Annoverabili ormai nell’elenco dei gruppi storici del panorama metal italiano, i pisani arrivano con questi otto pezzi alla loro quinta fatica full length in studio di registrazione, facendo passare tre decadi dall’esordio de “Il Regno Del Cinghiale“.

Conosco personalmente questi adorabili mattacchioni dal lontano 1990 data di uscita del demo “Case Chiuse And Little Housis” (scritto proprio con la i al posto della e), gente che ha evitato incidenti stradali per un pelo (“… vedo uno Scania che mi viene addosso…”) e, che come ogni rock band degna di questo definizione, ha purtroppo subito una grave perdita (ciao Satana il nostro Cliff Burton ciondolante su lungarno), avendo quindi un particolare rapporto di conoscenza ed amicizia cercherò di essere il più obbiettivo possibile.

Ebbene riescono nonostante l’età, gli acciacchi, le vene varicose, i problemi mutevoli della vita quotidiana, a rinchiudersi in una cantina e a partorire delle iperboli pseudo demenziali le quali sono in grado banalmente di strappare un sorriso, o di far nascere un ghigno beffardo sulla faccia di questi maledetti toscani che si mandano a quel paese per un nonnulla un giorno sì e l’altro pure.

A parte la traccia conclusiva che può essere vista come un omaggio, in chiave techno dance, a quell’artista mai dimenticato che era Proietti, le restanti, musicalmente parlando, si discostano leggermente dal sound proposto nell’album precedente di chiaro orientamento zaccualdiano, per giungere a rivedere le sonorità di chitarra di uno Iommi di altri tempi in una chiave decisamente più moderna ed attuale: nella opener la sei corde di Asma gigioneggia fra le timbriche ritmiche e la nota voce strafottente del Mazza. Ma è nella seconda canzone che emerge prepotentemente il flavour del passato, sospeso fra atmosfere anni 70 ed un lirismo che ricorda il writing del duo Gaber Luporini.

Sulla scia di una sorta di loop linguistico autoreferentesi, “Falla Finita” riprende il discorso ermeneutico già delineato in “Transumanza” con la “francofona” “St. Honorè“.

Ai tempi di inizio carriera il gruppo fu classificato semplicemente come una band dedita ad un Thrash abbastanza scolastico accostandoli da un giornalista di una nota testata giornalistica metal, agli americani Acrophet; con il tempo le sonorità si sono attualizzate ma ogni tanto la vena più violenta, più 80’s, emerge con veemenza, come nel caso di “Viva Gesù” ove la parte ritmica basso – batteria (rispettivamente Canna – Mitch) regna sovrana.

Ascoltando la quinta traccia si può ipotizzare la loro partecipazione futuribile alla manifestazione canora che si tiene ogni anno in quel di Sanremo: una canzoncina lieve, educata, divertente, ben orchestrata e con un testo che ci ricorda certe narrazioni scritte qualche tempo fa da un certo Boccaccio da Certaldo.

Non poteva mancare il riferimento al periodo negativo appena passato; in “Lockdown” si torna ad un sound più potente, con il volume al massimo, un sound orientato ad atmosfere post belliche pennellate dai Disturbed in compagnia dei Korn. Il tema trattato che, mi auguro con tutto il cuore, veramente fra poco tempo, possa riguardare esclusivamente il passato, viene snocciolato con una certa inusuale seriosità da parte di Mazza e soci.

Gente tanto di cappello a “Collassone” che mi ha fatto venire in mente tutto in un sol colpo, la comicità di Cerruti ed il modo di narrazione di Demetrio Stratos!

 

Leonardo Tomei

 

  • Anno: 2021
  • Etichetta: SkrotoSound Rec.
  • Genere: Thrash Metal

 

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