Voto: 6

A due anni dal primo album, “Reazioni Violente“, nell’autunno dello scorso anno, i 36 Stanze pubblicano il loro secondo lavoro, “Mattanza“, optando ancora una volta per l’autoproduzione.

L’attuale band è il risultato di un percorso cominciato nel 2007 sulla scia più estrema del grind core ed evolutosi in un nu metalcrossover dalle contaminazioni thrash metalcore. Insomma, un bel mix di generi che implica una costante ricerca e un certo grado di maturità.

Se di maturità si può parlare a livello tecnico, il concetto non è altrettanto applicabile a ciò che riguarda la comunicatività. Mi riferisco a due fattori principalmente: le melodie e i testi. Per quanto riguarda le prime, purtroppo i brani di “Mattanza” non risaltano per particolari linee melodiche che rimangono in testa. Ovviamente, nessuna pretesa di orecchiabilità dalle parti in screaming, il problema è che anche nelle parti pulite e non rappeggianti si fa fatica a seguire il senso della melodia. Parlando dei testi, invece, parecchi brani hanno un sentore troppo adolescenziale, come ad esempio nel caso della spagnoleggiante “San La Muerte” e del suo grido inneggiante “Viva la muerte”. “Figlio Di Un Cane”, al contrario, fa intuire la denuncia di un tema importante ma usa un linguaggio troppo diretto e sguaiato, tanto da risultare scontato. Ottima idea, invece, (anzi direi geniale, tra scabrosità e provocazione) quella di scrivere una canzone sulla materia fecale di un feto, il “Meconio”, appunto.

Ciò che non manca in “Mattanza” è, indubbiamente, l’impatto e l’aggressività. Oltre ai tre brani appena citati, ce ne sono altri due che picchiano forte e che spiccano per il loro ritmo pestato e i loro riff cattivi, “Calibro 36″ e “Uzi”, che, insieme a “Meconio“, sono i pezzi più interessanti e divertenti dell’album. Con “Ottobre Uccide” e “Dracula”, invece, i 36 Stanze ricercano delle atmosfere più lente, pacate e intime, ma è proprio qui che il problema delle melodie risalta maggiormente, perchè laddove non si può ricorrere alla velocità e all’aggressività, bisogna trovare altri modi per creare impatto, ad esempio sperimentare con suoni ed effetti o, più semplicemente, inserire linee melodiche dalla forte presa. Apprezzabile, comunque, è il tentativo (su cui c’è ancora da lavorare) di abbandonare per un po’ la violenza per mostrare anche un altro lato di sé.

In generale, il cantante Davide Galzarano, timbricamente, si destreggia bene tra cantato pulito e distorto. Come attitudine, invece, bene quella rap e ritmata, mentre da curare quella melodica. Le chitarre di Enrico Mambriani e Luca Pioli sono cazzute e aggressive. Nel complesso i riff sono impattanti e potenti e belli sono anche gli arpeggi usati in qualche pezzo, però potevano osare di più (per esempio, qualche assolo non avrebbe guastato). Se si è parlato tanto di impatto, poi, gran parte del merito è della sezione ritmica, che vede Riccardo Tosoni al basso e Andrea Mongelli alla batteria, impeccabili nei loro ruoli.

C’è ancora tanta strada da fare per la band di Fidenza, ma sono sicura che ciò avverrà secondo una naturale evoluzione e, magari, con l’aiuto di una buona produzione per il prossimo album.

 

Federica Blade

 

  • Anno: 2012
  • Etichetta: Autoprodotto
  • Genere: Grind/Metalcrossover/Thrash

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