Nell’affastellarsi di uscite che caratterizza questo momento storico, per quanto fortunatamente nel mio compito di recensore io abbia trovato sempre proposte degne di considerazione, quella di cui parlo oggi è un unicum. “Angels’ Twilight Odes” dei Lathebra è infatti il re-master del loro primo demo del 1997. Demo che ha riscosso all’uscita un consenso generale ma che, per vicende personali e artistiche, non ha avuto un seguito se non un promo di tre tracce destinato alle label (“Ebra”-2000).

E se all’epoca dell’uscita questo lavoro si era imposto per il suo cogliere le suggestioni e le istanze emotive del black metal, armonizzandole in un impianto di metal classico e strutturato, non privo di un’attitudine progressive, oggi più che mai risulta convincente e necessario per il suo dimostrare un approccio alla materia del tutto privo di inflessioni nostalgiche. Siamo ben lontani, per ovvi motivi, da quel trend “revivalistico” che investe il thrash e il death e il black che, nel bene o nel male, è in bilico tra il riaffermare “la purezza delle origini” e il ricercare un sound “nuovo” saccheggiando il passato.

Ci troviamo piuttosto al cospetto di una piccola gemma che è il frutto della sensibilità (musicale e umana) di musicisti che hanno vissuto l’emergere delle prepotenti istanze di rinnovamento del metal che si affermavano in quegli anni e hanno saputo raccoglierle coniugandole con la tradizione. Innestando in questa sintesi anche suggestioni “altre” (la malinconia della dark wave), anticipando quella vena “decadente” e lirica che ha poi contaminato il black e il death metal.

Rispetto a gruppi come i “Mortuary Drape” o gli “Opera IX” che hanno infuso di oscurità il metal senza rinnegarne i canoni, i Lathebra hanno ricondotto alle strutture del metal più articolato e influenzato dal progressive, le soluzioni di riffing, di cantato, di accompagnamento batteristico, proprie del black metal.

 

Apre la Tracklist “Antra”, delicata composizione di chitarra acustica a due voci di estrazione classica commentata da un recitato femminile rarefatto e ispirato che declama una poesia dal linguaggio aulico ed evocativo. “My Velvet Dusk” subentra portando su chitarra elettrica il dialogo arpeggiato caratterizzato da un suono aspro e acido che conduce le danze di un mid-low tempo su cui si staglia uno scream sofferto e aspro. A seguire il riffing è caratterizzato da un tema solista che si staglia su un giro di solenni power chords movimentato da un working bass di pregevole fattura. Le ispirazioni epic-folk caratterizzano la traccia fino all’ingresso di una rilettura ultrarallentata e trasfigurata del tema di (tenetevi forti) “Jesus Christ Superstar”.

Colpiscono in un impianto di atmosfere di black glaciale e depressivo, il farsi largo di soluzioni che vanno dal neoclassicismo Malmsteeniano alle twin guitar di ispirazione Maideniana che si intrecciano senza soluzione di continuità con il più canonico riffing di impianto black, dai giri di accordi aperti e carichi di oascure armonie, al tremolo picking.

Fortemente radicata nel metal classico risulta anche “The wait” con il suo malinconico riff a note che cerca di librarsi per poi ricadere su power chords, costruendo una convincente progressione. Tornano le suggestioni a due chitarre armonizzate, ma su tempi rallentati e con una spiccata ricerca di linee divergenti. L’arpeggio in clean commentato da una voce pulita e decadente sembra occhieggiare ad atmosfere new wave prima che la traccia prenda slancio su un mid tempo dinamico che sviluppa in una cavalcata in doppia cassa e un solo di chitarra di ampio respiro e dal carattere narrativo. Si cambia progressivamente di marcia, assecondando lo slancio epico, prima con un classico tupa-tupa, poi con un proto-blast. Ricordando l’iconografia di “Blood Fire Death” dei Bathory, i nostri sembrano aver cavalcato le nubi fino a scatenare un nubifragio che occupa la sezione finale del brano sorretta da un semplice ed efficace arpeggio in clean che offre il supporto ad una ripresa sospesa ed evocativa, impostata su ritmiche in terzine che evoca gli ultimi sforzi di un guerriero che intravvede il Valhalla.

Benighted Embrace” apre con un sussurro su arpeggio in clean, per esplodere in uno scream aspro, rauco e narrativo che poggia su una costruzione chitarristica di temi a note che tendono ad appoggiarsi con gusto settantiano su bordoni bassi. Si parte ancora da un mid tempo dall’incedere solennemente sofferto, ispessendo la ritmica prima con un gioco di timpani e poi con l’inserimento di rullate in doppia cassa, fino ad arrivare ad un up tempo sorretto da un tema piuttosto articolato eseguito in tremolo picking con le chitarre armonizzate.

Tornano decisi i richiami agli Iron Maiden, con le loro classiche cavalcate terzinate, qui irrobustite da un sound di chitarra più grasso e ricco di basse. Allo scream, frammentato e sofferto, qui più rauco che vibrato, rimane il compito di mantenere il legame con le suggestioni black che aleggiano e sembrano mostrarsi più come un modello emotivo che stilistico.

A “Dhyana” è affidato il compito di chiudere il “sogno” dei Lathebra. Un tema pianistico commentato da sinth che si espandono come la luce all’alba dopo una lunga notte. Composizione che mette in mostra la capacità dei Lathebra di intessere emozioni alle note, qui solo più evidente per la rarefazione delle atmosfere, ma che è caratteristica riconoscibile in tutto il platter. Una costruzione di tipo “sinfonico” nel senso più classico del termine: la capacità di costruire “movimenti” e sezioni che vivono una propria intima evoluzione e riescono a dialogare tra loro armonizzandosi.

 

Questa riedizione del lavoro dei Lathebra è quindi un regalo gradito non solo per chi non ha avuto modo di conoscerli all’epoca, ma anche per chi volesse immergersi in una proposta che rifugge da ogni tendenza modernista, se pure non sia difficile riconoscere qui soluzioni che fanno ormai parte del DNA del black metal contemporaneo. Anche se forse risulteranno altrettanto stranianti, per chi ha orecchie giovani, tanto lo scream poco tecnico ed educato che il lavorio del basso che completa e vivacizza le tessiture di chitarra. Che dal canto loro risulteranno aliene sia ai revivalisti del metal ottantiano che ai puristi del black metal.

Forse è il destino dei Lathebra riuscire a stupire ed ammaliare ancora, a distanza di un quarto di secolo, con la stessa opera. Che sia la premessa ad un ritorno con un nuovo lavoro non è dato saperlo.

 

[samaang ruinees per italiadimetallo]

 

TrackList

  1. Antra
  2. My Velvet Dusk
  3. The Wait
  4. Benighted Embrace
  5. Dhyana

 

  • Anno: 2023
  • Etichetta:  My Kingdom Music/Sylphorium Records
  • Genere: Black Metal

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