Voto: 6

Per celebrare i vent’anni di attività, la symphonic power metal band Skylark non si è proprio voluta risparmiare: la band, capitanata dal tastierista e fondatore storico Eddy Antonini, infatti, ci propone ben quattro CD con tanto di booklet  di ben 48 pagine colmate da lyrics e foto, il tutto sotto l’occhio attento dell’etichetta Underground Symphony.  Prima di iniziare, entriamo nel merito: ad aprire il sipario è l’omonimo ‘The Storm & The Horizon’ , simpatico richiamo al primo LP dei nostri, rilasciato nel 1995, ed intitolato The Horizon & The Storm. Abbiamo, successivamente, delle reissue di altri tre lavori, ovvero, in successione, l’ LP ‘Eyes’ in versione estesa, ‘The Road To The Light’, ovvero una raccolta dei best of della band, ed infine un remaster completo del buon ‘Dragon’ s Secrets’, rilasciato originariamente nel 1997. A questo si aggiungono anche, come materiale extra, svariate cover riadattate dalla band.

Bene, andiamo subito a cominciare!

Premetto che,  vista la quantità di materiale, dedicherò un paragrafo ad ogni disco, in modo da dare al lettore un’idea più precisa del valore, a dire del sottoscritto, di ciascun lavoro. Inoltre, essendo l’ultimo lavoro prima dell’effettivo scioglimento della band, ho deciso di scrivere una recensione giusto un po’ più corposa, quindi mettetevi pure comodi.

THE STORM & THE HORIZON

Il disco in questione propone sonorità di stampo pop/rock , con piccole parentesi symphonic power. Sono presenti, oltre ad alcuni inediti, tracce ri-registrate e svariate cover, tra Cinderella, Bon Jovi, un noto anime giapponese, T-Bolan, ecc…

Generalmente passabile ‘The Kiss That Never Happened’, peccato per l’apertura di pessimo gusto (una specie di acuto messo là per chissà qual motivo), e per il titolo ripetuto in modo abusato.  Massiccia e sinfonica ‘Crystal Lake’, non particolarmente brillante il comparto voci durante la prima metà del brano, mentre ho trovato ‘Just One World’ non particolarmente coinvolgente, un cambio un po’ troppo brusco rispetto alla traccia precedente, in quanto si passa da un adrenalinico symphonic power ad un fin troppo orecchiabile symphonic rock. Bella la rivisitazione della sigla originale di Mazinga Z, che qui viene riproposta con una ritmica martellante e un cantato grintoso. Non regge la versione degli Skylark di ‘Don’t Know What You Got’ rispetto all’originale dei Cinderella, ma se fingete di non conoscere il brano originale, potrebbe apparirvi passabile. Ci troviamo dinanzi, in sintesi, ad un brano privo di distorsioni e della voce graffiante di Keifer, sostituita dalla timbrica delicata e dai sapori pop della vocalist. Alla galoppante  ‘The Run Toward The Sun’  segue ‘Shot Through The Heart’, originariamente dei Bon Jovi, riproposta più o meno fedelmente, per poi passare ad una ballad, ‘Tears’, arricchita da pianoforte, archi e strumenti a fiato. Ennesima intro di pianoforte per ‘Another Reason To Believe’, originariamente contenuta nell’album Wings, che si rivela un brano scorrevole ed orecchiabile al punto giusto, con tanto di duetto. Priva del giusto mordente e un po’ difficile da digerire è la seconda delle tre cover dei Bon Jovi‘The Hardest Part Is The Night’, che sacrifica quasi tutto il versante più duro e aggressivo in favore di sonorità troppo leggere e pop.  Piuttosto sentita, invece, la rivisitazione della hit del gruppo pop rock giapponese T-Bolan‘Hanashitakuhanai’‘Road To Heaven’ , recuperata invece dal disco Twilight Of Sand, è piuttosto banalotta a livello strutturale,  e quando sembra aver messo il piede sull’acceleratore in modo permanente, scopriamo che è solo un intermezzo ben congegnato che si dissolve per ricatapultarci in una seconda parte  forte di uno spessore analogo rispetto alla prima. E ci lanciamo nel j-pop puro con ‘Aitakatta’,  ennesima cover ispirata, questa volta, al gruppo pop nipponico AKB48. Nulla da eccepire, sebbene gli Skylark non possano vantare lo stesso numero di voci, il risultato è ugualmente orecchiabile e piacevole all’ascolto. Terza ed ultima cover figlia di Bon Jovi è ‘Santa Fe’, che valorizza in maniera più accentuata il cantato. Simpatica ed inaspettata la successiva cover ‘Sanpo’, versione riadattata in chiave heavy metal della traccia omonima che fa da contorno al film d’animazione Il Mio Vicino Totoro. E non è finita: i nostri omaggiano anche Laputa,  primo lavoro effettivo dello Studio Ghibli, proponendo una versione power metal del brano ‘Carrying You’ (con tanto di vaghi richiami helloweeniani), che però trovo insufficiente dal punto di vista canoro: in generale un’idea insolita, ma poco incisiva. A chiudere questa prima di quattro parti è ‘The Bridges Are Burning’, classica ballad che mette in risalto voce e pianoforte.

Non capisco perché, nel file allegato, questo primo di quattro dischi venisse definito un “new record”, dato che consta, per lo più, di cover e remaster di pezzi creati dalla band stessa…insomma, a conti fatti, di solidamente “nuovo” non è che ci sia tanto, no? Alcune cover sono carine e realizzate con gusto, altre non mi hanno assolutamente entusiasmato. Pezzi pieni di energia come ‘Crystal Lake’ purtroppo sono casi isolati, e il disco ripiega, per lo più, su sonorità pop rock contornate da un cantato femminile che ci starebbe pure, in un simile contesto, sebbene talvolta non brilli o lasci il segno, risultando un po’ soporifero. In ogni caso,  i  metalhead affezionati alle vecchie sonorità del gruppo, o in generale affezionati ad un sound symphonic power, non si aspettassero di sentire nulla del genere in questo primo disco. Se, infine, siete persone a cui piace la varietà (magari nelle intro), dopo l’ennesima apertura di pianoforte, potrebbe subentrare un po’ di scazzo.

EYES

E’ ora il turno di Eyes, una compilation che comprende alcune tracce già rilasciate nell’omonimo disco del 2014 (di cui alcune sono, a propria volta, canzoni remastered e già rilasciate in altri dischi…), più altre cover rivisitate.

Ad aprire le danze è, appunto,  una versione hard rock della sigla giapponese dell’anime Evangelion,  ovvero un brano veloce e catchy proposto in due versioni (la prima è un duetto con voce maschile, la seconda vede primeggiare, invece, solo il cantato femminile). ‘She’, proposta già nell’ LP Twilight Of Sand, è un brano che fa molta leva sul cantato, con qualche spunto interessante, ma tutto sommato non particolarmente incisivo. Sentendo la versione originale, l’ho trovata più dura e convincente sul versante strumentale, ma a quanto pare gli Skylark hanno deciso di ammorbidirsi un po’ ovunque, a mio avviso andandoci anche a perdere. Bene, vi ricordate, ora, la versione inglese del pezzo Carrying you, di cui abbiamo parlato nel disco precedente? Rieccola, ma questa volta è la versione giapponese, riadattata in chiave rock.  A seguire la più aggressiva ‘Love Song’ abbiamo una riproposizione  di ‘Don’t Know What You Got’ dei Cinderella, una versione alternativa che questa volta propone un cantato più deciso, con tanto di duetto.  Decisamente migliore rispetto alla precedente versione. ‘The Crypt of Montmartre’ viene direttamente dal disco solista di Eddy AntoniniWhen Water Became Ice, un brano che mette molto in risalto le tastiere, forte di un ritmo coinvolgente, ma non per forza aggressivo. Piacevole e sentita anche la ballad ‘Believe in Love’, dove il cantato fa la parte del leone, degnamente accompagnato dalla tastiera di Antonini e da un tappeto chitarristico che ricopre un ruolo ritmico tipico della ballad. E’ ora il turno di una traccia opportunamente suddivisa in due parti,  ‘Little Girl’. La prima è una malinconica intro strumentale di circa un minuto, la seconda è la traccia in sé, originariamente rilasciata sull’ LP targato 1995, The Horizon & The Storm.  Piuttosto riuscito il cantato maschile che si  muove sotto i delicati arpeggi, forse un po’ brusco  il passaggio in distorsione, che manda a farsi benedire l’atmosfera venutasi a creare, riparando tuttavia con un buon intermezzo interamente strumentale. Dopo il salto nel passato,  i nostri tornano a proporre cover di anime giapponesi: questa volta è il turno dell’opening di Grendizer (Goldrake, per noi italiani), a cui è riservato un trattamento simile alle altre cover di stampo giapponese, ovvero un’ulteriore accelerazione e l’uso delle distorsioni. ‘Rainbow In The Dark’ non è una cover di Ronnie James Dio, ma un pezzo ricuperato, piuttosto, dall’ LP Wings, e torna a calcare i lidi del symphonic power, rivelandosi un brano che si evolve progressivamente, muovendosi sotto un tempo reso scorrevole da tastiera e voce a cui s’aggiungono, mano a mano, batteria e chitarra distorta, per poi scoppiettare sotto un ritmo più veloce ed ugualmente melodico. Il sipario s’abbassa con l’ultima traccia, ‘Feverish’, forte di un ritmo che sembra quasi mischiare dance e distorsioni, per un risultato quasi…febbrile, appunto.

Tirando le conclusioni su ‘Eyes’, ho, atipicamente, trovato più incisive quelle tracce più lunghe (‘Little Girl’‘The Crypt Of Mormartre’‘Rainbow In The Dark’ ), tracce variegate e, talvolta, forti di un certo carico emotivo nell’espressività canora, rispetto a rivisitazioni vuoi prevedibili (per quanto non mi siano dispiaciute), vuoi non strettamente necessarie (non mi è sembrata una buonissima idea, quella di proporre ‘Don’t Know What You Got’ già nel secondo disco).

THE ROAD TO THE LIGHT

Per chi invece fosse più interessato a questo lavoro soprattutto per il lato metal della band, gli Skylark propongono, tanto per cominciare, questo ‘The Road To The Light’, un “best of” che acclude svariate canzoni dove velocità, melodia e adrenalina sono i pilastri che reggono le fondamenta, con un lead vocalist maschile che prende il posto del cantato femminile, qui meno sfruttato.

Il terzo atto è aperto da ‘Belzebù’, veloce brano forte di  una struttura cangiante ed un cantato che si muove agile sotto le tastiere di Antonini. Similmente avanzano tracce quali ‘Welcome’, a propria volta piuttosto scorrevole, o ‘Why Did You Kill The Princess?’, che in chiusura ingrana la quinta. Sono presenti anche svariati brani di breve durata, come ad esempio ‘Satan Arise’,  power metal più diretto,  ‘Dreams’, dove il cantato femminile  si muove sotto pianoforte ed archi, o infine la più onirica ‘The Tears Of Jupiter’, dove una tastiera dal suono mistico la fa da padrona. Breve bridge strumentale è ‘Hurricane’ , che non tradisce il proprio nome, mettendo in primo piano una batteria furiosa accompagnata da un assolo chitarristico e da un valido tappeto di tastiera.  Abbiamo, inoltre,  svariate canzoni provenienti dal lavoro solista di Antonini rilasciato nel 1998, ovvero ‘When Water Became Ice’, la già citata ‘Dream’‘Fear Of The Moon’ , pompata a mille dall’onnipresente tastiera, ed infine  ‘Twilight’, brano piuttosto catchy.  Insolita nel mix è ‘Night Of Pain’, che propone uno stile più soft e, a mio avviso, meno incisivo rispetto a quanto udito sinora. Non manca neanche la classica ballad, ‘Sleep’, dove primeggiano chitarra acustica, pianoforte e voce, e che potremmo considerare un buon break tra una sfuriata e l’altra.  ‘The Princess’s Day’, altro brano con doppio pedale sparato per un ritmo power ormai conosciuto, fa molta leva sul cantato femminile,  che però non è all’altezza, dando la parvenza di urlare nelle parti più alte,  mancando di acchiappare anche qualche nota. Dai richiami piuttosto pop la seconda ballata, ‘Sands Of Time’, figlia dell’album Twilight Of Sand, che mette sotto i riflettori, nuovamente, pianoforte e voce.

Personalmente, ritengo che chi ami i primi Skylark possa riconoscersi maggiormente in questo terzo disco, dove le chitarre tornano a ruggire, mentre il cantato sa essere creativo e scorrevole, ma tecnicamente non è nulla di eccelso: al contrario, le tonalità acute paiono essere un punto debole per il vocalist, che forza in maniera percettibile il falsetto. Per il resto, la mano di Antonini dà un tocco di varietà ad ogni canzone, risultando sicuramente più a suo agio nei panni di metaller aggressivo e virtuoso.

THE DRAGON’S GATE

Siamo giunti, infine, all’ultimo di questi quattro dischi, un remaster effettivo di ‘Dragon’s Secrets’ che, oltre ad una registrazione decisamente migliorata, ripropone la suite ‘Light’, opportunamente suddivisa in cinque atti, ed una bonus track chiamata ‘Tears’, già trattata nel primo disco. Questo porta il numero di tracce a tredici, dalle otto originali.

Si apre timidamente l’opening ‘The Temple’, brano delicato ove risaltano tastiera e voci, mentre ingranano la quarta  il trittico costituito dalle orecchiabili ‘Creature Of The Devil’ , che fa molta leva sulle melodie, ‘The Answer’, dal motivetto portante allegro e piacevole, ed infine l’omonima ‘Skylark’ , forte di una degna interpretazione canora ed un ritornello che è il trionfo dell’orecchiabilità (ma quasi tutto il pezzo lo è, a dirla tutta). Assolutamente immancabile la ballata voce più pianoforte, che qui risponde al  nome di ‘The Princess’s Day’, occupata per la prima metà da pianoforte e flauto, che rimandano ad una sensazione di quiete, e a cui successivamente si riallacciano voce e chitarra acustica, che coronano definitivamente l’atmosfera proposta. Abbiamo già menzionato la suite ‘Light’, traccia di ben 23 minuti che qui è stata separata in cinque parti, che propongono partiture veloci e adrenaliniche in stile symphonic power, sonorità classicheggianti ad opera della tastiera durante i vari intermezzi interamente strumentali, il tutto contornato da un cantato che fa il suo senza infamia. ‘Princess Of The Snow’ è stata una traccia che ho sempre trovato atipica, a causa degli inserti di cantato veramente esilaranti e, allo stesso tempo, di discutibile gusto: praticamente, i nostri, allargando la cerchia di personaggi “parlanti”, inserendone fin troppi e credendo di proporre varietà, per distinguerli hanno avuto l’idea di dare a ciascuno di essi una voce differente, e per differente alludo a mix di voci inascoltabili, uomini che strizzano le proprie corde vocali per assumere un tono il più particolare possibile, fino al tocco di genio di dare alla strega una voce maschile (è vero che nell’originale era una voce da donna e la registrazione era quello che era, ma almeno era un ruolo più calzante!). Il tutto sostenuto, va detto, da un versante strumentale massiccio, e che non potremmo certo definire banale. Siamo ora alla conclusione di questo viaggio titanico: ‘Dragon’s Secrets’ ci introduce ad una voce narrante che chiude il sipario, dando alla tastiera l’onere della chiusura vera e propria, e questa non si risparmia rimandi assolutamente classcheggianti ed onirici. Ben fatto. La bonus track, ‘Tears’, in realtà è una versione hard rock dell’originale priva di distorsioni e dai richiami più soft proposta in ‘The Storm & The Horizon’.

Certamente possiamo registrare un notevole incremento di orecchiabilità rispetto al disco originale, il tutto alleggerito ulteriormente dal cantato femminile, che sostituisce il vocalist del tempo Fabio Dozzo, che tuttavia fa capolino in più occasioni in veste di guest. Sonorità così “leggere” potrebbero essere un duro colpo per chi ha amato gli Skylark più duri e aggressivi, e a questo punto preferire il disco originale.

Ed eccoci, finalmente, alle conclusioni definitive: ‘The Storm & The Horizon’ è stato principalmente pensato, è  utile aggiungere, per il pubblico giapponese. E’ là, infatti, che la band è stata maggiormente apprezzata, ed è sempre là che i nostri hanno svolto il tour conclusivo prima di chiudere i battenti.  In ogni caso, trovo che i primi due dischi siano il punto debole principale del quartetto propostoci, vuoi per le cover un po’ deboli, vuoi per le stesse riproposte da là a poco, vuoi per arrangiamenti di sigle che magari sono pure piacevoli, all’inizio, vuoi per un sound che uno che è in cerca di power metal di sicuro storcerebbe un poco il naso ad ascoltare. In ‘Eyes’ alcuni spiragli si iniziano a vedere con alcune delle tracce più lunghe, che sanno essere accattivanti e variegate. ‘The Road To The Light’ ha i suoi pezzi forti,  mentre qualcuno potrebbe dire che ‘Dragon’s Secrets’ sia stato totalmente deturpato da un remaster che ha sacrificato troppo le distorsioni in favore di un sound particolarmente orecchiabile, favorito anche da un melodicissimo cantato femminile. Sono sicuro, d’altra parte, che c’è chi apprezzerà un’idea del genere.  Se siete fan sfegatati dei nostri, comunque, potreste farci un pensiero, possibilmente non a prezzo pieno. Se, invece, volete iniziare a conoscere il gruppo, sarebbe un’idea migliore procurarsi qualcuno dei primi lavori e fermarsi là, prima del processo di trasformazione pop.

Francesco Longo

 

TrackList

CD 1: THE STORM & THE HORIZON

 01: Eyes
02: The Kiss That Never Happened
03: Crystal Lake
04: Just One World (To Fall In Love)
05: 
マジンガーZ
06: Don’t Know What You Got
07: The Run Towards The Sun
08: Shot Thorugh The Heart
09: Tears
10: Another Reason To Believe
11: The Hardest Part Is the Night
12: 
離したくはない
13: Road To Heaven
14: 
会いたかった
15: Santa Fe
16: 
さんぽ
17: Carrying You
18: Bridges Are Burning

CD 2: EYES (Extended Version)

01: 残酷な天使のテーゼ
02: She
03: 
君をのせて
04: Love Song
05: Don’t Know What You Got
06: The Crypt Of Montmartre
07: The Kiss That Never Happened
08: 
残酷な天使のテーゼ (Alt. Version)
09: Believe In Love
10: Another Reason To Believe
11: Little Girl (Intro)
12: Little Girl (Remast.)
13: 
とべ!グレンダイザー
14: Rainbow In The Dark
15: Feverish

CD 3: THE ROAD TO THE LIGHT

01: Belzebu
02: Satan Arise
03: Dream
04: Welcome
05: Hurricane
06: When Water Became Ice
07: A Star In The Universe
08: Why Did You Kill The Princess?
09: Twilight
10: Sleep
11: Night Of Pain
12: The Guardian Angel
13: Fear Of The Moon
14: The Princess’ Day
15: Sands Of Time
16: Insanity Is The Truth
17: The Tears Of Jupiter
18: Follow Your Dreams

CD4: THE DRAGON’S GATE

01: The Temple
02: Crature Of The Devil
03: The Answer
04: Skylark
05: Waiting For The Princess
06: Light (Act 1)
07: Light (Act 2 – Intro)
08: Light (Act 2)
09: Light (Act 3)
10: Light (Act 4)
11: Princess Of The Snow
12: Dragon’s Secrets
13: Tears – BONUS TRACK –

 

  • Anno: 2015
  • Etichetta: Underground Symphony
  • Genere: Power Metal

 

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