.

E dire che, sulla carta, questa roba dovrebbe piacermi: è registrata senza metronomo e con strumenti veri, ripescando l’hard rock psichedelico delle origini e l’ormai classico stoner desertico degli anni novanta. Eppure a quanto pare non sono sufficienti le Gibson e gli Orange a fare un buon gruppo e un buon disco.

Se il precedente “The Law Of Purity” (2017), pur non brillando in quanto ad originalità e songwriting, era carico di una sua verve espressiva, un certo groove coinvolgente e fuzzarolo e soprattutto una grande performance vocale in primo piano, su “Human Farm” sembra che i Frank si siano impegnati a scrivere i riff e le melodie meno incisive di sempre del repertorio dello stoner, trascinando spesso canzoni esangui, esauste ed esanimi oltre i sei minuti.

Non è un caso se i brani che spiccano come migliori sono quelli dal minutaggio più contenuto e dai bpm più sostenuti, come “Gentle Sound Of The Knife” (per la quale hanno realizzato anche un bellissimo video che mitiga fortemente la mia impressione negativa sul gruppo), che con timide armonizzazioni vocali nelle strofe riesce a conferire un pochino di atmosfera a un brano scarno ma non privo di appigli, che sembra una summa concentrata della loro proposta, condensando in tre minuti stoner, grunge e psichedelia (tutto a prezzi da discount).

A proposito di grunge, dopo la soporifera canzone di apertura (la zappa sui piedi di “Agony & Madness”), sulla successiva “Planet Of Dust” mi è sembrato di ascoltare un brano degli Stone Temple Pilots, con quelle progressioni di accordi distorti che ci catapultano indietro di trent’anni e quelle melodie in cerca di ritornelli dimessi, in contrasto con l’edonismo godereccio del decennio precedente.

La title track è piantata in un pantano dal quale è impossibile smuoverla e secondo me i Frank non fanno nemmeno troppi sforzi per tentare di tirarcela fuori. Gli “Hey hey hey” meno convinti della storia del rock. Dove è andata a finire quella voce virile e abrasiva che avevo sentito nel disco precedente?

Non so se sia dovuto a un difetto di registrazione, ma la batteria non sembra picchiata veramente forte, nonostante la fisicità possente del Frank percussionista e pure l’intenzione resta molto soft, anche nei frangenti più intensi. Un’altra cosa che non morde (e qui non c’è produzione che tenga) sono le chitarre soliste, così smorte e cincischianti, stanche, remissive, innocue e poco interessanti. Non “cantano”. E sembrano non avere nulla da dire.

Magic Water” sembra un pezzo dei Tool uscito male e, proprio quando speriamo sia giunto alla fine, riparte coadiuvato dall’inserimento di una voce femminile che aggiunge vocalizzi stanchi e lamentosi per altri minuti superflui.

Big Clouds Again” prova a svegliarci col suo piglio spedito ed una sezione alla Corrosion Of Conformity, ma alle mie orecchie permangono tutti i difetti sopra accennati.

Tra riff intercambiabili e tonalità ricorrenti si arriva nell’ultima “Fast Radio Burst” ad ascoltare qualche accenno di vitalità ritmica nella sezione finale, per tornare rapidamente sul consueto binario (morto) e chiudere l’album in maniera anonima.

Guardate, a me dispiace parlare male di un disco e so che non è mai bello sentirsi giudicati, soprattutto in un ambito libero, espressivo e creativo come la musica, ma queste sono le mie impressioni personali. Probabilmente non sarò il più attento degli ascoltatori, di certo non sono un estimatore esperto del genere e avrò pure dei gusti strani, ma io questo “Human Farm” l’ho ascoltato una quindicina di volte (più di dieci ore!) e, se non è stato in grado di lasciarmi nella testa e nel cuore neppure una canzone, forse un pochino è pure colpa dei rinoceronti dell’Etna.

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Agony & Madness
  2. Planet Of Dust
  3. Gentle Sound Of The Knife
  4. Human Farm
  5. Magic Water
  6. Big Clouds Again
  7. Padrock
  8. Fast Radio Burst
  • Anno: 2024
  • Etichetta: Argonauta Records
  • Genere: Stoner

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