Athlantis è uno dei tanti progetti musicali di qualità in cui possiamo trovare impegnato l’infaticabile Steve Vawamas, che molti di voi conosceranno come il bassista dei genovesi Mastercastle.
Da musicista scafato quale è, riesce a convogliare in questo progetto non solo il proprio talento e la propria maturità compositiva, ma anche tanti amici e colleghi dal curriculum prestigioso incontrati negli anni nella relativamente ristretta cerchia del Metal italiano.
Così troviamo coinvolti nella realizzazione di questo muscolare Heavy Metal venato di hard rock e dai profumi prog un chitarrista del calibro di Pier Gonella, l’impeccabile batteria del veterano Alessandro Bissa e tutta la urgente passione vocale di Davide Dell’Orto.
Nonostante si tratti di un progetto di studio e non di una vera e propria band, è subito evidente come ci si trovi di fronte a canzoni scritte e arrangiate da musicisti abituati più alla sala prove che all’editing digitale, in grado di infondere con le loro performance un soffio vitale anche alle composizioni più ordinarie. È un vero piacere ascoltare una batteria che suoni veramente, assoli coinvolgenti e una voce che compensa le occasionali sbavature con una intensità interpretativa inattaccabile!
Proprio alla luce di tanta esperienza risulta curiosa la discontinuità qualitativa della proposta nel momento in cui veniamo alle componenti extra musicali, che presentano ingenuità da principianti: partendo dall’ennesima copertina amatoriale, si passa per un testo di presentazione datato e pieno di refusi, per culminare con la dimenticanza di allegare i titoli delle canzoni ai file! Problema facilmente risolvibile grazie alla nostra amata Encyclopaedia, ma che fa riflettere sulla differenza di approccio tra giovani band attente all’immagine e con una politica di mercato social aggressiva e spregiudicata, rispetto a chi incautamente non barda a dovere i propri cavalli di battaglia dopo averli faticosamente allevati in studio di registrazione.
Paradossalmente però la mancanza di indicazioni e quindi di pregiudizi in merito ai titoli mi ha permesso di dedicare un’attenzione particolare ai numerosi ascolti che ho avuto il piacere di dedicare a questo disco. Così, oltre alla scelta di suoni di tastiera “vintage” (nel senso peggiore e più anni ’90 del termine), ho avuto modo di apprezzare una scrittura variegata capace di raffinate aperture strumentali ed atmosfere inattese, constatando con piacere un’ossatura molto più robusta e interessante di quanto quel fuorviante “Rock’n’Roll” del titolo lasciasse supporre. La stessa title track, collocata in chiusura, nonostante un organetto a effetto hammond, è decisamente più vicina al power che ai Deep Purple, e chiude il cerchio aperto dal brano di apertura, quella “Letter To A Son” che esplode in doppia cassa, si apre in un ponte melodico (più bello del ritornello stesso!) e mette subito in chiaro l’indole vigorosa dell’album.
Più cadenzata e con una strofa sottilmente lugubre che mi ha ricordato musicalmente la band di King Diamond la successiva “Prayer To The Lord”, dotata anch’essa di un ritornello tirato e vincente e graziata da un bel finalino. Cosa non scontata, dato che un altro dettaglio che ho trovato un po’ deludente è proprio la trascuratezza della maggior parte delle chiusure dei pezzi, che lo so, sarà solo una mia fissazione, ma è una cosa a cui faccio caso…
Un incedere cadenzato caratterizza una equilibrata “Heaven Can Wait”, che cresce organicamente strofa dopo strofa grazie ad arrangiamenti ben riusciti per chiudersi poi in una meno interessante (per quanto gustosa) ambientazione solista vagamente malmsteeniana.
“Forgive Me” vi farà rizzare i peli grazie alle sue strofe dagli acuti sbalorditivi, per poi accogliervi in una sezione strumentale garbata e piacevolissima, dove il nostro Steve si fa sentire, ma sempre con garbo, evitando esibizionismi da primadonna. Una delle mie canzoni preferite del disco.
Seguono la ballatona drammatica e cupa “No Pain No More” e l’inoffensivo riff di apertura (con tanto di poco convinto “yeah yeah”) di “Black Rose”, che si risolleva subito dopo nonostante sia accompagnata da un organo che odora di synth e naftalina, risolvendosi in un brano tutto sommato piacevole.
“Lady Starlight” potrebbe essere il singolo, data la sua immediatezza melodica e ritmica, mentre su “If I” si rallenta, tornando su territori già battuti in precedenza, con qualche segno di fatica d’ascolto. “Reborn” sarebbe anche un bel pezzo, se non ricordasse così da vicino Lady Starlight, e anche il finale sfumato suggerisce una probabile natura riempitiva di questo brano che comunque non è privo di spunti interessanti.
Un disco che sorprende per la sua vitalità ed energia e che appagherà la vostra necessità di ascoltare strumenti suonati per davvero.
Marcello M
TrackList
- Letter To A Son
- Prayer To The Lord
- Heaven Can Wait
- Forgive Me
- No Pain No More
- Black Rose
- Lady Starlight
- If I
- Reborn
- The Way To R n R
- Anno: 2019
- Etichetta: Diamonds Prod.
- Genere: Heavy Metal Hard Rock Prog
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