Voto: 9

Chi sono i Witchfiled? È legittimo e comprensivo, iniziare quest’articolo con siffatta domanda, perché, per i più, tale moniker non significherà nulla o quasi. I Witchfield rappresentano, una delle poche, ammiccanti e originali creature artistiche, in seno alla nostra patria. La band, in analisi, è il risultato di un in’aspettato incontro (casuale o voluto?!), tra John e Andy Cardellino, già nell’ Impero delle Ombre, e il più noto Thomas Hand Chaste, batterista dei primi Death SS, e ,in seguito, collaboratore di Paul Chain.

Era la primavera del 2006, inizio di una serie d’incontri e di spontanee jam-session, tra le terre di Romagna, Toscana e Puglia, un periodo intriso di umane, artistiche e conoscitive sensazioni; ed ecco arrivare in breve all’alchimia, i Nostri approdano a un nuovo straniante progetto: Witchfield, letteralmente, se si può applicare una traduzione del genere, significa campo di streghe, ed è proprio questo il senso che intende raffigurare musicalmente questa nuova realtà artistica, cioè, raccontare le impressioni e le visioni ricevute attraverso il passaggio in ombrosi e cupi tratturi di campagna, caratteristici del Mezzogiorno d’Italia, piuttosto che dei desolati e spogli ambienti collinari del centro e nord dell’Italia, in specie, di quelle ombre e penombre delle campagne del nostro Paese, che hanno da sempre arricchito, nella fervida immaginazione, o nella pseudo realtà, i racconti di miti, leggende e misteri, giunti a noi, grazie a uomini e donne, che nei campi isolati, hanno vissuto gran parte della loro esistenza.

Witchfied intendono narrare, per mezzo delle loro elucubrazioni artistiche, i miti e gli arcani, insiti nei rustici paesaggi apparentemente privi di storia. Nel 2009 giunge la summa e il concretizzarsi di questo umano incontro, viene rilasciato “Sleepless”, ad opera dell’etichetta genovese Black Widow, oramai, e da molti anni, marchio di qualità per gli amanti di sonorità inedite ed alienanti.
Musicalmente il lavoro si palesa di primo acchito come una commistione, e conseguente evoluzione, di quelle che furono le prime opere dei giovanissimi Death SS, mescolate con le trame, certamente più inclini a dilatarsi, dei Violet Theatre, amalgamati alle sensazioni funerarie dell’ Impero delle Ombre, in dettaglio, e per definire le coordinate stilistiche, parlo di: doom, heavy-metal, tracce di electro-efffettistica primordiale, impressioni psichedeliche, e certamente una recondita componente folklorica, indubbiamente devota alla tradizione di Puglia.

L’opener del disco è affidata a “The Burial of Count Orgaz”, una sinistra introduzione tastieristica per opera di Chaste, una sorta di porta d’ingresso musicale, come se ciò fungesse da architrave di un tunnel nero sulfureo, in cui, lungo lo scorrere delle note, il percorso si fa sempre più piccolo, ottenebrato e periglioso. Dopo la contestualizzazione ambientista di “The Burial…. ”, si prosegue con “Edina’s Escape from Cancer”, una cadenzata, continua e ossessiva litania, che ha il pregio, o il difetto, di penetrare forzatamente nella mente dell’ascoltatore, arricchita, in sede di strutturazione compositiva, da riff chitarristici ed un cantato a dir poco declamatorio. Terminate le pacate e apparentemente placide atmosfere di “Edina’s… ”, si passa all’ascolto della raggelante “The Mask of the Demon”, in cui un drumming e un ostinato di basso, dall’esecuzione percussiva, introducono ad una composizione, dove chitarre acide e vocalizzi strazianti, descrivono un paesaggio sonoro, in cui la positività è relegata all’oblio, anzi, e di contraltare, nero ritualismo ed esoterismo, non lasciano spazio ad altra presenza.

È l’ora di “High Tide Symphony”, composizione dischiusa da un organo ieratico, il quale descrive uno scenario mistico e atmosferico su cui, questa volta, l’espressiva forma vocale, scelta da John, è libera di cimentarsi su di un andamento doom pervaso da arrangiamenti dal forte sentire psichedelico. “Void in the Life”, è un intro di sax e flauti eseguiti dal leggendario, quanto musicalmente visionario, Clive Jones (leader degli Storici Black Widow), i suoi fiati, dal carattere espressionista, spennellano contorni musicali momentaneamente sereni e meditativi, prima del conseguente, ed inaspettato, istintivo e furente rock in coda al brano.

I Curse my Fate” tralascia per un attimo la schizoide irregolarità compositiva, in vena ai Witchfield, per dedicarsi a una forma canzone dall’incedere tastieristico, che, tuttavia, non disdegna di regalarci un inciso, centrale al brano, di matrice folk, per mezzo dell’utilizzo di tamburelli d’origine popolare; penso a quest’ultima idea, come un tributo alle origini pugliesi dei fratelli Cardellino. Lo strumentale “Totenaz” vede cimentarsi nuovamente Chaste ai tasti d’avorio, in una composizione dalla notevole fattura, dove armonie chiesastiche, dallo stilema tardo barocco, contemplano e sfiorano l’ineffabile bellezza, quasi come nel toccare, per un solo attimo, un seducente spiraglio di luce, ma la seguente enunciazione di un corale organistico, sul finire della partitura, riconduce il tutto a una mera transumanza a un maledetto e sinistro ambiente. Di fatti, lo strumentale suddetto, conduce il nostro viaggio musicale alla reinterpretazione di “Inquisitor” dei Death SS, impreziosita, nel finale, dai fiati coloristici di Jones, e alla riproposizione di “Black Widow” di A. Cooper, eseguita in maniera esemplare dall’intera band.

Sul finire, “Immagination Vortex”, brano doom, acido e a tratti sincopato. La conclusione è affidata a “The Burial of Count Orgaz, finale”, un outro tastieristco, rielaborazione, proseguimento e conclusione dell’introduzione al disco, che ha il merito di condurre, e metaforicamente traghettare l’ascoltatore, all’estinguersi di questo trip musicale, dall’insana, psichedelica, quanto piacevolmente tetra pseudo realtà, trasmutata in note.

Una nota va fatta, e anch’essa di merito, per il lavoro testuale sviscerato da John, ispirandosi e riadattando l’opera di alcuni tra i maggiori letterati anglosassoni del diciannovesimo secolo, come: Blake, KingsleyFergusson e Shakespeare; il vocalist ha raccontato, traendo dalla Loro e propria poetica, i disagi, le ossessioni e le alienazioni dell’uomo, in preda all’era della macchina. Tutto ciò sostiene e conferma una mia tesi, cui tengo molto, e che penso sia largamente condivisibile, cioè che un certo tipo di fare musica, quale il rock o l’heavy-metal, non sia incline ad un semplicismo, in termini di contenuti, ma al contrario, spesso denoti un alto tasso di riferimenti intellettuali e artistici a tutto tondo.

In conclusione, cosa dire ancora d’importante ed esaustivo? Witchfield rappresenta oggi, nei nostri anni, un compendio e un concentrato di quella che è stata la musica italiana negli ultimi quarant’anni, considerando chiaramente le espressioni più inclini a farsi arte. I riferimenti musicali sono ovvi e palesi, e ripercorrono stilisticamente, senza elencare eventuali band del presente e del passato, tutte le decadi in questione: a iniziare dall’esperienza lisergica dei sessanta, fino alle architetture progressive dei settanta, passando per il dark e l’heavy anni ottanta, per giungere alle piccole e ricercate suggestioni moderniste da studio, di questi ultimi e nostri anni, coniugando il tutto, con un operandi, che sa di magico, ritualistico e dannatamente esoterico.

 

Nicola Pace

 

TrackList

01. The Burial Of Count Orgaz
02. Edina’s Escape From Cancer City
03. The Mask Of The Demon
04. High Tide Symphony
05. Void In The Life
06. I Curse My Fate
07. Totentanz
08. Inquisitor
09. Witchfield / The Black Widow
10. Imagination Vortex
11. The Burial Of Count Orgaz (finale)

 

  • Anno: 2009
  • Etichetta: Black Widow
  • Genere: Prog/Doom/Hard Rock

 

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