Avevamo lasciato i Walkyrya cinque anni fa alle prese con un Heavy Metal piuttosto datato e dei videoclip capaci di reinventare il concetto di grottesco.
Aggiungendo a ciò la biografia di presentazione dalla forma decisamente amatoriale, il nome improbabile e una provenienza geografica svantaggiata, mi stavo già preparando a come addolcire quella che temevo sarebbe stata una stroncatura inevitabile, prima ancora di avere ascoltato una nota del nuovo album. Suonare Heavy Metal in Basilicata ha ai miei occhi qualcosa di eroico, donchisciottesco, ma anche molto pertinente, quindi il quartetto (ringiovanito nella nuova formazione) partiva, nonostante tutto, con la mia simpatia.
Con piacevolissima sorpresa non ho avuto però nessuna necessità di attingere al buonismo più bieco e stagnante: “The Invisible Guest” è un gran bel disco!
La direzione musicale ha subìto un drastico cambiamento e si fa fatica a riconoscere la band dei primi due dischi, dato che anche lo stile vocale dell’inossidabile leader Vince Santopietro esplora terreni più oscuri.
Potrei definirlo un “Trash Metal moderno”, se fossimo nel 1994.
Mi sembra infatti che alcuni dei dischi di riferimento possano essere stati “Low” dei Testament e “Burn My Eyes” dei Machine Head, due gemme uscite appunto in quell’anno (che acquistai su audiocassetta…).
Ma non è questo nostalgico effetto retrò a rendere valido questo dischetto: sono le canzoni.
Mi sono entusiasmato sul ritornello trascinante del brano di apertura “Black Hills”! E ho apprezzato moltissimo la melodica gutturalità della seguente ”Open Grave”, dove Vince gioca a fare l’imitazione del growl di Chuck Billy. Anche il Peavy Wagner più cavernoso sembra essere uno dei riferimenti per la nuova vocalità del gruppo (sentitevi “All The Time”).
La cosa positiva è che anche quando i riff iniziano a farsi un po’ più ripetitivi con l’avanzare della tracklist, c’è sempre un gancio melodico che rende memorizzabili i ritornelli fin da subito dando identità alle varie canzoni all’interno dell’omogeneità della proposta.
L’efficacia dei cantati e la sensatezza degli assoli (mai invasivi e molto “cantabili”) mi ha ricordato un modo di fare Thrash in maniera accessibile, come si provava a fare negli anni novanta all’ombra del monolite “Black Album”.
Senza stare a citare ogni brano, faccio una menzione speciale per “Out Of Brain” che rimanda ad un passato fatto di canzoni coi ritornelli da urlare in coro che mi manca un po’. E il finale malinconico in fade-out ci sta tutto…
In chiusura il pezzo dal riffing più “moderno” (nel senso che mi ricorda i Nevermore del 1995…).
La produzione è frutto di un dignitosissimo home recording che regala alle canzoni un suono veramente massiccio (grazie anche all’utilizzo di campioni per i suoni di batteria), ad opera del nuovo batterista del gruppo Tiziano Casale.
L’”ospite invisibile” a cui si allude nel titolo pare essere la paura, alla quale vengono dedicati tutti i testi del lotto tranne uno, che come da tradizione i Walkyrya dedicano ai Nativi Americani: un popolo che (fatte le dovute proporzioni) come quello Lucano è stato conquistato e sfruttato.
Un disco che potrà essere apprezzato dai metallari più scafati ma che consiglio come valida alternativa ai gggiovani, come esempio di cosa si intenda per “canzone”. Un concetto un po’ datato, ma sempre efficace.
Marcello M.
TrackList
- Black Hills
- Open Grave
- All The Time
- Drive Angry
- Evil Clown
- Venom Tears
- Out Of Brain
- March Or Die
- Anno: 2018
- Etichetta: TimeToKill Records
- Genere: Thrash Metal
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