Voto: 9.5
I Death SS sono un monolito granitico e prepotentemente affascinante nel panorama della musica heavy\rock nostrana, e non solo. Il progetto è stato degno, nel corso degli anni, di svariati appellativi: suadenti, oscuri, tenebrosi, decadenti, scioccanti, estranianti, ma anche più tecnicamente innovativi, avanguardisti, e così discorrendo ad libitum.
Nati artisticamente durante lo scorrere del 1977, in pieno all’esplodere della corrente punk, gli italianissimi Death SS muovono i primi vagiti a Pesaro, per poi trasferirsi in quella che sarà di lì a poco la nuova base operativa. Steve Sylvester, coadiuvato da un grande artista dalla statura creativa superlativa, Paul Chain, decide di fondare un progetto musicale basandosi sulle loro grandissime passioni: l’occulto, l’orrore, attingendo a piene mani dalla letteratura gotica, dai fumetti a tinte oscure e, in special modo, dal cinema horror della Hammer Production. Dopo un lungo e travagliato assestamento di formazione, solo tre anni dopo, nel corso del 1980 arrivano i primi show, gli stage macabramente allucinati e corredati da materiali trafugati da cimiteri, quali lapidi, corone funerarie, piuttosto che teschi e ossa umane come scenografie, oltraggiando il pubblico con visioni di sangue e carne putrescente, nel mentre l’esibizione della band si dipana in un susseguirsi di complesse pratiche esoteriche e magici rituali orgiastici.
Questi eccessi, che hanno retroscena oscuri ed indicibili in questa sede, portarono in breve al dissolversi del progetto nel 1982. Solo nel 1987 la band si riforma con la sola leadership di Sylvester, ed inizia così la produzione discografica ufficiale, ossia, il primo sigillo magico a titolo “…..in Death of Steve Sylvester“, datato 1988. Di qui in poi la band subirà una serie di vicessitudini, cambi continui di line-up, successo e stima da parte del pubblico, bilanciata dalla continua ed ossessiva persecuzione da parte dei detrattori, quali parte della stampa e degli organi della chiesa, che accusano la band di satanismo e d’istigazione al cattivo esempio. Malgrado questo, la fama e il culto intorno alla band ed al suo leader creativo cresce a dismisura.
Il percorso artistico e magico della band si chiude con il settimo sigillo datato 2006, “The Seventh Seal“, deliberatamente ispirato all’omonimo film del regista Ingmar Bergman, e che include parte di tutte le influenze ed ambientazioni utilizzate e sviluppate in tutta la carriera, ma qui eseguite con una veste nuova. Dopo una serie di tour i Nostri si esibiscono in chiusura all’Italian Gods of Metal, salutando dopo trent’anni di attività i fans.
Dopo, solo il silenzio, l’estinguersi, il sublimarsi del verbo nero da questa terra, o meglio ancora, da questo stato di sub-coscienza materiale: la creatura ibernata, e non morta, per sette lunghi anni, cova nel silenzo, ambiziosa, rancorosa di dimostrare la propria valenza artistica. Anni eterni, in cui il leader dipana collaborazioni: nascono così i Sancta Sanctorum, autori di un pregevole e fascinoso oscuro e psichedelico doom, ma anche i VOGUE, già Opus Dei, fautori di un pregiatissimo electro-dark\rock. Sylvester collabora alla stesura del primo libro ufficiale sulle origini del combo, “Il Negromante del Rock” ed eccezionalmente si cimenta egli stesso come attore di fiction polizieschi e film dall’indole horror e splatter.
Penso che questo crogiolo multitematico di esperienze abbia portato a considerare la rinascita dei Death SS: difatti, il 21 dicembre 2012 arriva la resurrezione della fenice, viene rilasciato il nuovo Ep “The Darkest Night“, seguito da un’altro singolo “Ogre’s Lullaby“, entrambi composti come colonna audio per film. Di lì a poco l’annuncio del nuovo vagito discografico. Oggi 6 giugno 2013, nel mentre completo la mia umile e critica considerazione, esce “Resurrection“, prima creazione dei rinati Death SS, questa volta emancipati dal loro storico patto magico devoto ai sette sigilli.
Già la veste grafica è un dichiarazione d’intenti, disegnata da E.Taglietti, autore di numerosi fumetti nei Settanta e Ottanta: presenta i membri della band che incarnano i celebri personaggi horror ultilizzati nel corso della loro carriera, con un gusto vintage, davvero eccezionale, recuperando per giunta l’originale logo intinto di rosso sangue.
In tutta sincerità pur essendo un gran sostenitore della band, ma di quelli razionali e misurati, molto incline alla critica positiva, avevo paura di ascoltare “Resurrection“, poichè i singoli, ascoltati e visionati fuori dal contesto dell’album, non mi avevano impressionato. In ogni caso, fattomi coraggio, dopo solo pochi minuti di ascolto, sono stato inondato e posseduto da una serie di emozioni, ero positivamente scioccato ed entusiasta di ciò che stavo ascoltando. La resurrezione dei Nostri apre il suo incedere con “Revived“, colonna sonora della puntata 666 dell’Ispettore Coliandro, reminiscenze electro-industriali, devote ad “Humanomalies”, si confodono con un rock-metal diretto ed ispiratissimo, in cui la vocalità straniante ed acida, in special modo durante lo scorrere del ritornello, sono il punto di valenza.
A seguire “The Crimson Shrine“, introdotta da un riff anthemico, ci catapulta in un brano senz’altro più ragionato e articolato, in un tipico heavy-goth corredato da suadenti quanto ritualistiche voci femminili, quasi a ricalcare lo stato di ritualità del componimento. Si passa a “The Darkest Night“, colonna sonora dell’omonimo horror-movie indipedente: musicalmente rappresenta il lato più heavy dell band, senza dimenticare la giusta dose di oscura malignità. E’ quindi la volta di “Dionysus“, introdotta da un etereo coro di voci femminili e accompagnato da un sub-strato compositivo devoto, nelle sonorità, ai primi anni Ottanta; questa composizione ha una spiccata attitudine narrativa, qui Sylvester appare essere un nero menestrello di favole a tinte oscure, il quale ci conduce in un mondo onorico, dove sogno e realtà si confondono.
La successiva “Eaters“, colonna audio dell’omonimo fim horror-splatter, è un brano heavy, diretto ed inquietante, caratterizzato dal giusto tocco di loop elettronici e pattern tastieristici che fanno da tappeto per un’esecuzione vocale claustrofobica e dannatamente emozionale. In “Star in Sight“, un arpeggio pianistico fa da overture ad un componimento dal’indole meditativo, ma che nel ritornello e nell’inciso, quasi in coda al brano, esplode in un susseguirsi di voci femminili che duettano con il vocalist, donando un pathos lisergico, che le sole parole scritte non possono rendere vivo.
“Ogre’s Lullaby“, già colonna audio del fim Paura 3D, è un componimento agghiacciante e tenebroso. Qui il doom regna sovrano, ossessivi ed ostinati riff chitarristici medio tempo accompagnano il canto di Steve, che in questa sede è quanto di più allucinato si possa immaginare: le reminiscenze del passato doom anni ’80 invasano la band, per non parlare dei lodevoli suoni ambientali e delle orchestrazioni inseriti in contrappunto, entrambe di gobliniana memoria. “Santa Muerte“, assorta a sigla della serie TV Squadra Imvestigativa Speciale, è un brano metal’n’roll senza fronzoli, diretto e incisivo, dal coinvolgente ritornello dai rimandi all’idioma ispanico.
“The Devil’s Graal”, ispirata ad una sceneggiatura scritta dallo stesso Steve, purtroppo mai realizzata, racconta nel suo incedere narrativo, e per mezzo dall’incontrarsi e scontrarsi tra violenza esecutiva e atmosfere carezzevoli, rincorrersi tra luce ed ombre, tra bene e male, gli efferati omicidi, commessi qualche decade orsono, da quello che venne chiamato il Mostro di Firenze. E’ la volta della lunghissima suite “The Song of Adoration“, introdotta da strumenti etnici egiziani, seguito da substrati e loop tastieristici anni ’80 ed anch’essi di gobliniana memoria. Dato il suo bit medio tempo è facile abbondonarsi, o direi meglio, consegnarsi a queste trame, farsi traghettare in un mondo musicale, cui data l’apparente cristallinità, trascende e trasmuta, in breve, in qualcos’altro di sinistro e rituale, un lento susseguirsi di sensazioni sensoriali, guidano, per gradi, e senza fretta, dal raggiungimento di un nirvana estatico musicale, fino al compimento di qualcosa di raggelante e abominevolmente panistico. Il picco massimo di un solos di chitarra coadiuvato da arrangiamenti vocali e strumentali di pregiatissima fattura, consolidano “The Song of Adoration“, come summa artistica, in dieci minuti di sognante estatico coinvolgente trip musicale. Seguono le impressioni heavy-moderniste di “Precognition“, anch’essa colonna audio dell’omonimo film horror, corredata da una pregevole musicalità. Si chiude con “Bad Luck“, dal carattere dannatamente metal’n’roll: in questa sede i Nostri mandano a quel paese tutti i loro detrattori, per le dicerie di sfortuna alimentate attorno al moniker della band.
Una considerazione va fatta per quanto riguarda il taglio cinematografico dell’opera. L’album concepito durante l’arco di alcuni anni, denota l’amore dei Death SS verso il mondo del cinema. Ciò rappresenta a mio avviso un naturale percorso realizzatosi poi in questa sede. Considerando le sette songs su dodici, se si comprende anche “The Devil’s Graal“, tutte queste sono il risultato di una collaborazione con il mondo della settima arte.
Tuttavia è paradossale notare come la musica in questo “Resurrection” sia particolarmente visiva, quasi a suggello del rapporto tra la musica della band ed il cinema, fenomeno che non trovo inconsueto ed affatto estraneo al combo fiorentino, se si considera la forta teatralità, ivi elaborata on stage. Mi sono chiesto in tutti questi anni come una band del genere, data la propria propensione estetica ed artistca, non sia mai stata coinvolta in un progetto cinematografico: dopo tanti anni ecco la risposta. La resurrezione dei Death SS si concretizza con questo nuovo patto, che parte dalle origini magiche, ma che si trasmuta in qualcos’altro di artistico e fascinoso, ossia, il rapporto con l’arte visiva. Cinema, ultima e più giovane delle arti sviluppatesi, ma che essendo crogiolo ed evoluzione delle sorelle più anziane, riceve l’impatto profuso del potersi esprimere e sviluppare in tutti i sensi del comunicare umano. Proprio qui s’inserisce l’operato dei Death SS, capaci di trasmettere il comunicare umano in qualcosa di più divino, sfuggendo da tutti i canoni del conosciuto, toccando, dato la propria cifra stilistica, vette di un improbabile onirico e suadente viaggio musicale.
Considero questo lavoro perfetto in ogni suo aspetto: la veste grafica, il lavoro di produzione, la componente letterale, con la giusta dose di provocazione, ma anche dal punto di vista tecnico-esecutivo. “Resurrection” è un compendio di tutto ciò che i Death SS erano, sono e, spero, saranno. L’album è un crogiolo ragionato di tutte le influenze, rilette come fossero già da adesso in un allucinato futuro.
Nicola Pace
- Anno: 2013
- Etichetta: Lucifer Rising
- Genere: Horror/Heavy Metal
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