Voto: 8.5

Non è facile affrontare una recensione che riguardi il primo e unico album (almeno pubblicato) di Fabio e Roberto Cappanera realizzato sotto il proprio cognome, senza cadere nella retorica, senza fare a meno di discorsi ormai usati in larga parte, e senza comunque affrontare un discorso particolare che illustri il percorso con cui è stato possibile realizzare l’unico documento scritto (in realtà ne esiste un altro, il secondo disco solista mai uscito pubblicamente con il Morby alla voce) della carriera dei fratelli Cappanera senza adoperare il moniker Strana Officina.

Ci sono più versioni che inneggiano alle motivazioni che portarono la scelta di aprire un parentesi personale nella carriera di Fabio e Roberto; a detta di molti, all’inizio degli anni Novanta i due musicisti labronici decisero di “congelare” momentaneamente la band madre per dedicarsi appunto a un progetto che prendesse le distanze dall’orizzonte spasmodico del mondo metallico di cui loro stessi ne furono ardenti e convinti fondatori nei lontani anni Ottanta, andando a ricercare le proprie radici del Blues. A detta di altri, “Cappanera” si trattava soltanto di un progetto parallelo che non voleva assolutamente andare oltre alla Strana Officina, come in teoria si ipotizzò all’inizio, ma solo un viatico dei due artisti per tornare appunto a riscoprire quelle origini da tempo lasciate sepolte, ma con la convinzione di non abbandonare mai la propria band principale. Qui non siamo nella sede adatta per disquisire su quella o quell’altra verità, preferiamo occuparci di ciò che è scaturito da questa scelta di “mettersi in proprio” dei Cappanera brothers, dalla quale presero la decisione di radunare un gruppo di musicisti di primissimo ordine dell’allora Italia metallica; alla voce richiamarono Johnny Salani, che può vantarsi di essere stato il primo cantante della Strana Officina negli anni Settanta, al basso piazzarono l’ex Shabby Trick (all’epoca, e ora di nuovo Shabby Trick) Andrea Castelli, fiero portabandiera del rock senese e tra i migliori ritmici esistenti in Italia, e alle tastiere Ruggero Zanolini, ex Vanadium.  Qui entra in scena “Non c’è più Mondo”, che di Blues ne contiene effettivamente molto ma si prefisse, e si prefigge ancora, di essere a distanza di diciotto anni dalla pubblicazione come un prodotto dell’Italia Rock capace di tener testa, e di superare di gran lunga, molti altri più blasonati esempi di quello che viene intesa in Italia per musica Rock e che vengono soprattutto spacciati per essa.

“Non c’è Più Mondo” uscì in vinile e musicassetta nel 1991 sotto  Minotauro Records, la quale in tempi recenti ha ristampato in cd proprio il disco in questione che si presenta veramente come un autentico gioiello, un mosto in cui rock e blues vengono messi a mescita continua e spaziano dalle atmosfere più ariose a quelle più malinconiche, una rivisitazione in chiave più rock e meno heavy metal di quell’essenza già espressa nella Strana Officina, passando tra episodi di vita quotidiana e temi trattanti il sociale a quelli di pura essenza rock.
Il riff blues di “Aurelia Freeway” dà inizio alla scorribanda musicale, (esiste anche un video di suddetta canzone girato sia al mitico Topsy Club di Livorno che sull’appena aperta superstrada Firenze – Pisa – Livorno, la stessa in cui vi troveranno la morte due anni dopo Fabio e Roberto) ed è festa hard’n’blues, la colonna sonora in cui si riconosce chiunque che per lavoro è costretto a farsi lunghi tragitti su poderosi camion giacché il testo si attiene strettamente alla dura vita dei trasportatori, accompagnata da una solida base strumentale in cui si fanno subito distinguere il portentoso guitar riffing dell’axeman livornese, il vigoroso e melodico tocco di corda di Castelli, il buon lavoro del baffuto tastierista milanese e la voce non troppo entusiasmante di Salani, ma comunque ben inserita nel contesto.

Si va avanti a mille con la seguente title track “Non c’è più Mondo” dove come ospite di eccezione alla batteria troviamo Rolando Cappanera, il figlio di Roberto e attuale drummer della rifondata Strana Officina, e il cambio generazionale in questo lato si sente eccome; tocco più monolitico e quadrato rispetto a quello più scattoso e tecnico del padre, ma si è trattato solo di acerbità iniziale visto che chi ha sentito il Rola Cappanera di adesso avrà certamente ancora nelle orecchie la tecnica acquisita negli anni dal giovane pargolo della stirpe Cappanera.
Si ritorna nella realtà con i suoni cupi e malinconici di “Barbone”, dedicata a tutte le persone sfortunate che come casa hanno le strade e le panchine dei giardini pubblici, dove dietro il microfono troviamo proprio Fabio Cappanera  che non sfigura neanche vocalmente possedendo una timbrica che gli permette di prendere note molto alte, cosa che ripete anche in seguito in altre canzoni del disco, nonostante sia sempre stato un chitarrista puro; provate ad ascoltarlo e poi traetene le vostre conclusioni.

Amori incompresi e perduti decantati in “Impossibile Capirti” persino dalla stessa voce del compianto Roberto, a dimostrazione che in questo disco si è voluto dare libero sfogo in tutto e per tutto alle proprie abilità musicali senza restrizione alcuna, ottenendo risultati in tal caso più che ottimi.
“La nostra Banda vi Prenderà” risulta essere un po’ il punto più basso del disco, nonostante musicalmente si regga su una buona base blues che è l’unica cosa che si salva della song, visto che un testo alquanto sconclusionato abbassa notevolmente il valore della canzone, valore che si rialza subito con la seguente “Amazzonia”, dedicata ai popoli Indios che si vedono distruggere il loro habitat dall’arrivo dell’uomo bianco; forte la denuncia che scaturisce dalla song, più rock oriented dai tratteggi anch’essi malinconici ma determinati, con la parte centrale del solo che rapisce insieme all’espressiva voce di Fabio Cappanera letteralmente l’attenzione dell’ascoltatore. Da qui in poi la voce dello stesso chitarrista ci accompagna fino al termine del disco, con “Cambierò” e “Drago Dorato” in cui lo stesso indimenticato Fabio concretizza ancor di più l’impressione di esser stato non solo una grande macchina sforna riff ma anche un vocalist mancato, che avrebbe potuto far mangiare polvere a molti cantanti di eccellente vocazione.

Chiude la triste e acustica “Vittima”, epitaffio finale di quella magica storia conosciuta da tutti.

Come detto all’inizio della recensione, con “Non c’è più Mondo” si chiude il sipario sulla carriera nota al mondo del rock e del metal italiano, giacché i fratelli Cappanera non avranno più possibilità di pubblicare nient’altro, sia come Strana Officina che come solisti, riuscendo comunque a terminare in tempo prima della tragedia, che li colpirà il 23 Luglio 1993, quello che doveva essere il secondo album a nome Cappanera, ma che oramai sembra destinato a rimanere per sempre dentro un cassetto e non mostrare cosa ebbero in mente Fabio e Roberto Cappanera per dare un seguito a “Non c’è più Mondo” e alla loro carriera solista. Ricordiamoli così, sia coraggiosi di riscoprire le proprie origini, sia come una vera e propria fucina di musica passionale e fatta col cuore… pardon come una vera e propria OFFICINA.

Francesco “Running Wild”

 

TrackList

01. Aurelia Freeway

02. Non c’è più Mondo

03. Barbone

04. Impossibile Capirti

05. La Nostra Banda vi prenderà

06. Amazzonia

07. Cambierò

08. Drago Dorato

09. Vittima

 

  • Anno: 1991
  • Etichetta: Minotauro Records
  • Genere: Rock

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