Se, nonostante la sua complessità, il nome “HUSQWARNAH” vi è familiare, probabilmente è perché deriva dalla storpiatura di quello della città svedese sede dell’omonima fabbrica della vostra motocicletta, motosega o elettrodomestico. Ma prima di questa riconversione civile, la Husqvarna Vapenfabrik, fin dal diciassettesimo secolo, produceva armi. Non stupisce quindi l’immaginario bellico adottato dai cinque lombardi per il loro Death Metal old style che, ancor meno sorprendentemente, si richiama ai warmaster per eccellenza e alle loro coeve vecchie glorie. E proprio come i Bolt Thrower, gli HUSQWARNAH scelgono di valorizzare i propri limiti puntando non sulla tecnica, ma sulle canzoni, sul groove e sull’atmosfera.
Come spesso accade nelle “operazioni nostalgia”, si ha uno scarto tra la freschezza innovatrice e rivoluzionaria dei modelli originari (Benediction, Asphix, Autopsy…) e la polverosa, leggermente stagnante reazionarietà della “nuova” proposta. Quella che prima era una strada inesplorata e tutta da conquistare, ora è un sentiero molto ben battuto e segnalato e l’impressione, se mi passate l’improprio paragone, è quella di vedere una partita di paintball paragonata alla guerra. Certo, ci si diverte un sacco, si soffre, si combatte insieme, ma i rischi sono abbastanza contenuti: fare Death Metal, oggi, è una routine.
Ma lasciando da parte queste considerazioni poco interessanti, andiamo a parlare della musica, che è la cosa più importante! Una mezzora è più che sufficiente ai nostri per debuttare in questo mondo affollato, riuscendo fin da subito a scavarsi un posticino di riconoscibilità grazie ad alcune scelte intelligenti. Ad esempio la conclusiva cover in cui condensano: un gruppo dallo stile estraneo al loro (i Rush di inizio anni novanta), una grande canzone (Dreamline) e un’ospite internazionale (Mikael Stanne). Ma anche quando contano solo sulle loro forze, i ragazzi riescono a farsi notare, dato che possono contare sul growl espressivo e versatile di Maurizio Caverzan, che dona una credibilità inattaccabile a tutta l’operazione. Il suono delle chitarre, se da un lato è un pochino “vuoto”, risulta molto nitido e lascia spazio al basso che, pur nella sua voluta semplicità, trova spesso momenti di protagonismo. Riccardo Rjillo alla batteria è l’elemento che maggiormente ricuce il gruppo alla propria epoca, dimostrando un approccio allo strumento giustamente al passo coi tempi.
La cadenzata opener “Melting Face” sembra più preoccupata a non fare nulla di sbagliato, più che cercare di fare qualcosa di eccellente. E infatti è tutto, fin troppo, al posto giusto. E se è vero che nessuno dei riff proposti riesca a spiccare, devo ammettere che appena parte l’assolo, con la sua melodia tetra, quel timbro vintage e tutti i cliché del genere (la leeeevaaa!), ho avuto un piacevole brivido di nostalgia! Secondo brano up-tempo, “Reincarnation Of Sin” macina riff infarciti di armonici e propone aperture dilatate alla ricerca di un bilanciamento dinamico, ma a mio avviso, nonostante la buona volontà e l’indubbia capacità, manca il riff vincente: questi li abbiamo già sentiti, e non erano neppure i migliori. Nonostante questi dettagli, è davvero difficile non farsi travolgere da “Death Proof” e dal suo tiro forsennato! Trovo finalmente un momento capace di catturare le orecchie nell’intrigante “Ignoto1”, quel riff indagatore proposto a metà canzone da un basso effettato cattura e concentra su di sé tutto il senso della canzone, che ritrova interesse nel finale insistito. Campane apocalittiche, growl orrorifico lancinante e palm muting claustrofobico per l’autopsyana “Screams From The Cellar”, canzone dotata di una certa capacità di suggestione, anche visiva.
L’inizio dirompente col riffone arriva finalmente con “Vigo” e il suo blast beat e non ci interessa se quell’intro suona un tantino troppo Bolt Thrower, dato che è la parte più bella del brano, insieme all’assolo barbaricamente datato ed epicamente citazionista.
“Lived Once Buried Twice” vince con la sua semplicità ostentata: un brano dritto e senza nessun fronzolo, dal riffing tanto minimale quanto efficace, portato a casa alla grandissima dal batterista Riccardo. C’è spazio ancora per una “Infernal Loop” un po’ pigra, che nella prima parte si appoggia un po’ troppo su riff che ogni sedicenne improvvisa per riscaldarsi in sala prove (ma i sedicenni ci vanno ancora in sala prove?). Bello il riff che porta al primo finale (sì, dopo c’è una piccola coda a sorpresa), quasi carcassiano.
In chiusura la già citata cover, che soddisfa le aspettative nei confronti di questa improbabile ibridazione (con tanto di sintetizzatori!) e ci aiuta a inquadrare ulteriormente lo spirito del gruppo, al quale va riconosciuta lucidità, abilità e intelligenza.
Tanta energia per un dischetto che potrebbe riuscire a suscitare quel minimo di curiosità e interesse in noi ascoltatori sempre più pigri e diffidenti.
PS
Per i più nostalgici, l’album è disponibile pure su musicassetta!
Marcello M
TrackList
- Melting Face
- Reincarnation Of Sin
- Death Proof
- Ignoto1
- Screams From The Cellar
- Vigo
- Lived Once Buried Twice
- Infernal Loop
- Dreamline (Rush cover feat. Mikael Stanne)
- Anno: 2021
- Etichetta: Fuel Records (LP) / Reborn Through Tapes (MC)
- Genere: Death Metal
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