Apprezzo quando un gruppo di musicisti, magari neanche più giovanissimi, mette in discussione il proprio passato reinventando il proprio suono sulla base di spinte interne od esterne che siano, alla ricerca di un linguaggio più efficace per i propri scopi comunicativi. I veneti Innerload, dopo due dischi di massiccio Heavy Metal in equilibrio tra passato e modernità, ci comunicano di voler passare al melodic Death Metal con questo nuovo “Mater Tenebrarum”. Come spesso accade, le percezioni interne e quelle esterne non sono perfettamente sovrapponibili e così mi accorgo che, alle mie orecchie, il nuovo stile dei ragazzi non avrebbe richiamato affatto il melodic Death, se non lo avessi letto nelle (prolisse…) note di presentazione. Già, perché se è vero che le atmosfere del disco si sono incupite parecchio rispetto ai lavori precedenti, i ritmi e il riffing non si discostano granché da quell’heavy power muscolare all’americana che i nostri ci hanno proposto su “React” (2011) e “Again” (2019). Neppure la voce di Marco Cortese mi avrebbe messo sulla pista suggerita dalla band, dato che il suo nuovo approccio, rabbioso, gridato e abrasivo (hardcore?), non assomiglia quasi mai ad un growl vero e proprio.

Purtroppo mi trovo nell’ingrato ruolo di dover evidenziare quelli che, secondo me, sono alcuni grossi problemi che vanno a minare la credibilità e l’efficacia di questo disco: produzione, voce e, soprattutto, scrittura.

Partiamo dalle scelte relative alla registrazione, che ci consegnano canzoni rigide, inchiodate alla griglia metronomica, con editing di chitarre che sembrano attaccate con lo scotch (“Down In A Black Hole”). La scelta di campioni di scarso impatto per cassa e rullante (“cic-puf”) rendono ancor più grottesco il suono artificiale della batteria, che fatica ad amalgamarsi con le chitarre e la voce, consegnandoci un effetto d’insieme slegato, staccato, scollato (in particolare gli assoli), per nulla organico, privo di respiro e pulsazione vitale. Ma è Metal, questo? O è solo musica “pesante”? In effetti, purtroppo, la pesantezza non manca, anche se l’effetto è dato dalla limitata capacità di coinvolgimento dei brani, più che dalle performance.

I cantati sono, per i miei gusti, un elemento che affatica l’ascolto senza dare in cambio nessun appiglio, nessun picco di entusiasmo. E questo nonostante il bravo Marco ce la metta tutta, spremendosi la gola oltre ogni ragionevole previsione, esplorando pure un repertorio di vocalità alternative piuttosto ricco (dal pulito allo scream). Mi ha evocato un paragone, fatte le dovute proporzioni, con John Bush, ma non come timbro o come stile, semplicemente per il fatto che, pur spingendo come un pazzo, dimostrando capacità innegabili e ammirevoli, il frontman degli Armored Saint non è quasi mai riuscito a comporre linee vocali veramente efficaci, impedendo ai brani di esplodere in tutto il loro potenziale (e a me, i Saint, piacciono pure parecchio…). Tornando al nostro disco, su “Mater Temebrarum” la voce è un continuo berciare, come un rubinetto che si apre e si chiude, monocorde, omogeneo, incapace di rendersi memorabile con una qualche piccola invenzione o intuizione. Peccato.

Ma il vero problema temo sia proprio a livello di scrittura e composizione, dato che gli Innerload si accontentano di assemblare una lunga serie di riff (in certi brani sono pure parecchi, soprattutto nelle sezioni strumentali a supporto degli assoli) senza che nessuno di essi abbia la forza di ritagliarsi un piccolo spazio nella nostra memoria e, soprattutto, nel nostro cuore. Poi vabbè, loro sono delle vecchie volpi con tanto mestiere sulle spalle e sono sempre in grado di portare a casa un risultato più che accettabile, ma siamo sicuri che ci basti?

Bene, ora che ho scritto tutte le cose che non mi hanno convinto, vorrei dare spazio anche a ciò che ho apprezzato, perché in tutti i dischi c’è qualcosa da salvare, giusto?

Beh, mi è piaciuta la citazione del riff di “Together As One” dei Death tra le prime due strofe di “Shadow From The Past”, l’intro stralunata di “Asylum”, degna del peggior Mortiis, l’immediatezza e la semplicità vetero Metal di “Gemini” e soprattutto l’interessante bridge melodico della cupa “Again”. Poi ci sono le atmosfere sospese degli arpeggini tetri dell’inattesa “The Unexpected” (qui l’effetto analogico simulato del fruscio della puntina sul vinile viene inficiato dal click digitale udibile in sottofondo, ma vabbè…) e quelle ancor più oscure della title track, che costruisce tensioni importanti e che meriterebbero uno sfogo più efficace. Sempre efficaci i raddoppi armonizzati di chitarra, protagonisti in “Aokigahara” e le progressioni melodiche collaudate della conclusiva “Insomnia”, che ci confermano come, nella cucina tradizionale e casereccia, gli Innerload siano dei cuochi niente male.
Bella la copertina!

E per chiudere il cerchio, ciò che ho apprezzato maggiormente è stata proprio la voglia di provare nuove strade, che mi auguro non mancherà ai nostri nemmeno in vista di un prossimo album.

Marcello M

Tracklist:

  1. Tears Of Blood
  2. Shadow From the Past
  3. Asylum
  4. Gemini
  5. Again
  6. The Unexpected
  7. Down In A Black Hole
  8. Mater Tenebrarum
  9. Aokigahara
  10. Insomnia

 

  • Anno: 2024
  • Etichetta: Great Dane Records
  • Genere: Heavy Death Metal

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