Era il lontano 1985 quando la Reflex Records – Cgd appoggiò l’idea di un noto produttore romano di film horror e video musicali, Al Festa (tra i suoi biglietti da visita troviamo Fatal Frames, un thriller nel cui cast spiccano nomi come Donald Pleseance, Alida Valli, Ciccio Ingrassia, Rossano Brazzi e altri) di concepire una compilation di musica pesante incentrata sul movimento della NWOIHM in quel momento in piena attività, aiutato nell’impresa dall’allora ossigenato Richard Benson, personaggio bizzarro che non ha certo bisogno di presentazioni.
Per realizzare in pieno questo progetto, la produzione si accerchiò di nomi che ancora oggi vengono ricordati come la prima ondata del metallico stivale, anche se alcuni di essi purtroppo non riuscirono a imporsi come altri colleghi con cui divisero le due facciate del vinile. Il vinile appunto…è senza ombra di dubbio l’occhio che fà la prima parte in questa lunga storia di “Metallo Italia” attraverso proprio le immagini che decorano l’involucro in cui è custodito il vetusto piatto di bachelite; la copertina fece, a quanto pareva, immaginare che anche il metal italiano avesse finalmente la propria mascotte; dopo Eddie degli Iron Maiden infatti, anche Metallo Italia si prende la briga di presentare colui che, immaginariamente, prende il posto proprio dell’Eddie di maideniana fantasia; Marius, questo il nome del mostro nostrano, decapita senza pietà alcuna il mostro della Vergine di Ferro, quasi a voler simboleggiare la superiorità del metal italiano sull’allora dottrina imperante della NWOBHM. Una mossa che però costò cara ai produttori della compilation, che loro malgrado scatenarono l’ira di molti metallari italici che lessero nella cover del disco, ambientata in uno scenario lugubre di un cimitero con tanto di lapide dedicata a un certo Bon (velato riferimento al noto Bon Scott?) e negromanti sullo sfondo nell’intento di una nera processione, un affronto bello e buono pregno di una supponenza e presunzione tali che a detta loro valevano la bocciatura piena delle vendite. Ma non fù certo questa l’unica causa che decretò il fallimento commerciale di “Metallo Italia”; anche una scarsa produzione che non reggeva i confronti con quella più blasonata dell’estero contribuì non poco nell’impresa di boicottare la compilation.
Sempre nella copertina del disco è individuabile la dicitura “The First Compilation of Italian Hard Rock” e anche qui il dubbio della presunzione viene a galla, poiché la compilation venne erroneamente indicata come prima vera raccolta di glorie italiane dell’heavy metal, preceduta infatti al primo posto nel 1983 dalla storica “Heavy Metal Eruption”, uscita su Metal Eye Records e battuta di poco per la piazza d’onore anche da “Italian Metal vol.1” uscita nel 1985 su Flying Records. Sicuramente queste ingenuità, specialmente quella sulla scritta che la innalzava come prima raccolta ufficiale, si sarebbero dovute evitare per la buona riuscita del prodotto, già penalizzato di per sé come detto da una produzione deficitaria, e già rivolto ad un mercato, quello dell’Italia, che si è sempre dimostrato ostile e con la puzza sotto al naso nei confronti delle band di casa propria. Forse solo la concettualità della copertina può in un certo senso salvarsi, se il suo significato vorrebbe essere quel messaggio subliminale che chi ruotò intorno alla produzione della raccolta, forse volle in buona fede inviare alle legioni di fans, utilizzando questa iconografia certamente spinta e pretestuosa quanto si vuole, ma forse animata da quello spirito che fa del “credere” finalmente in qualcosa di nostro; l’essere spinti cioè da un emotivo e reale amore per i gruppi nostrani al punto da avere piena fiducia nelle loro idee che riuscivano a competere già allora con quelle dei grandi “orsi cattivi” d’oltremanica, sebbene, va detto con onestà, che non tutte le canzoni presenti su “Metallo Italia” risultino dei veri e propri gioiellini puramente intesi, come andremo poi a vedere in seguito. Insomma, l’essere animati da qualcosa in cui si credeva realmente ai tempi, un valore che oggi purtroppo si è perso…o in fin dei conti..non si è mai realmente avuto.
La raccolta ebbe comunque una notevole risonanza pubblicitaria all’epoca, segnata da una serie di passaggi in Rai e dal relativo allegato in VHS che fu prodotto insieme al vinile e alla musicassetta. Proprio la videocassetta ebbe una forte rilevanza poiché concepita anch’essa con uno spirito primordiale ma vero, genuino e a volte anche un po comico ma certamente sentito. Le riprese vennero effettuate sia in esterno che in interno; le riprese in esterno vennero girate a Formello, nei dintorni di Roma, in cui oltre alle band compaiono anche soldati bardati con armature medievali, mostri della mitologia horror e anche la mascotte Marius, la cui forma in carne ed ossa venne interpretata dal culturista italiano Stefano Biondi, più volte campione di body building. Per le riprese al chiuso vennero utilizzate le sale del Piper Club di Roma, sul cui palco i gruppi parteciparono in finti live dinanzi a un nutrito gruppo di fans.
L’inizio di “Metallo Italia” si snoda attraverso un cimitero di automobili in cui si aggira una ragazza ben vestita, interpretata da Ester Schiavo, che ben presto viene accerchiata da un gruppo di balordi armati di tutto punto, bramosi di vender cara la pelle alla malcapitata fanciulla. Nessuno sa però che Marius è di vedetta in quegli stessi luoghi, pronto a salvare la fanciulla dalle grinfie dei bruti, messi in fuga dalla sola spaventosa presenza della muscolosa creatura, e a trasformarla come per incanto in una metal girl con tanto di chiodo in dosso, parte, a quanto ci dicono i titoli di coda, interpretata dalla gemella di Ester Schiavo, ossia Francesca Schiavo. Un po avulsa come introduzione a dire il vero, ma non è la sola poiché di seguito si osservano scene tratte dal mito di Excalibur che esce dal lago e viene affidata a Re Artù (interpretato dallo stesso Al Festa) e ai suoi fidi scudieri Percival e Lancillotto, proprio dallo stesso Marius, che ritroviamo in seguito mentre si accinge a salire sul trono con in pugno una Gibson Flying V al posto della spada. Finalmente si può dire aperto il torneo dell’heavy metal italiano.
E’ compito dei padroni di casa RAFF aprire le danze di “Metallo Italia” con “I Trust” che in origine era compresa sul loro album “Gates Of Fortune” che a oggi rimane ancora inedito, e con una performance che vedrà alternare la band occupata sia sul palco che in una zona paludosa ad avventurarsi in una rievocazione di guerra. Sullo stage la band è energica grazie al frontman Chris Bianco, che si concede anche qualche istante mascherato con una testa di pantera nera, autore di un’ottima prova vocale, sostenuta da una altrettanto energica alla batteria dal fratello Fabiano “Master” Bianco e da quella di Fausto Donato alla chitarra che esaspera il suo tapping ripetuto sulla canzone, fino a giungere in chiusura di essa con un assolo. La resa sonora purtroppo lascia a desiderare e penalizza di molto la proposta dei Raff, ma come si vedrà in seguito sarà in buona compagnia.
E’ il turno degli anconetani Shout, band che purtroppo non ha portato in dote molto al metal italiano ma che qui si presenta con l’hard’n’heavy di “Break It Up, energico mid tempo rovinato anch’esso da una produzione deficitaria, su cui svolge un ottimo lavoro l’ugola di Maurizio Cerantola che, insieme al chitarrismo di Mark Rossetti, autore di un assolo pregno di melodicità, lascia il segno in questa breve apparizione che sul fronte live si snoda sia sul palco del Piper, a dire il vero senza grosse sorprese a livello scenico, sia nell’autorimessa vista ad inizio video, in cui i cinque sono sulle orme di una metal girl che gira nei paraggi, attratti dalla sua presenza. Un peccato che gli Shout si siano eclissati lasciando in eredità pubblica ciò che si può ascoltare in questa sede poiché sembravano esserci qualità buone e magari anche migliorabili nel loro background .
Giocano in casa anche i T.I.R (Temple Infernal Rock) che promuovono la loro “Amsterdam”, la quale deve in maniera marcata la sua concettualità ai Maiden dell’epoca Di Anno, e già facente parte del loro demo del 1983 e poi immessa successivamente anche nell’EP omonimo del 1984, che fino ad allora rimase la loro unica produzione in campo discografico. Introdotta da un arpeggio acustico di Sergio Bonelli, con sottofondo di tastiere, è lo stesso axeman romano che una volta liberatosi della chitarra acustica lanciata ai fans, dà spazio alla band che si lancia in frenetica danza sul palco, con i colpi vibrati di Fausthor Derato su cui poggiano gli arcigni riffs dell’accoppiata Bonelli – Antonini ed affiancata dal vocalist di allora Frankie Force, che svettava più per il suo abbigliamento “denim and leather” ,degno di un Rob Halford meets John Ricci, che per la sua qualità di cantante che lascia un po a desiderare. Anche la canzone in sé non fa gridare al miracolo ma si lascia comunque ascoltare grazie a un’intuizione di metallicità anche sul solo centrale, e gusto per la melodia aiutata in questo anche dal wah wah chitarrista. Anche per i custodi del tempio del rock infernale le riprese si snodano sia al chiuso che in un porto in cui si divertono a far caciara in mezzo a dei pescherecci.
I Vanexa sono l’unica band del lato A che ebbe un certo risalto già negli anni precedenti questa raccolta. Nel 1983 infatti furono tra i prime movers di una certa concezione di fare musica pesante in Italia con il loro album omonimo, che valse loro anche la partecipazione come attrazione principale dello storico Rock In a Hard Place di Certaldo dello stesso anno. A Metallo Italia portarono “It’s Over” che ancora risultava inedita visto che l’avrebbero inserita solo tre anni più tardi sul secondo Lp “Back From The Ruins”. La caratteristica della song è la sua ritmicità scandita da uno sciolto Syl Bottari, seduto come sempre con la sua inseparabile faretra contenente i dardi sonori che contribuiscono in maniera scandita alla causa dell’heavy rock di cui la canzone si fa portatrice. Per i rockers liguri sono riservati scenari esterni ripresi in un contesto di rovine medievali (un’avvisaglia forse di quanto si stavano apprestando a fare con l’emblematico titolo del loro secondo lavoro in studio), in cui la band non perde un millimetro della sua attitudine rock.
Il lato B si apre con “I’m Tired” dei Crossbones, band ligure guidata da Dario Mollo; un hard rock senza particolari spunti quello proposto dalla song, che risulta lineare, ripetitiva e con un cantato che spesso rasenta l’apatia con gli acuti sparati in alto continuamente. Solamente la parte ritmica di Gaslini – Gepponi e il talento indiscutibile di Mollo si salvano da questo contesto. L’esibizione del Piper non dà anch’essa grande prova di scenicità, e non bastano neanche trovate sceniche come le strane creature quasi aliene presenti sul palco e quella del cantante intento a fingere di essere ibernato dentro un cilindro di plexiglass, in aggiunta a quelle esterne in cui Mollo scorrazza allegramente in motocicletta, a sollevare l’interesse verso questo frangente dei Crossbones, decisamente il punto più basso del disco.
Ci pensa l’hard’n’heavy diretto dei ternani Synhtesis, alle prese con la sparata “The Light” a rialzare le quotazioni di Metallo Italia; la band si formò nel 1979 e si era già messa alle spalle un demo nel 1983 dal titolo “The Price Of Glory” da cui viene estratta la qui presente song che, nonostante la produzione scadente che non risparmia neanche i rockers umbri, non impedisce a far trasparire una certa qualità di intenti nelle idee proposte. Il video della canzone venne anche trasmesso sulla Rai e permise così alla band di ottenere un po di celebrità. Il gruppo appare dal vivo compatto ed energico, trascinato dal folle cantante Giulio Biocca, discreto anche vocalmente parlando. La canzone si fa ascoltare e apprezzare per la sua struttura dinamica e veloce, supportata degnamente dall’egregio lavoro svolto dalle chitarre che in certi frangenti rubano la luce dei riflettori per un duello a colpi di note, e dalla solida base ritmica composta da Stefano Marinozzi al basso e dal batterista Roberto Uccellini, unico superstite al giorno d’oggi della lineup storica. In sede live i Synthesis appaiono già maturi anche sull’aspetto scenico, cosa che deve aver fatto piacere anche alla titanica mascotte Marius che appare insieme a loro sul palco a divertirsi col pubblico. Camei in esterno come ovvio anche per i ragazzi di Terni, ritratti a fare del sano casino adolescenziale in un cantiere edile in fase avanzata di costruzione.
Insieme agli Elektradrive e ai Vanexa, gli Steel Crown sono il nome più altisonante della squadra che forma Metallo Italia, e che la band di Yako De Bonis avesse una marcia in più è intuibile dalla classe di “ Riot In The Fire”. La band triestina viene fondata nel 1977 ma arriva anche lei tardi alle prime incisioni: “Metal TS” il primo demo, è databile infatti nel 1982 ma è già una veterana delle compilation, potendo infatti vantare la partecipazione alle due precedenti “H.M Eruption” e “Italian Metal Vol.1”. Anche qui non smentisce la sua aurea fama di band di punta della prima ondata del metal italiano; “Riot in The Fire” è incastonata in un inserto settantiano che si fonde con lo stile più marcatamente metallico della band, merito del genio di Frank Lewis e di Pino McKenna, rispettivamente chitarra e basso, ben coadiuvati dal forsennato drum work di Silver Kid. Ma il loro lavoro si sarebbe vanificato se alla voce non ci fosse stato il carismatico Yako, uomo simbolo degli Steel Crown che completa l’opera con la sua sofferta e rabbiosa voce. Mantenendo fede al suo ruolo, si presenta da solo nelle scene girate in esterno insieme a una fanciulla. Ancora una volta il mastodontico Marius si riaffaccia sul palco con la band triestina, quasi in un impeto di devozione verso la stessa e direi anche a ragione perchè dal vivo gli Steel Crown dimostrano di avere la maturità dei grandi che avrebbe potuto essere loro il passaporto per il successo.
Da Torino l’ultimo sussulto di gloria con gli Elektradrive, che portano in dote la pomposa “Winner”. Nascono nel 1983 e già nell’anno successivo fanno girare il singolo “Let It Survive”; vengono chiamati a Metallo Italia e mostrano nella loro musica un taglio decisamente più melodico rispetto agli esordi, che elevò la band di Simone Falovo ed Ezio Maugeri (in questa situazione la band adottò pseudonimi inglesizzati) a punto di riferimento nel panorama hard italiano. La classe dei grandi è ben papabile nei solchi della canzone, a cominciare dalla squillante ugola di Mauger, supportata degnamente dal chitarrismo di classe di Falovo che si divide i compiti solisti con le tastiere di Eugene “Snake” Chanton. Decisamente la canzone che si discosta in maniera marcata da tutte quelle presenti nella compilation ma non meno affascinante e coinvolgente.
Volge così al termine la storia di “Metallo Italia”, suggellata dal ritorno della spada Excalibur nel lago da dove è provenuta, tornata in possesso di Marius che conclude l’opera con la testa di Eddie in una mano, scena già ripresa dalla cover dell’Lp. In sostanza “Metallo Italia” pur nelle sue leggerezze e nei suoi difetti, rimane un documento interessante che ha contribuito a scrivere la storia della NWOIHM. Ha il pregio di contenere al suo interno alcuni dei nomi importanti che hanno lasciato un segno evidente nella storia del metal italiano e altri che in alcuni casi si sono rivelati delle fugaci meteore che non hanno lasciato granchè al movimento. L’idea di base comunque era e rimane buona, anche arricchendola con la vhs allegata, ma purtroppo questo come detto all’inizio non servì a molto per destare l’interesse dei metalheads nostrani; di certo la produzione non aiutava a spingere in quel senso li e non reggeva confronti con l’estero, e alla fine si è tramutato solo in un pezzo da collezione ricercato dagli appassionati di metal italiano e nulla più. Senza dubbio è da premiare almeno l’intenzione di Al Festa,di dare un supporto con le proprie forze a un movimento musicale interessante, non avendo, però, fatto i conti con un mercato difficile e ostico quando c’è da far parlare il metal italiano.
TrackList
01. Prelude
02. Raff: “I Trust”
03. Shout: “Break It Up”
04. T.I.R: “Amsterdam”
05. Vanexa: “It’s Over”
06. Crossbones: “I’mTired”
07. Synthesis: “The Light”
08. Steel Crown: “Riot In The Fire”
09. Elektradrive: “Winner”
10. Finale
- Anno: 1985
- Etichetta: Reflex Records – Cgd
- Genere: Heavy metal