Di recente formazione (luglio 2020) gli Urluk gravitano intorno a due membri e dopo aver rilasciato nel 2022 un EP di debutto (‘Loss‘) arrivano nel 2023 con il primo full lenght, per il quale si sono avvalsi di guest-musicians per impreziosire con tessuti di sinth e voci aggiuntive la proposta.
Proposta da loro stessi inquadrata come “black doom melancholic metal”.

La tracklist si compone di cinque tracce di ampio respiro, nel senso del minutaggio quanto meno, dato che la più breve sfiora i 5 minuti e mezzo di durata e la più estesa i 9 minuti e mezzo.
Cosa interessante della strutturazione di questo lavoro è l’essere inquadrato tra due tracce, “The Fog” in apertura e “More” in chiusura, in cui i nostri sperimentano a fondo e senza timori soluzioni di ambient oscuro in cui le chitarre si intersecano con sinth ed effetti “ambientali” atti a definire una gamma espressiva onirica, cupa e minacciosa in “The Fog” e più sognante e malinconica in “More”.

Se in apertura dei droni gravi e gonfi si intersecano con chitarre dalla distorsione disperata che intessono arpeggi glaciali a tratteggiare paesaggi desolati oscurati da una caligine gelida, una “nebbia nucleare”, attraverso cui siamo condotti ad esperire il “nulla oltre il disastro”, in chiusura con “More” troviamo un’atmosfera rarefatta fatta di chitarre in clean che tratteggiano su un arpeggio ricorsivo, una nenia vagamente dissonante, come fosse suonata da un pianoforte scordato. Droni gonfi, in cui campane a morto sembrano miscelarsi con l’ottava più grave di un pianoforte, emergono a tessere trame di impianto cinematico. Il brano sembra liberarsi dagli indugi accogliendo una voce in clean, approdando ad una ballata dall’andamento vagamente folk su cui si staglia un cantato in clean tra l’epico e la new wave. Mi piace immaginare che sia il canto del viandante che percorre il paesaggio drammatico tratteggiato in apertura, forse ricordando di com’era il mondo “prima del disastro”. Una traccia avvolgente e intrigante che sul piano musicale sembra coniugare le esperienze “acustiche” di Burzum (a memoria qualcosa da “the ways of yore”) e certo minimalismo “post dark wave” degli Young Marble Giants (era Colossal Youth).

Tra queste due “pietre angolari”, quella che in apertura esplora la capacità della distorsione e delle tonalità più gravi di creare un magma emotivo oscuro ed avvolgente, quasi a voler richiamare l’esperienza “Abruptum”, ma capace di aperture e schiarite, e quella in chiusura che indaga la capacità di evocare epicità mista a malinconia attraverso sonorità delicate, la tracklist si sviluppa tra luci e ombre.
Le tre tracce che formano il corpus del lavoro sono infatti più pienamente “black metal”, nella sua accezione più primigenia, una sorta di distillato dell’essenza dei Bathory che si traduce in low tempo sorretti da riff ricorsivi ed estenuanti su cui campeggia uno scream “narrativo”, intimo e sofferto, molto efficace nel condurci senza fatica attraverso le impervie durate delle tracks. Impervie perché di fatto il minimalismo è la chiave di volta delle composizioni che subiscono poche, ancorchè efficaci, variazioni sul tema.
Se mi è risultato abbastanza evidente che il focus della ricerca degli Urluk sia intorno al “suono” e alla costruzione di atmosfere ipnotiche e narrative, quello che un po’ mi è venuta a mancare è una più marcata integrazione tra le pulsioni “ambient” e l’utilizzo dei sinth e dei droni e la, pur ineccepibile sotto diversi aspetti, “griglia” black metal. Il riffing, infatti, è sempre funzionale e, non di rado, decisamente ispirato nel tratteggiare linee melodiche cariche di enfasi ed epicità. Sottolineate anche da inserti in voce pulita come in “Haunted”. Alle chitarre si accompagna, ed è reso in maniera evidente in fase di produzione, un basso rigoroso e pulsante e le parti di batteria riescono ad intessere dettagli interessanti sulla campana del ride nell’andamento decisamente monolitico e imperturbabile di un incedere ultra-rallentato (con la sola eccezione del repentino passaggio in up tempo di “Thoughts”).

Sarà che, per quanto a questa “sfumatura” del black metal ho come riferimento principe i Moonsorrow di “V: Hävitetty”, ma mi è mancato qualcosa nel risultato pur intravvedendo un disegno chiaro nell’intento compositivo ed espressivo degli Urluk.
Basterebbe, forse, lavorare di più sulla costruzione di “crescendo”, di tensione e rilascio e integrare a tal scopo la ricerca sui suoni condotta sui sinth e sulle clean guitars, con quella effettuata sulla esasperante circolarità delle chitarre distorte per portare ad un livello superiore le composizioni. O, al contrario, lavorare per sottrazione e rendere ancora più minimale e rarefatta la proposta.

Ma queste sono solo le impressioni/riflessioni di un vecchio brontolone che ha intravisto una potenzialità che, forse, appartiene solo alla sua mente e potrebbe non interessare minimamente ai genitori di questa creatura. Un vecchio impiccione che in ogni caso vi esorta ad abbandonarvi all’ascolto perché questo è un lavoro più che solido. Sicuramente capace di conquistare più di un devoto della nera fiamma.

 

 

[samaang ruinees per italiadimetallo]

 

TrackList

  1. The Fog
  2. Convoluted
  3. Haunted
  4. Thoughts
  5. More
  • Anno: 2023
  • Genere: black doom melancholic metal
  • Etichetta: Remparts Productions

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Autore

  • samaang ruinees

    classe 1970, dopo aver fatto studi musicali classici scopro a 15 anni il metal. a 17 anni il mio primo progetto (incubo - thrashgrind), poi evolutosi in thrash tecnico con gli insania (1989-1997) e infine in death-thrash con insania.11 (2008-attivo). prediligo negli ascolti death e black ma ho avuto trascorsi felici con la dark wave e l'industrial. appassionato di film e narrativa horror, ho all'attivo un romanzo pubblicato e la partecipazione con dei racconti ad un paio di antologie.

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