Voto: 6.5

Mi fa piacere trovarmi di fronte ad un esordio assoluto di una band giovanissima, formatasi nel 2015 e composta da musicisti tra i 17 e i 21 anni. Mi fa piacere perché mi permette di constatare che una nuova generazione si sta formando, che ancora c’è chi coltiva il sogno della musica, che ancora c’è chi cerca di mixare diverse influenze in un sound proprio e personale.

Ho sempre sostenuto che una recensione debba essere in primis equilibrata tra oggettività e gusto personale, lo ritengo in misura ancor maggiore quando ti trovi a dover giudicare (scusatemi il termine) una band giovane all’esordio, esprimendo in maniera non trionfale i pregi e muovendo critiche costruttive che non siano sentenze.

Nel caso specifico, questo “In Distant Oceans” dei riminesi Arya è tutt’altro che un brutto esordio, con parecchie luci e qualche piccola ombra, che fa intravedere molto di positivo, che lascia dopo l’ascolto quella sensazione di una band che potrebbe togliersi soddisfazioni se saprà continuare sulla strada del sacrificio e della devozione senza farsi tentare da sciacalli e dal miraggio del tutto e subito.

Come anticipavo, questo lavoro va affrontato con la mentalità della prospettiva da una parte e dell’ascolto contemporaneo dall’altra, perchè è indubbio che la scuola moderna sia la più marcata all’interno del sound del gruppo, anche se una buona dose di progressive vecchia scuola fa capolino qua e là lungo l’ascolto del disco.

Tra i pregi  di questo ep sicuramente va segnalata la voce femminile di Virginia Bertozzi, lontana dalle tentazioni gotiche tanto di moda oggi, ma basata principalmente sulla interpretazione e che a parte alcune lievi incertezze riesce ad ammaliare l’ascoltatore e fungere da collante tra i vari stili che la band ingloba nelle proprie composizioni quali il progressive metal, il djient, l’ambient.

Ecco, questo è un altro pregio da attribuire agli Arya, la volontà di non fossilizzarsi su un unico genere ma di muoversi , anzi, su più livelli, creando brani multistrutturati di non immediata lettura, ma che crescono ascolto dopo ascolto rivelando particolari nascosti e che denotano una certa visione globale del mondo musicale che in futuro potrebbe essere un elemento distintivo.

Tutte le tracce  presentano idee e spunti notevoli considerata la giovane età dei musicisti, ed anche se in alcuni momenti (rari per la verità e poco influenti) si senta la tendenza a dover dimostarre per forza la propria dimestichezza con lo strumento, la band si sa muovere bene su più generi, mostrandosi a suo agio sia nelle parti più sperimentali ed ambient, sia in quelle più scorrevoli e rockeggianti. A questo proposito la seconda traccia “Phalaris” risulta degna di menzione, con un ottimo bilanciamento tra tiro, groove, ambientazione e sperimentazione.

Personalmente poi ho apprezzato molto “Clear”, brano coraggioso che si muove in territori complicati e forse di nicchia tra accenti spostati, arpeggi classici, dissonanze jazzate e melodie, il tutto innestato su una base ritmica solida. Niente male davvero.

In tutto questo peccato solo un mixaggio poco ottimale, non bilanciato a dovere e una registrazione un po’ troppo sporca che non danno il giusto risalto ai brani. Dico questo non per cercare il classico pelo nell’uovo, sia chiaro, ma perchè oggi purtroppo (o per fortuna a seconda dei pareri) la produzione è elemento integrante della realizzazione di un disco e in questo caso specifico va a mio avviso scissa da quello che è il fattore composizione.

In chiusura, la mia impressione è decisamente buona, attendo conferme nei prossimi lavori.

 

Enrico Pulze

 

TrackList

  1. Say Something please
  2. Phalaris
  3. Mirrors
  4. Clear
  5. Vanity
  6. We’ll Drown In Distant Oceans
  • Anno: 2015
  • Etichetta: Autoprodotto
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