Le Wicked Asylum sono cinque ragazze lombarde che suonano Heavy Metal e, nel farlo, riescono a evitare completamente le moine e le frivolezze che fin troppo spesso caratterizzano il Metal declinato al femminile. Forti delle proprie personalità, non si lasciano tentare neppure dalle lusinghe più moderniste, modaiole o manieriste, confezionando un disco spigoloso e cupo, frammentato e inquieto. Le radici musicali delle Wicked Asylum sanno di antico, di primordiale, di NWOBHM e di Thrash, ma totalmente prive della componente stradaiola e tanto meno blues. Le loro melodie oblique e arcigne mi hanno ricordato gli Holocaust degli anni novanta, lontane dal gusto mainstream e dalle soluzioni più battute.

Capitanate da Veronica “Banshee”, le ragazze aprono il proprio secondo album direttamente con la title track “Kintsugi” composizione basata su tre blocchi principali: una strofa dalla melodia tortuosamente ascendente e affascinante, una specie di ritornello piuttosto statico e una parte up tempo (che per qualche motivo mi ricorda “Prodigal Son”) di grande efficacia grazie all’alternanza ritmica messa in opera dalla batterista Viola “Cioppa” che passa con disinvoltura da una galoppata sincopata al blast beat, imprimendo dinamica e curiosità. Ciò che mi ha veramente sorpreso è come da un lato il concetto di “Kintsugi” (la famosa arte giapponese del riparare i cocci con l’oro) ci venga esposto e promosso come linea guida filosofica del disco, solo per poi venire squalificato nel ritornello “And fuck your kintsugi, I am sand!”: una scelta che ho trovato geniale! E pure molto punk.

Si capisce presto, insomma, quanto i testi siano importanti nell’economia della band e ne è la prova il fatto che ogni canzone abbia effettivamente qualcosa da raccontare. Ad esempio “Crystallised”, nel suo ritornello ipnotico e ossessivo, torna sul classico tema della gioventù eterna in cui rimane intrappolato chi muore prematuramente, con le varie considerazioni del caso, tutto incapsulato in una composizione variegata e atipica, ma decisamente solida.

Se è vero che le cinque approcciano la materia musicale con competenza e personalità, non posso evitare di rilevare una certa eccessiva compostezza, come un timore nel lasciarsi andare, un freno a mano emotivo tirato che impedisce l’espressione del pieno potenziale. Anche la voce di Banshee, palesemente ben educata ed allenata, nonostante non si faccia scrupolo di cantare le emozioni più nere, sembra rifuggire ogni sbavatura emotiva, ogni eccesso di pathos, autoimponendosi una disciplina forse un po’ troppo rigida.

Rispetto al disco precedente, ho apprezzato la scelta di suoni di batteria più realistici e rispettosi della performance di Viola, così come la produzione in generale, scarna e algida, quasi nuda. Questa sensazione generale di freddezza, di luce al neon accesa in salotto, toglie un po’ di fuoco e ardore metallico, rischiando di farci concentrare più sulla polvere sulle mensole che sul caminetto scoppiettante.

Proseguendo l’ascolto, ci colpiscono i frammenti di “Lacerate”, cuciti insieme dal costante lavoro al basso di Chiara Mascetti, che anche nel resto del disco si rende protagonista delle trovate più creative (pur indulgendo sui classici arpeggi) con un grande lavoro di tessitura e architettura. Belle le armonie vocali lancinanti del ritornello!

Solide ritmiche in palm muting e batteria sparata per “Mistress Of Dread”, su cui vengono costruite melodie vocali solide anche se fin troppo agganciate alle progressioni degli accordi. Anche qui, l’assolo di Roberta “Freyja” sembra procedere nota per nota, cercando e costruendo la melodia un passo alla volta, senza “mangiarsi” la musica. Preferisco comunque questo approccio “ponderato” al solismo, rispetto a virtuosismi pieni di vuoto.

L’immagine di cocci assemblati, frammenti valorizzati, devo dire che calza perfettamente con lo stile compositivo di questo disco, in cui ogni riff sembra contrastare il precedente, ricercando un equilibrio atipico e meno consolatorio di quanto ci si potrebbe aspettare. Segue un’infilata di testi decisamente disarmante in cui Banshee esprime senza remore un dolore che travalica la fiction delle canzoni e pesca nel pozzo dell’esperienza diretta: “Weaker Than Thee”, che anche se scritta in terza persona ha più il sapore di una confessione e l’appassionata litania di “Heart In Two” ne sono ottimi esempi.

La fascinazione per l’estremo oriente non si ferma al titolo dell’album, ma come vedremo continua ad esplicitarsi: “Wakizashi”, la spada corta del samurai, è una breve (ovviamente…) traccia strumentale di sole percussioni che introduce la drammatica “Drown”, una sorta di power ballad oscura dall’emozionante ritornello malinconico e dal curioso intermezzo strumentale.

Di piglio più deciso e assertivo è “Walk Away”, dichiarazione di autostima ricca di riferimenti (Kobra and The Lotus?) dall’irresistibile ritornello al sapore di cucina orientale. Se non sbaglio, anche “Madness Returns” allude ad un immaginario nipponico (il manga Liddell) ed è un brano forse più “quadrato” rispetto agli altri, di più facile assimilazione e con ritornello reiterato, anche se non rinuncia a passaggi musicali ostici e melodicamente spiazzanti.

Song Of Nothing” è la canzone che mi ha impressionato meno, anche se le riconosco un appeal solido e massiccio.

I Remember You” ha il titolo (e il testo!) scritto (e cantato) anche in coreano e chiude l’album alla grande rivelandosi una delle canzoni migliori e più equilibrate, ricca di dettagli ed equipaggiata con un bel ritornello.

Kintsugi” non è un disco perfetto e neppure un disco facile, ma è proprio il tipo di album che mi piacerebbe ascoltare ogni volta che ricevo un pacchetto da recensire: musica con personalità, identità e cose da dire! Brave.

 

Marcello M

 

Tracklist:

  1. Kintsugi
  2. Crystallised
  3. Lacerate
  4. Mistress of Dread
  5. Weaker than Thee
  6. Heart in Two
  7. Wakizashi
  8. Drown
  9. Walk Away
  10. Madness Returns
  11. Song of Nothing
  12. 기억해요 I Remember You
  • Anno: 2023
  • Genere: Heavy Metal
  • Etichetta: Ad Noctem Records

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