Il 2 maggio l’Aula Liberata ha consacrato i suoi spazi al metal.

A scaldare il pubblico ci pensano i cosentini Phosphorous con un set black metal di inediti che annuncia il loro primo EP “Velid Sorrow”.
A suon di urla e corpse paint i Phosphorous ci proiettano subito in atmosfere norvegesi da Inner Circle in cui il malessere nel suo spettro più ampio è l’emblema di tutto il concept della loro performance. Pezzi come “Moonfall” e “Eternal death of my dreams” sono ricchi di pathos, gli interventi extra del cantante sono pregni di inquietudine: “le nostre vite sono circondate da sguardi e gli sguardi mutilano più delle parole”.
Sentimentale il momento dedicato all’amico assente incidentato (nonché chitarrista ritmico della band) Sephtis.
Si giunge alla degna conclusione del set con “Ending”: una cover dei Windir scritta nel dialetto norvegese “sognamal”.
Le premesse della serata sono state messe in chiaro: stasera si fa sul serio.

A seguire infatti entrano in scena i Manomorta, storica band locale, con poco più di 30 minuti di thrash/hc tiratissimo.
La scaletta inizia con una intro/cover dei -(16)- e già si intravede tutto il potenziale della band, soprattutto dal lato del coinvolgimento. Con “Fossato” già si vedono scuotere le teste e i corpi delle tante persone presenti. A seguire “Il vile”, “I’ve had enough” e “Sandra Bullock”, scariche di adrenalina espressa attraverso un uso abile di chitarra e batteria con cui la voce si fonde perfettamente. Il live prosegue con “Bitter Blaster” e poi “Envy”, tutti brani dallo sviluppo molto dinamico che permettono di pogare e sudarsi addosso dall’inizio alla fine.
Il live viene chiuso con “Oscena”, anche quest’ultimo è un momento riuscitissimo grazie alla provocazione sarcastica del ritornello da ripetere tutti insieme come un mantra: “fanculo la scena!”.

Giulia, Claudio e Michele (rispettivamente voce, chitarra e batteria) tornano sul palco dopo diversi anni di fermo. Un tuffo nel passato? Un’operazione nostalgia? NO. Dalla risposta calorosa del pubblico è evidente come loro siano ancora l’incarnazione del metallo a Cosenza. Una breccia nel cuore della gente (metallari e non!) resa possibile anche dagli show che i Manomorta organizzano sotto le mentite spoglie del collettivo Commenda Metal Commando.
Tra gli elementi degni di nota, l’outfit total checkered di Giulia: chi l’ha detto che i metallari non sono cool?

A tarda sera ecco gli headliner della serata comparire sul palco sulle note beffarde di “September” degli Earth, Wind & Fire. Presto l’atmosfera disco si dipana per lasciare spazio a un compendio indomabile di sludge metal, di cui i padovani Wojtek sono rappresentanti.
Il quintetto veneto, carico e in splendida forma, comincia con “Dying breed” e “Hourglass” catapultando immediatamente il pubblico nello spazio-tempo piovoso del loro disco “Petricore”.
A seguire “Catacomb”, poi “Giorni persi” unico brano in italiano dalla melodia ricorrente e ciclica che ruota ossessivamente come se fosse nevrotica e allucinata.
Se il nome Wojtek prende spunto da un orso, con “Empty Veins”e “Inertia reigns” gli orsi diventano un branco e si avvicinano, durante l’ascolto, diventando sempre più grandi e stagliandosi ruggenti davanti ai nostri occhi.
A concludere c’è “Hail the machine”, brano dalla sequenza martellante in cui si intervallano brevi momenti di quiete apparente, seguito dall’evocativa “XX years”. L’ascolto dell’intero live dei Wojtek non fa mai cedere alla stanchezza, è proprio il caso di dire: “just cavai!”.

Live Report a cura di: Francesca Ciardullo

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