La roboante presentazione del progetto Siblings, così generosamente prodiga di lodi autoriferite, mi ha inizialmente smosso qualche curiosità, anche se il mio istinto, messo in guardia dal più che discutibile approccio grafico dell’artwork, ha subito proposto di raffreddare gli entusiasmi…

Quello che andremo ad ascoltare è un hard rock allo stesso tempo datato e moderno, pompato con iniezioni di tastieroni e molteplici velleità espressive. Purtroppo, a mio parere, queste tracce esprimono quanto appena scritto nell’accezione meno lusinghiera: composizioni pleonastiche, produzione smarmellante, orchestrazioni kitsch e ripetizione dello stesso modello.

A favore dei Sibligs va sicuramente la scelta di puntare su brani concisi e il più possibile asciutti e il minutaggio contenuto dell’album mi ha permesso di fare più ascolti del previsto.

Essendo un trio privo di batterista ufficiale, suppongo che i suoni poco naturalistici dei tamburi siano il frutto di campioni, strumenti virtuali e pattern parzialmente preconfezionati, giustificando la carenza di un contributo ritmicamente rilevante e interessante.

Quello che mi ha maggiormente colpito al primo ascolto è stata l’omogeneità dei pezzi, tanto da immaginare che fossero più o meno tutti nella stessa tonalità e con gli stessi BPM e di poterli così liquidare rapidamente. Quando però ho caricato le tracce sull’audio editor analizzandone e sezionandone le strutture, ho scoperto che sotto quella coltre di continuità si celavano anche soluzioni meno scontate del previsto, sia in termini di progressioni armoniche, sia di assemblaggio delle varie sezioni. 

Il suono con cui si apre “The Time Has Come” ha le atmosfere inquiete di “Lord Of Fear”, nella quale facciamo conoscenza con la voce matura e baritonale di Giambattista Recchia, (responsabile anche di tastiere e orchestrazioni) che ci canterà per tutta la durata del disco melodie morbide e posate, prive di spigolosiità o acrobazie, ma pure di picchi emotivi o di sorprese. Muovendosi agevolmente all’interno del proprio range mediano, prova a caricare le interpretazioni di un’enfasi controllata e non troppo spontanea, ma non manca di impreziosire le proprie performance con ricche armonizzazioni e cori. Va segnalato che la costruzione delle melodie indugia spesso su situazioni ricorrenti. La band non ha paura di fare uso di loop elettronici e arpeggiatori, che vanno ad integrare il basso sobrio ed elegante di Michele Quarato e le chitarre di Michele Debartolo, che sembra preferire restare un passo indietro, senza la necessità di imporre il proprio ego con riff e assoli, limitandosi ad un solido accompagnamento ritmico.

River” mi ha ricordato i Maiden più recenti, quelli con i tempi rallentati e gli epici polpettoni terzinati. Qui ne abbiamo una versione priva di fraseggi di chitarra e del vocione stentoreo di Dickinson, con tastiere forse fin troppo protagoniste.

Ho apprezzato “The Hour Of Redemption” per il basso iniziale ed il ritornello minaccioso e solenne, in cui troviamo il maggiore pathos di tutto l’album. Permangono purtroppo tutte le osservazioni meno positive accennate finora.

Nelle intenzioni, il gruppo mi sembra abbastanza vicino alle coordinate stilistiche degli album di Bob Catley da solista, senza però raggiungerne i risultati.

Eyes Of Rose” è una ballad a base di tastiere e chitarra acustica, con il prevedibile ingresso in extremis di batteria e chitarroni (c’è anche l’assolo!) per una comparsata di venti secondi che non aggiunge nulla. La mancanza di una vera capacità di gestire le dinamiche, i pieni e i vuoti, in maniera non solo geometrica ma anche emotiva, credo sia uno dei maggiori punti deboli del disco.

From The Silence Of Your Land” è un’altro brano cadenzato, con il pedante ritornellone sanremese reiterato, come in cerca di consensi. La sensazione è di pesantezza e staticità, di pancia affaticata dopo un pasto troppo unto.

Abbiamo anche la partecipazione di una voce femminile su “Rainy Night”, che parte come ballad pianistica con finte orchestrazioni di sintetizzatori datati e stantii, poi tenta un po’ di dinamismo con l’ingresso della batteria sul finale, con coro grottesco duettante (“la la la la…”) dal finale imbarazzante.

Run Boy” è un brano fatto con gli stampini del più logoro rock radiofonico, eppure nella sua regolare normalità racchiude un’atmosfera interessante, che la rende una delle canzoni più piacevoli del disco. Sarà per via della malinconia nostalgica infilata dentro le melodie, che sulle persone di una certa età fa sempre effetto.

The End Of Crying”? Altra introduzione paternalistica, altro brano pedante e dalle stucchevoli orchestrazioni di tastiera, che si trascina senza coinvolgimento emotivo per pochi minuti, fino a stramazzare, esausto come noi, con tre colpi secchi.

Ormai a fine disco, “Spirits And Sorrow” sembra raffazzonata con gli avanzi degli altri brani, riproponendone atmosfere, tonalità e intenzioni.

Anche l’attacco dell’ultimo brano si rivela identico a quanto già sentito nei minuti precedenti, ma almeno ha un effettivo crescendo, con pienone pacchianone tutti insieme appassionatamente, prima di salutarsi frettolosamente.

I Siblings hanno un’identità stilistica molto precisa e delineata, forse pure troppo, rispetto alle intenzioni variegate dichiarate. 

Marcello M

Tracklist:

  1. Lord Of Fear
  2. The River
  3. The Hour Of Redemption
  4. Eyes Of Roses
  5. From The Silence Of Your Land
  6. Rainy Night
  7. Run Boy
  8. The End Of Crying
  9. Spirits And Sorrow
  10. You Will Die For Me
  • Anno: 2024
  • Genere: Hard Rock sinfonico/pop
  • Etichetta: Revalve Records

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