Non so perché ma, forse per via del monicker, e forse per le photoband del press kit, ero convinto di apprestarmi all’ascolto di una band dedita al death tecnico. Invece sono stato letteralmente travolto da un black metal dalla forte componente melodica che, a grandissime e imprecise linee, rimanda al mood e alle atmosfere dei primi Dissection, al piglio dei migliori Necrophobic e per qualche verso agli Old Man’s Child.
In realtà la musica dei Suffer In Silence, compositivamente figlia di Patrick Amati, che approda a questo nuovo capitolo della sua carriera dopo esperienze nel solco del death svedese e qui accompagnato alla batteria da Filippo Cicoria, è tutto fuorché derivativa.
Forte di uno scream espressivo ed efficace, Amati si impone per un songwriting impostato sul dialogo di due/tre temi melodici arrangiati con tecnica cangiante dall’ottimo guitar work e supportati con efficacia dalla sezione ritmica a costruire un continuo gioco di contrappunti, aperture, accelerazioni e decelerazioni che definiscono strutture complesse e intriganti. Un lavoro decisamente guitar-oriented ma supportato con precisione ed efficacia dalla sezione ritmica che ne sostiene e arricchisce il continuo mutare.
Un lavoro fatto di cura dei dettagli, affidato tanto a piccole rifiniture chitarristiche (anche nel cambio del tocco che rende più incisivi alcuni florilegi eseguiti in palm muting) che all’uso sapiente di diverse sonorità dello strumento principale, supportato anche da inserti di sinth mai invasivi ma capaci di colorare e approfondire la risposta emozionale della composizione.
Apre le Danze ‘Into The Darkness’ con un blast furioso a supportare un giro armonico di classici accordi aperti per approdare in un un arpeggio pulito commentato da ispirati lick solistici, lasciando dunque il posto ad un riffing che strizza l’occhio al death melodico di marca svedese. Riff che sarà il focus intorno a cui il brano svilupperà chiaroscuri di contrasti con accelerazioni furiose, progressioni in armonizzazione (fanno capolino anche delle twin guitar di maideniana memoria) e aperture affidate ai sinth (in questo caso un giro di pianoforte).
Con l’opener i Suffer in Silence mettono subito in chiaro le coordinate del loro songwriting assolutamente guitar oriented e impostato su temi melodici molto catchy che vengono elaborati e arrangiati con perizia e gusto.
In ‘Living In Eternity’ una doppia cassa cadenzata da un rullante marziale sostiene un riffing che tradisce ispirazioni folk-epic per lanciarsi in un d beat che richiama alla memoria un piglio alla Necrophobic. Fa capolino un altro dei marchi di fabbrica dei nostri: temi chitarristici a note eseguiti in un tremolo picking nitidissimo. Anche qui il gioco di arrangiamenti e chiaroscuri, affidati a reinterpretazioni del riff iniziale in power chords da cui si librano fraseggi a note viene riletto, scomposto e sottoposto a continue mutazioni nell’esecuzione e nel mood. Si prenda ad esempio l’apertura sospesa in arpeggio pulito che a sua volta viene ripresa e riletta in una versione “slide” che non è altro che l’estrazione dell’essenza melodica alla base del main riff in tremolo picking. Peraltro, ripresa in maniera efficace in chiusura da un sinth.
Dopo un incipit che, utilizzando i classici accordi aperti del black rilegge i canoni del grind, la composizione in ‘Time Left’ sviluppa in una “strofa” che rimanda ai migliori Necrophobic cui è contrapposto un ritornello sorretto da un tema a note molto catchy (che subisce anche un trattamento di armonizzazione da una seconda chitarra). Fa capolino, in forma di bridge tra strofa e ritornello, anche un altro degli ingredienti dei Suffer in Silence: un lavoro di accenti affidato alla chitarra che rivede i canonici stacchi cassa/crash stoppato in una versione “sospesa” su un lavoro di rullante in ostinato.
Si approda ad un mid-tempo cadenzato a la Samael (punteggiato da una nota di sinth che ne accentua l’andamento) che lascia la chitarra di librarsi in un contributo solistico per poi approdare ad un’apertura ariosa affidata ad un arpeggio distorto. La canzone procede rileggendo i temi esposti con ulteriori varianti nell’esecuzione chitarristica del riffing e nell’accompagnamento della sezione ritmica che raggiunge momenti di intensa brutalità.
Si impone ancora una volta la nitida perizia nell’esecuzione di temi a note in tremolo picking (in questo caso il gioco di chitarre armonizzate si fa estremamente intrigante).
‘War For War’ apre con l’epica solennità dell’intro chitarristica giocata su un tema solista commentato dalle sue dominanti armoniche cui segue prima una furiosa cavalcata in doppia cassa a sostenere la versione ad accordi dell’incipit, poi un mid tempo solidissimo con un gioco di shuffle che rende l’idea dell’avanzare delle truppe a piedi.
Quindi un lick a note, presentato “a solo” in versione tremolo picking (di impressionante nitidezza) e poi sorretto da d beat e blast in battere devastanti, costituisce l’ossatura della canzone alternandosi in una sua variante su note alte sorretto da una doppia ferocissima gestita da un rullante cadenzato. Con apparente semplicità il tema viene riproposto in versione di chitarra acustica arpeggiata a due voci che rimanda a certe composizioni di chitarra classica con un bordone gestito da pollice e indice mentre le altre dita pizzicano il controcanto. In questo tripudio chitarristico si affaccia anche un momento solistico di buona fattura ma, a parere di chi scrive, è nei settori del riffing e della ritmica che il buon Amati eccelle.
Chiude la composizione il tema principale riletto da un carillon ricordando certe soluzioni care ai Necrodeath.
In ‘Fearless’ un sinth fa da bordone ad un arpeggio distorto su cui si librano un paio di fraseggi solistici di grande efficacia. Ma è solo la quiete prima della tempesta. La sezione ritmica sostiene con aggressività un riffing in tremolo picking gelido e sapientemente armonizzato che, attraverso un bridge in alternate picking di ispirazione death, trova il suo controcanto in un giro a note di ispirazione epic-folk. Ad un bell’arpeggio in clean commentato da suggestivi accenti affidati al timpano e al basso è demandato il compito di introdurre al classico mid tempo, e alla sua evoluzione su doppia cassa, di ispirazione ambient (black ovviamente).
Torna su ‘Black Skies’ l’arpeggio pulito a due voci, a cui si affida l’esposizione dei temi che poi verranno arrangiati in una delle composizioni più “progressive” del lotto. Non nel senso di prog ma nel senso di progressione melodico-armonico-ritmica delle reinterpretazioni dei temi da parte della chitarra che, se è sugli scudi lungo tutto il platter, qui raggiunge vette assolute sia nel reparto ritmico che nei solismi che rivelano un gran gusto senza smarrirsi in un esibito sfoggio di tecnica.
Il vero e proprio manifesto del songwriting dei Suffer in Silence che qui inseriscono anche fughe di sinth a doppiare il lavoro delle chitarre per concludere in una sezione che ha il sapore del gothic black dei migliori Cradle Of Filth. Una composizione che sfiora i 6 minuti di durata e che sembra sempre finire troppo presto.
L’ho detto che il tremolo picking di Amati è impressionante per precisione e pulizia. Sì. Credo di sì. Ma sentirlo in versione clean in apertura di ‘Death To The Impostors’ lascia di stucco.
Dopo degli stacchi che fanno pensare a Ravel, i nostri giocano su un riff aspro terzinato vagamente black’n’roll che rivela un retrogusto maidenano (Phantom of The Opera) dialetticamente contrapposto ad un chorus affidato ad un giro a note epico che si libra su vette altissime, aiutato anche dal sound morbido dato dall’effettistica. Si prosegue con la consueta, per i Suffer In Silence, rilettura e riarrangiamento dei temi melodici che vengono tradotti prima in un giro di accordi in strumming e poi in un giro a note, entrambi di diamantina bellezza. Una versione diminuita dello stesso giro di accordi, sia arpeggiato che in classico strumming da fast black metal, dà il la ad una sezione più brutale. Quello che succede dopo scopritelo da soli.
Uno stormo di corvi ci introduce ad un giro di arpeggi puliti dal sapore dark wave di ‘Never Born’. La situazione si elettrifica e una chitarra solista espone il tema su un giro di power chords per lasciare spazio ad un giro in tremolo picking sorretto da una doppia cassa serrata. Ed è passato solo il primo minuto e mezzo di una composizione che supera i sette minuti di durata. Composizione che, in versione più aspra ed aggressiva, raccoglie il testimone di ‘Black Skies’ e ci conferma la qualità di songwriting dei nostri; la loro capacità di indovinare dei temi portanti vincenti e disporli nello spazio-tempo in un continuo gioco di mutazioni che avviluppa l’ascoltatore in un vortice di sensazioni.
La capacità di coniugare tecnica esecutiva e scelta delle sonorità nella reinterpretazione dei temi, qui incluso il riassegnarli a degli inserti di sinth come nella conclusione di questa canzone, anzi dell’intero lavoro, affidata ad un coro di voci femminili, pone il lavoro dei nostri decisamente sopra la media del genere di riferimento. Di cui padroneggiano i canoni, le sonorità e il mood senza soffrirne gli stereotipi.
Samaang Ruinees per italiadimetallo
TrackList
- Into The Darkness
- Living Eternity
- Time Left
- War For War
- Fearless
- Black Skies
- Death To The Impostors
- Never Born
- Anno: 2022
- Etichetta: Via Nocturna
- Genere: Black Metal
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