Voto: 9
Nel grande fermento dovuto alla nascita della NWOBHM che si andava affermando negli ultimi periodi degli anni Settanta e i primissimi degli Ottanta in Inghilterra, i Vanexa sono stati fra i primi a rispondere, dall’Italia, a un certo richiamo proselite proveniente dalla terra d’Albione, in cui indottrinati rettori della cattedra come Iron Maiden, Saxon e Judas Priest stavano facendo correre il loro nome sia in madrepatria che oltre Manica con alcuni dei loro più affermati capolavori, in un vero e proprio impegno che ha assunto i tratti somatici di una rivoluzione culturale che si proponeva di vestire la musica rock con un look più pesante, destinata a segnare per oltre un trentennio un’epoca.
Marco Spinelli, Sergio Pagnacco, Silvano Bottari e Roberto Merlone sono stati capaci di saper assimilare e far propri i principi di questa rivoluzione riversandoli nel primo album omonimo della loro carriera. “Vanexa” del 1983 testimonia che i primi fragori di quello sconquassante fenomeno chiamato Heavy Metal stava iniziando a prendere campo anche nell’italica nazione, andando di fatto a introdursi in maniera marcata nei solchi del debut album con l’apripista “Metal City Rockers”, divenuta col tempo uno dei cavalli di battaglia della band nonché canto di lode al signore dell’acciaio che intere schiere di devoti in pelle e borchie innalzavano e vi si riconoscevano a pieno titolo. L’influenza albionica è tanta, ritrovata sopratutto nei Saxon e in qualcosa dei Motorhead del tempo, con i suoi riffs semplici ma incandescenti e affascinanti, portati in avanti dall’energia di Pagnacco e Bottari alla sezione ritmica e dalla voce di Spinelli, anche se quest’ultima per certi versi leggermente poco incisiva nel risultato finale (il successivo subentro al microfono di Roberto Tiranti farà infatti fare un salto di qualità non indifferente come testimoniato anche dal recente Metal City Live). Una cascata di note e soli investe in pieno l’ascoltatore, con un Roberto Merlone sugli scudi in questa prima parte con un’ altrettanto solida macchina bellica dietro le sue spalle che risponde al nome di Silvano Bottari a cui il suo drum kit avrà scongiurato in ginocchio la sua pietà al termine della sessione di registrazione. Si prosegue con l’incalzante “Lost War Sons”, incisiva e accalorata nel suo ritornello baldanzoso e nel comparto arcigno del rifferama messo a disposizione da un Merlone in piena attività lavica. Con “I Wanna See Fires” i rockers liguri proseguono su ritmi a metà tra il cadenzato e lo spinto e regalano con essi un’altra gemma da gettare nelle fameliche orecchie dei giovani metallari per far conoscere come si faceva metal in Italia negli anni Ottanta, con tanta approssimazione nella produzione (d’altronde la tecnologia era quella che era) ma con tanto cuore e passione da vendere. Certosino come sempre il lavoro ritmico del duo storico Pagnacco – Bottari, vera anima della band, così come lo stesso Spinelli riesce finalmente a venir fuori in una condizione congeniale alla sua voce, in cui non è necessario “tirare” troppo, eccetto nella conclusione in cui riesce a tirar fuori un vocalizzo degno quasi del Rob Halford dei vecchi tempi. Su “1000 Nights” la tenace squadra savonese decide che è il momento di dare un colpo di gas e l’indiavolato drumming apre agli altrettanto folli ritmi che riprendono i dettami della scuola speed metal, di cui in quei tempi una band come gli Exciter ne era l’alfiere incontrastato.
La band dà tutta sé stessa e ciò che ne risulta è una sciabolata letale per gli amanti dei suoni più accesi. Introdotta dal lento incedere ritmico, si fa avanti una super saxoniana “”If Your Fear The Pain” mantenendo un’andatura altrettanto cadenzata dove la band conferma la sua classe di superstar italiana nel genere classico e la riconferma anche nella strumentale “Across The Ruins”, aperta da un arpeggio di chitarra acustica, accompagnato da un caldo violino che si eclissa dolcemente, per poi tornare a farsi risentire verso la chiusura, lasciando lo spazio agli strumenti sovrani del rock che ripercorrono indietro nel tempo un percorso fino a tornare nei lontani anni Settanta. “Rainbow In The Night”, un altro cavallo di battaglia della band, si erge vanitoso con la sua andatura ritmata e dove ancora una volta (come se ce ne fosse di nuovo bisogno) la band dà libero sfoggio di una destrezza e capacità esecutiva che era ai tempi pronta per far fare ai Vanexa il salto di qualità fatidico purtroppo negato a loro come a tutte le altre band italiane. Nella versione ristampata della Marquee Minotauro Records qui in esame, vengono aggiunte ben tre bonus track che a suo tempo avevano composto il primissimo demo datato 1981 dei savonesi, tracce in cui l’ossatura della band sembrava poter già reggere il confronto con i blasonati nomi stranieri; canzoni come la melodica “Sunshine In Her Eyes”, la scanzonata “One Night Women” e la rockeggiante “Rebellion” erano e sono tutt’oggi i primi segni che in Italia si cominciava a credere seriamente alla religione dell’heavy metal e si cercava di rispondere al suo proselitismo con una classe da non fare invidia a nessuno, tanto meno ai padri fondatori di questa dottrina, e su questo i Vanexa ne sono maestri assoluti anche a distanza di trent’anni dal loro inizio.
“Vanexa” è il disco indicato per chi vuole scoprire le origini dell’heavy metal italiano, un disco che riascoltato ancora oggi non perde di un grammo la sua potenza e il suo pregio.
Francesco Running Wild
TrackList
01. Metal City Rockers
02. Lost War Sons
03. I Wanna See Fires
04. 1.000 Nights
05. If Your Fear The Pain
06. Across The Ruins
07. Rainbow in the Night
08. Sunshine In Her Eyes * Bonus track
09. One Night Women * Bonus track
10. Rebellion * Bonus track
- Anno: 2011
- Etichetta: Autoprodotto
- Genere: Heavy Metal
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