Album di esordio per i Thisya, vero e proprio “supergruppo” black metal, composto com’è da elementi di gruppi quali i Messa, Nox Interitus, Assumption, Bottomless, Haemophagus, che qui si riuniscono per definire una summa, al limite dell’enciclopedico, delle diverse soluzioni stilistiche afferenti alla fiamma nera. Se sul piano compositivo le strutture, comunque sempre piuttosto articolate nei cambi di registro ritmico, sono di immediata assimilazione e fruibilità, ciò che colpisce è la perizia nello scolpire un riffing sempre mutevole e ricco di sfaccettature e finezze esecutive, dettagli sottili introdotti nel trattamento di certi “canoni” ormai consolidati del riffing black metal. C’è quel senso di confidenza e di “mestiere” che si rintraccia in certi chitarristi blues che riescono a dare risalto al riff più semplice grazie ad una particolare pennata, al passare da un accordo all’altro con un hammer on, al trattenere in un arpeggio una nota a creare un bordone.
Le danze si aprono con “PSallo”, un black metal impostato su un veloce skank beat al limite del blast retto da un riffing che intesse trame circolari di epica inquietudine, sull’impronta dei migliori Necrophobic. Il rallentamento centrale è caratterizzato da una pomposità autorevole che, con sguardo divergente, occhieggia a Celtic Frost e Dimmu Borgir. La struttura è di immediata fascinazione con il suo giocare con l’alternanza tra parti veloci e rallentamenti. Si fa notare la stratificazione delle linee di chitarra con armonizzazioni che giocano con dissonanze controllate.
L’incipit della successiva “Scorched Bronze Earth” rammenta gli Old Man’s Child con il suo gestire il classico arpeggio diminuito con sagaci abbellimenti chitarristici. Lo sviluppo è un up tempo giocato su uno strumming che disegna un giro armonico arioso ed epico. La composizione gioca su una mutevole re-interpretazione del medesimo giro melodico, intessendo all’arpeggio-matrice delle svisate chitarristiche a note e, con risultati più interessanti, trattenendo a bordone le note basse, creando così un efficace andamento a due voci. Il cambio di passo su un mid tempo marziale ricorda certe soluzioni dei primi Bathory quanto l’esordio dei Samael, con il classico andamento in downpicking che subito viene impreziosito scivolando su note arpeggiate e su delle cadenze irrisolte che in prima analisi risultano di gusto settantiano per poi sviluppare in un’accelerazione gravida di dissonanze.
“Phrenes” si dimostra una composizione molto stratificata, con i suoi continui cambi di registro ritmico e un riffing molto dinamico sul piano delle tecniche chitarristiche che donano alla melodia portante un continuo movimento ipnotico. Ci sono significativi echi di Celtic Frost, ma risultano forse più interessanti le accelerazioni commentate da uno strumming dissonante e una peculiare ibridazione del classico effetto da tremolo picking con i finali di riff con nota in “trillo” caratteristici degli Slayer. Notevole.
“Nexus of Cataclysmic Forces” è strutturata su un gioco di dualismi, rappresentato da due sezioni, ciascuna caratterizzata dall’efficace efficace cambio di registro di due anime: l’impianto, per quanto chiaro, vive di stratificazioni che ne sublimano la semplicità. Overture, tema e controtema. Ciascuna delle tre fasi dello sviluppo è caratterizzata dalla contrapposizione tra un registro mid-tempo e la sua rilettura in up tempo, mentre l’overture espone il tema melodico-armonico.
Nella prima sezione veniamo trascinati da una rilettura peculiare del black’n’roll, valorizzata da svisate chitarristiche in strumming sulle corde alte che anticipano il sapore industrial che permea il suo controcanto up tempo. La seconda sezione scaturisce da un marcato rallentamento segnato dal dialogo di un giro in power chords e un arpeggio distorto, che evolve in licks a note dalle tinte gotiche. Segue uno sviluppo in skank beat in cui la trama melodica assume un carattere doom ipnotico, confermando l’ottimo lavoro delle chitarre che sviluppano due linee complementari che raccolgono il dialogo introdotto nella overture mediana.
“Communicating Halls of The Nether” conferma lo schema compositivo rintracciato nella traccia precedente, che si conferma formula vincente dei Thisya nel costruire strutture articolate e coinvolgenti e, allo stesso modo, confortevoli e capaci di accogliere l’ascoltatore. Ad un incipit pomposo dal sapore Frostiano si contrappone, con la premessa di un tema a note in lick, un mid tempo dall’incedere roccioso e solenne, impreziosito da svisate che citano il tema a note, prima che questo diventi il tema portante del controtema in blast beat. Il ritorno del tema del mid tempo iniziale si impreziosisce di disarmonie che preludono ad una cesura efficacissima, uno strumming/tremolo eseguito su note altissime che sembra il suono di una sirena e dà il via ad una cavalcata in up tempo condotta da un riffing a note, impostato su un “tritono” armonico portante, che ricorda certe soluzioni dei Necrophobic, anche se qui si impone all’attenzione l’inserimento di un controcanto terzinato a rendere più complessa la fioritura del giro delle toniche.
“Moira Krataià” apre con uno strumming in blast beat giocato su due voci, un botta e risposta su corde alte e corde basse, che crea una pulsazione ipnotica e dal sapore industrial. Un gusto che viene ribadito nella sezione retta da power chords con quella pennata sulle corde alte che infonde un sapore voivodiano al riffing. La composizione conferma il gusto già dimostrato da parte dei Thysia nel costruire progressioni che sviluppano i temi di apertura variando lo stile del riffing ma mantenendo salde le premesse. Si faccia caso a come questo “dialogo” tra note basse e note alte, venga sviluppato in maniera differente nel progredire del riffing. Si conferma altresì la tendenza nel gestire lo sviluppo della composizione in due macrosezioni in cui articolare questo “ragionare gli arrangiamenti” intorno a due premesse distinte, imperniate su una sezione centrale di stasi più o meno oppressiva. In particolare, su questa traccia è evidente il gioco di “mutazione genetica” operato a livello di arrangiamento, quando dopo lo stacco centrale si affida ad un nuovo riff l’avvio di un nuovo percorso evolutivo, sempre giocato sul contrapporre la dualità tra note gravi e note alte. Anche se in forma più dissimulata rispetto all’incipit.
Un arpeggio distorto ricorsivo e risonante apre le danze di “Spiritual Desert” supportato da una bella costruzione ritmica affidata alle partiture di batteria che lavora di doppia cassa e cadenze evitate sul rullante con un impeto prog. Lo sviluppo è un assalto frontale in blast con il riffing che giostra sull’alternanza tra convulsi giri stretti di power chords e licks a note. Licks che evolvono nella costruzione di fraseggi a note in tremolo picking che si allargano e si inerpicano in trame complesse ed avvolgenti fino a riportarci all’arpeggio iniziale, che offre lo spunto per ribadire e sviluppare i temi a note in un epilogo avvolgente e ipnotico. Epilogo valorizzato da un utilizzo musicale del canale del riverbero, prima applicato alla voce che viene trasfigurata in un drone endless, mentre nel finale regala l’ebrezza del perdersi nel nulla cosmico, a seguire lo spegnersi della nota portante che è l’eco dell’esplosione iniziale che ha generato l’Universo.
In “Island in Cosmic Darkness”, un furioso blast beat è la traccia portante di un giro a note in tremolo picking dal carattere ipnotico e onirico, abilmente giocato su una semplice armonizzazione tra le due chitarre, come a seguire il dipanarsi delle spire gemelle dei due serpenti kundaline. Una rilettura della stessa matrice melodica affidata ad un riffing in power chords stretti è il preludio alla sezione rallentata che riprende il tema portante in forma di arpeggio distorto per poi evolvere nella sua variante in strumming su un tappeto di doppia cassa e quindi assumere dei toni doom/stoner prima dell’inevitabile ripresa a pieni giri in blast beat, con una rilettura ampliata del giro a note iniziale a traghettarci verso la conclusione.
Analizzando le scelte produttive, appare più o meno evidente, a secondo dell’impianto su cui viene riprodotto, uno “scollamento” tra le linee vocali e le parti strumentali: lo scream evocativo che conduce la narrazione attraverso le mutevoli strutture del riffing è fortemente riverberato e rimanda a quell’approccio low-fi teso ad evocare un caos emotivo e lo sprofondare in un’oscurità cosmica. Un approccio per il quale la prestazione strumentale passa in secondo piano e le scelte di produzione servono a definire un amalgama musicale che trascende il piano musicale per accedere alla costruzione di una dimensione sonora ed esperienziale.
Qui invece la sezione strumentale è frutto di un’apprezzabile ricerca compositiva e perizia esecutiva valorizzata in produzione da una resa cristallina nelle sue componenti che fa apprezzare il contributo di ciascuno strumento. Non si perde tuttavia un’oncia di quella capacità ipnotica e allucinatoria che caratterizza l’essenza più pura del black metal. L’oscurità è qui fotografata ad altissima risoluzione introducendoci ad un caos intimidente quanto seducente, disegnato con chiarezza e rigore.
Un lavoro questo dei Thisya che “estrae” l’essenza di quel black metal primitivo e devoto al caos sonoro, imbastito sulla coazione a ripetere di due riff, uno lanciato a folli velocità e l’altro ultra-rallentato, la cui coesione è affidata a vocals laceranti e ultra riverberate. La estrae e la conferma stravolgendola nella forma ma non nella sostanza e risulta vincente nell’essere immediatamente coinvolgente e capace di crescere ad ogni ascolto grazie alla ricchezza di dettagli.
[samaang ruinees per italiadimetallo]
TrackList
- Psallo
- Scorched Bronze Earth
- Phrenes
- Nexus of Cataclysmic Forces
- Communicating Halls of The Nether
- Moira Krataià
- Spiritual Desert
- Island in Cosmic Darkness
- Anno: 2023
- Etichetta: Chaos Records
- Genere: Black Metal
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