Voto: 9

Quando un gruppo che ha fatto storia da alle stampe un nuovo disco dopo anni ed anni di inattività, la situazione si presenta sempre come un’arma a doppio taglio. In qualità di fan, da un lato speri in un nuovo capolavoro, come se il tempo non fosse mai passato; dall’altro temi che ciò che esca non sia all’altezza del passato, e possa offuscare un nome glorioso (e di reunion fallite è piena la storia). Se poi, oltretutto, ti trovi a dover recensire il lavoro in questione, prima di esprimere anche la più insignificante opinione ci vai con i piedi di piombo, e per paura di trarre conclusioni affrettate- sia in positivo che in negativo- ascolti ogni singola nota un migliaio di volte. In aggiunta, quello che per una band esordiente risulterebbe un ottimo lavoro, potrebbe essere giusto sulla soglia della sufficienza se hai davanti un gruppo che calca le scene da decenni.

A complicare ulteriormente il quadro vanno dei fatti che dovrebbero essere ben noti a tutti i seguaci della band. ‘Rising to the call’ è il primo album di inediti della Strana Officina da oltre 20 anni a questa parte (il precedente ‘Rock’n roll prisoners’ era del 1989); Fabio e Roberto Cappanera (pace alle anime loro) non ci sono più- da oltre quindici anni ormai- ed i brani ivi contenuti, ad eccezione delle storiche ‘Amore e fuoco’ (composta quando il singer della band era ancora Salani) e ‘Non sei normale’, portano la firma compositiva di Dario e Rolando. Insomma, un grande ritorno di quelli che ti fanno avere tutti i riflettori puntati addosso: certo, sarebbe stato più facile cavalcare l’onda del successo conseguito con la reunion al Gods Of Metal 2006 prima e con la pubblicazione di ‘The faith’ (contenente solo brani vecchi ri-registrati, per chi non lo sapesse) poi, ma la Strana Officina ha deciso di rischiare, per dimostrare di essere ancora in grado di dominare il panorama metal italiano.

È con un monte di timore che ho dunque approcciato questo album, iniziando l’ascolto dai due brani finali, vuoi perché non conoscevo affatto ‘Amore e fuoco’, vuoi per essere certo di non incappare in repentine delusioni affrettate. E voglio subito parlare proprio di queste due tracce, anche perché sono contestualmente separate dal resto del lavoro. ‘Non sei normale’ è stranota fin da quando apparve sulla compilation ‘Heavy Metal Eruption’, in quanto ha sempre fatto parte delle set list della band; quello che ha in più qua è una resa sonora finalmente all’altezza. Non sono mai riuscito a capire perché non fosse stata inserita in ‘The faith’ (così come ‘Viaggio in Inghilterra, ma questa è un’altra storia), ma ormai non ha importanza: giustizia è stata fatta. Ben meno nota, e prima d’ora ben difficilmente reperibile, era invece ‘Amore e fuoco’. Fin dal primo ascolto è immediato inquadrare questo brano in mezzo ai suoi “coetanei”, visto che lo stile è quello dei primissimi pezzi composti dalla Strana Officina, come ‘Vai vai’ e soprattutto ‘Officina’, sovente richiamata sia nei riff che nel coro. È chiara persino l’impronta di Jhonny Salani, singer dell’epoca, per quanto riguarda lo stile delle linee vocali, molto diverso dall’impostazione più morbida e fluida che seguirà il Bud.

Veniamo ora ai brani inediti. L’intento, a livello compositivo, pare essere quello di ripartire da dove la storia si era interrotta, ossia da ‘Rock’n roll prisoners’. Le componenti armoniche e strutturali derivanti da questo lavoro sono arricchite con sonorità di stampo più recente, indubbiamente imputabili in buona parte all’impostazione Zakk-Wyldeiana tipica dell’attuale chitarrista Dario ‘K’ Cappanera: ecco quindi che i riffs risultano più aggressivi e meno morbidi che in passato, senza per questo snaturare quello che da sempre è il marchio di fabbrica della band. La voce del Bud è sempre la stessa, sicuramente addolcita e smussata dal tempo passato ma comunque inconfondibile.

Le prime fasi spazzano subito via le principali incertezze: un attacco in pieno stile ‘Gamblin’ man’ da il via a ‘In rock we trust’, un brano breve e immediato, di notevole impatto, che si presta molto a essere suonato dal vivo. Non credo che riuscirà a sostituire l’intramontabile ‘King Troll’ in apertura, ma penso che diventerà con ottima probabilità parte integrante delle set list future. Intro arpeggiata e dunque più tranquilla, invece, per ‘Boogeyman’, song che rappresenta per certi versi il lato di stampo più recente della Strana Officina di oggi, tra melodie riconducibili alla seconda parte di ‘Unknown soldier’ e riffs più duri e aggressivi, di probabile derivazione post-priestiana. Brano sicuramente complesso da interiorizzare e metabolizzare, ma comunque di ottima fattura. Apertura arpeggiata anche per ‘Pyramid’, altro brano costituito da fasi più tranquille e morbide che esplodono poi in un chorus più roccioso; Dario riesce a mediare bene tra sonorità classiche e impostazione personale, snocciolando ora riffs granitici ed aggressivi, ora dolci assoli dall’ottimo gusto melodico.

I due pezzi successivi vanno a costituire il piatto forte della componente inedita dell’album. L’incipit spiazzante di ‘Night flyer’, con una voce filtrata quasi industrial, è spazzato via dopo pochissimi secondi da un riff di quelli che tutti si aspettano, e ne esce un brano validissimo, a metà tra ‘War games’ (da sempre una delle mie preferite tra quelle col cantato in inglese) e ‘The kiss of death’, con tanto di break melodioso e arpeggiato al centro, quasi come se il tempo si fosse fermato due decenni fa. E dunque un titolo quasi noto: ‘Beat the hammer’, ossia “batti il martello”; ma, al di là della citazione, non vi sono grandi analogie con la storica ‘Officina’ se non la presenza di un chorus anthemico che più immediato di così non si può. A conti fatti il brano pare una sorta di rivisitazione di ‘Metal Brigade’, arricchita con alcuni elementi poco standard per quanto riguarda parte delle linee vocali. A dire il vero alcuni momenti lasciano un po’ di perplessità, ma bridge e chours allontanano ogni incertezza. Si prosegue con ‘Gone tomorrow’, e a livello ritmico-strumentale le strofe paiono immediatamente una citazione- piuttosto consapevole, credo- delle prime fasi di ‘Luna Nera’, con l’aggiunta di una linea vocale che richiama ‘The ritual’. Ben diverso il discorso per quanto riguarda il chorus, incredibilmente recante l’impronta dell’influenza della leggenda Ozzy Osbourne. Insomma, un brano tutto sommato fuori dagli schemi, e forse anche leggermente fuori dal contesto. La successiva ‘Life: when it’s gone’ è un lento arpeggiato ed armonico, caratterizzato da una prima parte che vede un certo utilizzo di chitarre acustiche ad accompagnare il Bud e da una seconda parte dominata dalla chitarra elettrica. In mezzo a due assoli Dario ‘K’ aggiunge del suo, dando vita ad un intermezzo che ha ben poco a che vedere con la vecchia produzione della band. Anche se, a dirla tutta, è l’intera song a distaccarsi nitidamente dall’antico repertorio, risultando cosi di difficile assimilazione per i fans di vecchia data. Spetta dunque all’ultimo dei brani inediti il compito di provare a fare da ponte con il passato: ‘Media messiah’, dopo un’intro a metà tra il discorsivo e la proclamazione (peraltro pienamente evitabile, a mio avviso), richiama vagamente in apertura ‘Falling star’, prima di proiettarsi verso una struttura di stampo più moderno, che si traduce in una fase centrale parlata veramente anomala e nella citazione di Ozzy- per la seconda volta- nel chorus.

Si chiude cosi la nuova esperienza compositiva della Strana Officina; l’unica cosa che resta da segnalare è la presenza di una brevissima hidden-track strumentale posta in chiusura dell’album. L’impressione finale, conseguita dopo un discreto numero di ascolti attenti, non è completamente omogenea: ‘Rising to the call’ è indubbiamente un ottimo ritorno, sicuramente superiore alle mie aspettative, e contiene dei brani che da soli valgono l’acquisto (‘In rock we trust’ e ‘Nightflyer’, oltre ai due pezzi cantati in italiano), ma in alcuni punti, specialmente dove vengono seguite soluzioni meno prevedibili, non è immediato da assimilare e richiede una discreta apertura per poter essere apprezzato fino in fondo. I fans più irriducibili comunque gioiranno; a chi invece conosce poco la band consiglio prima di approcciare i brani storici tramite l’ascolto di ‘The faith’ prima di passare per questo lavoro.

 

 

Francesco Salvatori

 

TrackList

 

  1. In rock we trust
  2. Boogeyman
  3. Pyramid
  4. Night flyer
  5. Beat the hammer
  6. Gone tomorrow
  7. Life: when it’s gone
  8. Media messiah
  9. Amore e fuoco
  10. Non sei normale
  • Anno: 2010
  • Etichetta: My Graveyard Productions
  • Genere: Heavy Metal

Links:

Facebook

YouTube

Autore