Dopo diversi anni passati nei festival europei più rinomati è giunta l’ora di testare di persona quello che sembra essere diventato il migliore appuntamento sul suolo italico della nostra amata musica. Con una pianificazione logistica iniziata alla fine dello scorso anno, finalmente venerdì 21 luglio arriviamo in quel di Cremona per una tre giorni a base di tanta birra e heavy metal. “Il Luppolo in Rock” giunto alla 5′ edizione, è un festival organizzato dai fans per i fans, come dicono gli organizzatori, con prezzi bassi e tre giornate che attraversano il vastissimo mondo dei sottogeneri metal (partendo dall’Hard Rock per giungere fino al Grind), con una minuziosa macchina organizzativa, una location funzionale ma raccolta, con ampi spazi all’ombra e aree di ristoro e merchandising fruibili e mai caotiche. Sarà vero? Vediamo come è andata.

 

Venerdì 21 Luglio

Il primo giorno è dedicato a sonorità più melodiche; arriviamo con curiosità all’area del festival e le prime impressioni confermano quanto di buono sapevamo: “Il Luppolo in Rock” si svolge all’interno di una vasto parco sulle sponde del Po, l’area ristorazione e del mercatino è aperta a tutti, mentre l’area concerti è accessibile solo con il biglietto ma una volta dotati di braccialetto di riconoscimento si può uscire e rientrare tutte le volte che vogliamo: questo è un dettaglio non da poco, memori di altri festival dove una volta entrati si diventa prigionieri. L’acqua costa 1€ e la birra, di grande qualità e varietà, solo 7€ per mezzo litro, l’offerta culinaria va dalla pizza alle tagliatelle, dalle piadine agli hamburgher e fritture miste; accertato che non moriremo né di fame né di sete approfondiamo l’area concerti.

Il palco è veramente grande, lo spazio per il pubblico è lastricato (finalmente niente polvere!) ed intorno ampie zone di erba permettono una confortevole pausa tra un concerto e l’altro. Tutto troppo bello! Infatti arriva subito la brutta notizia che i norvegesi Crashdiet hanno perso l’aereo e non si potranno esibire facendo slittare di un’ora l’inizio della prima giornata. (Piccola considerazione personale: con tutti i problemi di voli internazionali che ci sono in estate, ma te che abiti in Norvegia, sai da 4 mesi che il 21 luglio devi suonare alle 18 a Cremona in Italia, mi prendi l’aereo alle 9 dello stesso giorno da Oslo? La prossima volta chiamatemi, l’albergo ve lo pago io).

Tocca ai Dobermann aprire le danze e, nonostante il caldo, conquistano subito il pubblico con il loro hard rock’n’roll. Ci colpisce subito, e sarà una costante per tutti i tre giorni, la pulizia e la perfezione del suono che esce dall’amplificazione, rendendo la performance dei tre torinesi un gustoso antipasto. Attivi da più di un decennio, con alle spalle tanta gavetta e concerti a giro per l’Europa, presentano il loro ultimo album ‘Shaken to the Core‘ e raccolgono i primi applausi del festival. Primo cambio di palco e ci apprestiamo a goderci la doppietta svedese composta da Eclipse e Heat sulla quale c’è grande attesa a giudicare dalla quantità di magliette indossate dal pubblico. La band di Erik Mårtensson, accecata e riscaldata dal sole, non tarda a trascinare la platea con il suo hard rock melodico che acquista tanta energia in sede live: ‘Roses on Your Grave‘, ‘Saturday Night (Hallelujah)‘ e ‘Run for Cover‘ smuovono anche i più timidi, c’è spazio anche per il nuovo singolo ‘Hearts Collide‘ fino al gran finale di ‘Viva la Victoria‘ cantata a squarciagola da tutto il Luppolo.

Gli Heat si presentano con Kenny Leckremo, il biondissimo cantante originario del gruppo che è rientrato dopo che Erik Grönwall è andato negli Skid Row. Il loro hard rock esplode in tutta la potenza dei riff di Dave Dalone inseriti in un pomposo sound moderno che continua a far cantare le centinaia di ugole sotto il palco. ‘Rock Your Body‘ e ‘Nationwide‘ sono le ciliegine su una torta sublime: per il sottoscritto gli Heat vanno sul podio dell’intero festival. Una veloce ma gustosa piadina ci permette di riprendere le forze prima dell’headliner della serata, la teutonica, immarcescibile e immortale Doro Pesch. L’affluenza è buona anche se la sensazione è che molte persone erano più per gli Heat che per la bionda tedesca. Alla veneranda età di 59 anni Doro, la Metal Queen per antonomasia, continua a registrare dischi e soprattutto a girare i palchi di tutto il mondo. L’appuntamento al Luppolo è all’interno della tournée che celebra i suoi (primi?) 40 anni di attività artistica. Nata e cresciuta musicalmente con gli Warlock ha poi dato vita al gruppo che porta il suo nome, circondata da musicisti di tutto rispetto, a partire dal batterista Johnny Dee (ex Britny Fox) e soprattutto dall’impegnatissimo Bill Hudson (I Am Morbid e Northtale).

Doro ha dedicato la sua vita alla musica ed ai suoi fans, è una persona solare, simpaticissima, benvoluta in tutto il mondo metal e tutto questo traspare dal palco; Doro sorride anche quando canta (e che voce ragazzi!), incita e incoraggia continuamente il pubblico, occupa la scena da prima donna in modo umile ma non per questo meno carismatico. La scaletta, giustamente aggiungerei, verte soprattutto sui classici di inizio carriera, presi dai quattro LP degli Warlock: ‘I Rule the Ruins‘, ‘Burning the Witches’, ‘All We Are‘, passando dalla epica ‘Fur Immer‘ e dalla singolarissima cover di ‘Breaking The Law‘ dei Judas Priest con le prime strofe suonate solo con la chitarra acustica. Si chiude sulle note di ‘All for Metal‘ e un lungo applauso saluta la prima serata del Luppolo in Rock.

 

Sabato 22 luglio

Cremona è un piccola perla medioevale e la mattina è dedicata ad un po’ di cultura: il Duomo, il Battistero ma soprattutto il Torrazzo, tra le più alte torri in muratura d’Europa, con i suo 502 gradini ci offre un panorama mozzafiato sulla pianura padana. La giornata corre veloce verso la giornata dedicata all’heavy metal più tradizionale. Giungiamo alle Ex Colonie Padane con largo anticipo per dedicarci ad un po’ di shopping tra dischi e magliette commemorative dell’evento. Oggi non ci sono defezioni, ci accertiamo che il programma venga rispettato e ci mettiamo sotto il palco dove è tutto pronto per gli italianissimi Scala Mercalli. La loro presenza era prevista nell’edizione 2022 ma il Covid aveva fermato la loro esibizione. Marchigiani di origine, potremmo definirli i Sabaton italici, dal momento che i loro testi ci raccontano la storia risorgimentale e la nascita della nostra patria. Vestiti con pesantissime divise militari si presentano nell’infuocato pomeriggio estivo con i pezzi dell’ultimo ‘Indipendence‘, un mix di heavy tradizionale mixato con il power metal teutonico. Originale la formula usata in ‘The 1000 (Calatafimi Battle)‘ con la strofa cantata in italiano. Dopo poco più di mezz’ora, dopo una ghiotta anteprima del loro prossimo album e la cover dell’inno di Mameli si chiude la loro positiva apparizione.

Con ben altro blasone piombano sul palco la famiglia degli Ancillotti, un pezzo di storia del metallo italiano: Bud, suo fratello Bid, suo figlio Brian ed il ‘fratello di sangue’ Ciano sono uno dei gruppi di punta del panorama tricolore e lo riconfermano con una esibizione che miscela perfettamente potenza e melodia. L’entusiasmo del pubblico è palpabile e ‘Revolution’, ‘Broken Arrow‘ ma soprattutto la stupenda ‘Legacy of Rock‘, mettono tutti d’accordo. Gli Ancillotti sono pronti al grande salto internazionale forti di una valida setlist e tanta tecnica. Concerto super!

Tra le formazioni più attese di questo festival c’erano i britannici Threshold, apparentemente fuori contesto in una giornata dedicata al true metal; in realtà la proposta progressive su una base puramente hard hanno consentito al gruppo di rimanere negli anni all’interno di quella nicchia di audience metallara e la risposta del Luppolo lo testimonia, grande partecipazione attiva, applausi e cori per una esibizione anch’essa da podio. Con la trascinante ‘Small Dark Lines‘ i Threshold salutano, omaggiati anche da chi non li conosceva.

Veloce cambio di palco e si torna a saltare con l’energia e il divertimento che emana uno show dei Raven. Guardando i due fratelli Gallagher (quelli veri) e il batterista dei Fear Factory Mike Heller pensavo a quando nel lontano 1984 i Raven erano in tourneè con gli Anthrax ed i Metallica di supporto, pensavo a quanto fossero stati innovativi e seminali e di quanto poi si siano perduti nel tempo con scelte sbagliate o sfortunate. John, con il microfono a cuffia, e Mark non stanno fermi un attimo dispensando salti, corse e sorrisi, un vero spettacolo nello spettacolo. Sicuramente non hanno avuto il successo che avrebbero meritato ed una scaletta incentrata principalmente sui vecchi album lo certifica: ‘Take Control‘, ‘Hell Patrol‘, ‘Rock Until You Drop‘, sono classici della storia dell’heavy metal e vederli suonare dal vivo mi emoziona.

A concludere la giornata all’insegna del true metal non potevano che esserci i Saxon, sui quali ormai, dopo oltre 40 anni di onorata carriera, dobbiamo continuare a parlarne in maniera entusiasta. Ho perso il conto delle volte che li ho visti live e ogni volta mi sembrano migliorare. Biff ha una voce incredibile, non la ricordavo così nemmeno una ventina di anni fa. La sostituzione di Paul Quinn nelle date live con il fondatore dei Diamond Head Brian Tatler non pregiudica nulla a livello musicale, Nigel Glockler e Nibbs Carter assicurano alla parte ritmica la tellurica dose di potenza, Doug Scarratt macina riff senza soluzione di continuità all’interno di una setlist che potrebbe durare all’infinito (i Saxon hanno fatto 23 album in studio!) ma che si limita purtroppo a qualche pezzo dell’ultimo ‘Carpe Diem‘ e pesca a piene mani sui grandi classici, da ‘Strong Arm of the Law‘ a ‘Denim & Leather‘, da ‘Motorcycle Man‘ a ‘Heavy Metal Thunder‘; corna al cielo e teste che si muovono, l’audience risponde euforica, immensi Saxon, grazie di tutto, ci vediamo ad aprile 2024 con i Judas Priest.

 

Domenica 23 luglio

Ultimo giorno di festival, consueta passeggiata mattutina nella calda e deserta Cremona, lauto pasto domenicale e poi con tutta calma di nuovo verso le sponde del Po ad attendere la giornata dedicata alle sonorità più estreme. L’affluenza è già numerosa alle prime ore del pomeriggio, vuoi per la giornata festiva, vuoi per la grande popolarità dei nomi in programma. L’età media dei presenti si è abbassata e vedo tante facce nuove rispetto ai giorni precedenti, segno della marcata differenza di generi proposti dall’organizzazione. Se pensavo di aver visto il pienone per i Saxon mi sbagliavo di grosso, oggi è il giorno del vero soldout.

Poldo (fa video fichissimi, guardatelo) alla voce e Danny Metal alla batteria, i due youtuber di discreta fama, guidano la prima band dell’assolata giornata: gli Slug Gore fanno ‘fottuto grind/death’ e ci assaltano con le loro brevi ma irriverenti canzoni(?) alcune brevissime, alcune senza capo né coda, il tutto volto a farci apprezzare il lato più scanzonata di un genere non per tutti. La performance funziona anche se in un palcoscenico come il Luppolo avremmo apprezzato una band più ‘di spessore’ da prendere all’interno della scena italiana. Non faccio nomi per non rischiare di offendere qualcuno ma ognuno di voi, attenti lettori di ItaliaDiMetallo, sa benissimo che la lista sarebbe lunga. Ben altro approccio mostrano i Cripple Bastards, band originaria di Asti, con 7 album all’attivo e una innumerevole quantità di Ep e soprattutto concerti in tutta Europa. Tra i gruppi più importanti della scena grindcore mondiale riversano sul Luppolo in Rock la loro ferocia critica alla società, alle stereotipi borghesi, all’ordine precostituito. Con una attitudine più hardcore/punk che metal aizzano la platea con titoli come ‘Misantropo a Senso Unico‘, ‘Malato Terminale‘, ‘Fumo Passivo‘, ‘Italia di Merda‘. Giulio, il cantante, non interagisce con il pubblico e si limita a urlare il titolo del prossimo pezzo senza un minimo di interruzione, 45 minuti di pura distruzione. Escono tra gli applausi, grande concerto.

Dopo la necessaria birra è il turno dei Possessed, guidata dal leggendario Jeff Becerra, cantante tanto bravo quanto sfortunato; Jeff è in carrozzella dal 1989 quando durante una rapina rimase vittima di un colpo sparato dal rapinatore. Si presenta bendato perchè sta rischiando di perdere un occhio grazie ad una infezione post operatoria e anche la voce purtroppo non è più quella di un tempo. Ma la grande voglia di abbracciare il suo pubblico e di continuare a portare la musica dei suoi Possessed in giro per il mondo sono più forti dei suoi problemi fisici. I Possessed sono riconosciuti come i padri fondatori del death metal (e autori della canzone omonima), con quel ‘Seven Churches‘ (1985) che segnò l’evoluzione del thrash verso atmosfere sulfuree e cupe, con la voce di Becerra che si muoveva verso un growl che segnerà per sempre le coordinate del death. Al netto dei problemi di voce e di un suono troppo impastato rispetto alle altre performance, al Luppolo si è celebrato l’omaggio ad un grande artista, padre ispiratore di uno dei sottogeneri più amati dai metallari di tutto il mondo.

Da leggenda a leggenda: dopo Becerra è il turno di Max Cavalera e dei suoi Soulfly. Formatisi nel 1996 dopo l’uscita di Max dai ‘suoi’ Sepultura rappresentano da sempre il suo progetto solista, ove con il tempo ha contaminato il thrash con il nu-metal, la world music, l’alternative metal, cambiando sempre formazione ad ogni disco così da avere sempre stimoli ed esperienze artistiche differenti. Appassionatissimo di calcio ha espressamente richiesto la maglia della squadra cittadina, la Cremonese, che gli è stata consegnata sul palco, con tanto di numero 10 e nome sul dietro. E quando suona il Luppolo esplode. Max è in forma, la voce unica, il continuo dialogo con il pubblico aumentano l’adrenalina che scaturisce dal letale mix di ritmi tribali e thrash. Con l’iniziale ‘Back to the Primitive‘ si scatena subito un mosh-pit praticamente continuo che culmina con la cover dei Sepultura di ‘Refuse/Resist‘. Ogni tanto Max si ricorda dei genitori italiani e condisce il tutto con blasfemie in lingua originale. Altro concerto mitico.

E siamo alla fine, con i Carcass, guidati da Jeff Walker e Bill Steer, padri fondatori del grindcore, anche se poi hanno sperimentato ad ogni nuova release un cambio di genere passando dal gore al death metal fino al melodic death metal. Hanno scritto vere e proprie pietre miliari della storia della nostra musica preferita e al Luppolo ce le hanno suonate tutte, con la perfezione e la precisione che li contraddistingue. Se chiudevo gli occhi sembrava di ascoltare il disco in studio. Inutile raccontarvi la reazione della platea del Parco delle Colonie, inutile raccontarvi il continuo mosh-pit. il crowd-surfing e la meritata ovazione, i Carcass sono stati i degni attori del migliore atto finale possibile. Sul podio.

Tiriamo le somme: si fa fatica a trovare difetti ad una tre giorni così: ottima location, prezzi competitivi, proposta artistica varia e di qualità. Non vediamo l’ora di essere qua l’anno prossimo magari con un allargamento del programma ed una maggiore presenza di band italiane.

Filippo Marroni

 

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