Quando bisogna dire la verità è inutile cercare altre parole diverse da quelle che devono essere usate e nello stesso tempo, pur trovandosi di fronte a fatti al limite della ineluttabilità, bisogna cercare di evitare panegirici che a volte possono risultare pretestuosi e tendenzialmente. speciosi.

Qui abbiamo la lezione dettata ai suoi tempi da una band come i Nevermore, la quale lezione viene vista, rivista, corretta, presa e messa in un frullatore e miscelata ammirevolmente da questi Bad As. Il frutto del discorso sta tutto qui: un macigno sonoro che apparentemente è immobile (l’ovvietà si nasconde secondo natura) ma che invece si trasforma in uno spettacolo pirotecnico filmico e ridondante. La mastodonticità granitica sovrasta tutti noi durante l’ascolto ma è fuorviante, è un jolly che gioca cattivo e in maniera sporca: ci calamita, ci rende infinitamente più piccoli ancora se mai è possibile, ci attrae a sè tipo oracolo enigmistico, e ingannevolmente ci conduce alla ricerca di venature marmifere al proprio interno; e da novelli Indiana Jones con una buona dose di tenacia e forza riusciremo a scalfire la prima lastra del corposo granito, scoprendo così dietro alla apparente pesantezza sonora un sottobosco armonico scandito da passaggi ritmici evolventesi, assoli puntuali e precisi come le punizioni al sette, il tutto commentato dalla soave e potente voce di Mattia Martin.

Si percepisce il background artistico dei quattro musicisti: quando riesce a far capolino un certo Mustaine, quando si sente lo sbraitare di Lemmy, quando richiama tutti all’ordine Tony Iommi in persona.

Le danze si aprono con la potentissima “Black Star”  dritta e precisa come il movimento biella e pistone in un motore lanciato a mille; la titletrack sembra sospesa in una dimensione che non appartiene a questo mondo e ci rimanda ad un periodo non definito; preparate un headbanging furioso con “Shadows Of The Night” cavalcata teutonica walchiriana nella quale la sezione ritmica basso batteria (rispettivamente Alberto Rigoni e Marino De Bortoli).

L’apice, l’acme, il non plus ultra, l’apogeo, lo zenit compositivo si raggiunge con “Cause Of My Poetry“.

Ballad dal sapore vagamente 80’s: intensissima, calorosa, solare, mai un passaggio a vuoto, una parentesi significativa all’interno di tutta l’opera; la chitarra di Alessio Tricarico riesce nell’arduo compito di centrare una sorta di hit per le classifiche americane; la canzone in questione getta un’ombra generata da una improvvisa eclisse musicale, chiama a confronto tutte le altre nove songs del cd. Non che il resto delle altre composizioni sia da meno, ma questa “Cause Of My Poetry” deflagra come una Supernova proprio nel bel mezzo di tutto il lavoro e spiazza piacevolmente l’ascoltatore. Azzeccata la scelta della posizione nella tracklist bilanciando così tutto il cd e creando quindi una sorta di spartiacque, un intervallo fra primo e secondo tempo.

Da segnalare anche la cadenzata e potente (a me in alcuni punti ricorda gli Whitesnake) “At A Sunset“: riuscita perfettamente la melodia del chorus adatto per essere cantato durante uno dei tanti live che permette di far conoscere questa band molto attiva. Se suonano dalle vostre parti non ve li fate sfuggire.

 

Leonardo Tomei

 

TrackList

  1. Black Star
  2. Midnight Curse
  3. Coming Far Away
  4. Shadows Of The Night
  5. Cause Of My Poetry
  6. Dream Fighter
  7. Open Your Mind
  8. At A Sunset
  9. This Time
  10. Dark Element
  • Anno: 2018
  • Etichetta: Lion Music/Cargo Records
  • Genere: Rock Hard Rock

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