Voto: 8.5

Chiedetemi una città che vorrei radere al suolo e vi risponderò Seattle. Domandatemi, se fossi stato alla guida di un ipotetico Enola Gay post eighties, dove avrei sganciato il mio leggendario fardello, e vi risponderò la culla del grunge. Non l’ho mai tollerato, forse non lo tollererò mai. Erroneamente agganciato a stereotipi lanciati da un baldo e biondo giovane che dopo aver fatto a pezzi tutto quello che gli anni ’80 avevano creato, festeggia in modo bizzarro la sua personale conquista/perdita del mondo sparandosi in bocca, consacrandosi definitivamente come anti eroe essendo andato in culo ai ben più patinati colleghi del decennio precedente. E buonanotte a tutti…

Di lì è un susseguirsi di camice quadrettate, band sgangherate, che inneggiano ad una discutibilissima cultura dell’autodistruzione e dell’odio verso se stesso. Un po’ finto aggiungo io, se si guardano gli album e i contratti firmati dai Pearl Jam; ma questo non è il mio campo, quindi posso essere smentito in qualsiasi momento. Mi cheterò.
Guardiamo i lati positivi però. Alice in Chains, STP, e Sound Garden (oltre ai succitati Nirvana e PJ) lasciano alla storia del rock delle sonorità nuove, liriche diverse e meno stereotipate del solito. L’essenza del grunge contamina inevitabilmente il panorama musicale globale, dando vita ad interessanti creature ibride. Che inevitabilmente mi trovo ad osannare, dimostrando  tutta  la mia ipocrisia!
Esattamente quello che, secondo me, è venuto fuori dal progetto Thin Wire Unlaced. Questa band romana ha preso grunge, rock, metal, li ha messi in un frullatore e ci ha miscelato servito con liriche al vetriolo, un EP (speriamo seguito presto dal relativo LP) di 4 pezzi dal sapore amaro ma deciso.
Non mi soffermo sulla storia della band. Sia sul web che all’interno del prodotto con il quale si promuovono si trova una esaustiva descrizione della loro vita musicale. L’artwork è di ottima fattura, ripreso poi dal relativo spazio web, con tanto di foto (le minime necessarie) e recentemente arricchito dal loro primo video clip (My Dying Sun).
Rimango fulminato dalla qualità della registrazione e della produzione delle 4 songs presentate. Invito tutti, fan o non del genere, ad ascoltarle, perchè siano di esempio da chi si deve mettere all’anima una produzione rock-metal o quant’altro.
Le registrazioni sono precise e pulite, gli strumenti ottimamente calibrati e mixati. E la voce si amalgama nell’insieme senza colpo ferire. Una cannonata! Non so quanto abbiano speso per la produzione, nemmeno lo voglio sapere, ma sono soldi spesi bene!
“Season” è una ottima opening song, dal sapore cupo e oscuro (stranamente mi ricordano i Black Sabbath in alcuni frangenti, e in un paio di punti le chitarre degli Skid Row di Slave to the grind, e poi si diceva delle contaminazioni!!!).
Si rallenta il tiro sugli altri 3 pezzi, ma solo di bpm, perchè si rimane veramente sul pesante, e decisamente sull’anticommerciale vista la lunghezza dei pezzi.
“The Great Sin” è un altro pezzo che mi ha colpito. Ben strutturato e con giri decisamente azzeccati. Non si scende mai di tono e il cd volge rapidamente alla fine.
Prodotto di ottima fattura, ottimi musicisti e band che sa il fatto suo. Indipendentemente dal genere che può essere apprezzato o no, è un album da ascoltare. Anche solo, come ho detto prima, per rendersi conto di cosa è un disco ben registrato e ben prodotto.
Vogliamo trovare il pelo nell’uovo? Dai. La prossima volta mettete magari più attenzione nella scelta dei brani. In un EP di 4 pezzi è bene variare un po’, ed evitare song eccessivamente lunghe. Immagino che avrete avuto la possibilità di inserire altri brani. Magari si scelgono un po’ più corti e si lasciano gli altri all’album. Deve essere ascoltabile da tutti, e anche rapidamente. Sono curioso di sentire l’album completo.

Eric San Diego

TrackList

01. Season
02. My Dying Sun
03. The Great Sin
04. A Deaf Storm Fall

 

  • Anno: 2008
  • Etichetta: Autoprodotto
  • Genere: Alternative Rock

 

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