“Cosmic Grunge” è l’etichetta che gli stessi Hijss propongono per dare un’idea del proprio suono e devo riconoscere che si tratta di una suggestione efficace, capace di restituire gli elementi di psichedelia, schiettezza e (relativa) varietà di questo power trio di Bolzano.
Forti di un bell’immaginario vintage, tra chitarre annegate nel fuzz e nel delay, un basso ellittico e distorto, tastiere spaziali e una batteria potente ma fin troppo controllata e trattenuta, i nostri cavalieri cosmici scelgono di imbrigliare i cavalli a una rigida griglia metronomica (forse per sincronizzare le basi dal vivo?) anziché galoppare liberi verso i confini della galassia, rendendo tutto decisamente meno coinvolgente, ma anche più mainstream.
Nonostante alcune variazioni sul tema (composizioni più cadenzate, esplorazioni cosmic blues…) ci si accorge presto del pattern ricorrente e abbastanza ripetitivo che caratterizza un po’ tutti i brani: un croccante giro di basso, shuffle tribale di batteria, chitarrina noise, breve cantilena ripetuta prima in “modalità vocale 1” (soft) poi in “modalità vocale 2” (disperauco), tanta ciclicità, piccoli spostamenti tonali, per lo più per passaggi contigui o seguendo i classici intervalli rock, qualche suonino strano, avanti per un po’, poi ci si ferma.
Espliciti nell’intento ipnotico, gli Hijss rischiano però di annoiare in fretta, nonostante le personalità dei tre musicisti siano ben espresse e riconoscibili. Nel bene o nel male, una band identificabile: e non è poco.
Va riconosciuto ai pezzi un buon sapore di improvvisazione in sala prove e non ci è difficile immaginare versioni primordiali iperdilatate di queste stesse canzoni, alla ricerca degli elementi più efficaci.
La prima impressione che mi hanno suscitato, forse per via del suono di zanzare fritte delle chitarre, dei ritmi insistiti e della voce in secondo piano è stato un collegamento agli Uncle Acid & The Deadbeats, di cui però non possiedono l’organicità e la facilità melodica. Non vorrei sbilanciarmi a scomodare i favolosi Voivod di “Angel Rat”, ma alcune atmosfere possono essere parzialmente sovrapponibili. Un plauso al frontman Lois Lane che si destreggia bene nei due stili vocali, anche se lo preferisco quando non gioca a fare Kurt Cobain.
L’atmosfera di “Stuck On Common Ground” resta compatta, densa e credibile per tutta la durata del disco, che scorre gradevole, rassicurante nella sua prevedibilità e caratterizzato da standard qualitativi omogeneamente elevati.
Tra i brani che ho maggiormente apprezzato segnalo quelli che mi sono sembrati avere un approccio ritmico più sciolto ed elastico, come “Train Tracks” (un minuto e mezzo di stoner cui segue una luuuuunga esasperante coda strumentale) e soprattutto “Black Disease”, per la sua tensione, il cantato recitativo e le velature melodiche.
Un interessante sottofondo per i vostri viaggi, di varia natura.
Marcello M
Tracklist:
- Ingraved
- 1234me
- Headless Blues
- Interlude #1
- Train Tracks
- Narcolepsy
- Black Disease
- Interlude #2
- Blow Out
- Tilt Mode
- Anno: 2024
- Etichetta: Heavy Psych Sounds
- Genere: Cosmic Grunge
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